Recensioni: Heaven Forbid

Che i Blue Oyster Cult rappresentino un asset decisamente importante nel catalogo di Frontiers Records lo dimostra il numero di uscite dedicate alla band americana che si sono succedute nel corso di poche settimane. Heaven Forbid, nel caso specifico, è il tredicesimo album in studio degli statunitensi, uscito originariamente nel 1998 ed affidato per questa ristampa alla cura – ed alla rimasterizzazione – di Alessandro Del Vecchio in quel di Varese. Questa riedizione permette di portare nuovamente sotto ai riflettori un disco che, per il dinamismo arrembante delle sue soluzioni, suona del tutto attuale, complici anche l’ottima opera di assemblaggio da parte del produttore originale Donald “Buck Dharma” Roeser ed il contributo ai testi reso dall’autore di fantascienza John Shirley. Della natura di “rock per intellettuali” che identifica tutta la discografia dei Blue Oyster Cult avevo recentemente avuto occasione di scrivere nel corso della recensione di Hard Rock Live Cleveland 2014: ciò che Heaven Forbid aggiunge a quella valutazione è una straordinaria sensazione di freschezza ed accessibilità (X-Ray Eyes), caratteristiche che costituiscono un biglietto da visita ottimale per avvicinare vecchi e nuovi adepti a queste sonorità piacevolmente riff-oriented.

Collocati idealmente tra Rush, Bob Dylan, Eagles, Crash Test Dummies e Sieges Even (giusto per mischiare il sacro con il profano, introducendo qualche riferimento contemporaneo e più terreno e deperibile), Eric Bloom e compagni riescono a rendere convincente, esplosivo e straordinariamente elegante un misto di classic rock, heavy, NWOBHM, thrash e prog, grazie ad una continua opera di cesellatura che altrove avrebbe rischiato di condurre – più di ogni altra cosa – ad una plastica sensazione di pastiche. Con i Blue Oyster Cult le cose vanno invece in un altro modo: mentre un brano sembra concedersi una pausa ritmica ecco che si sviluppa un incredibile assolo di chitarra in sottofondo (Harvest Moon), trame epiche si innestano fluidamente in ritornelli sincopati (Power Underneath Dispair) ed i famosi tappeti di tastiera sembrano astrarsi dalle solite atmosfere a zampa d’elefante per viaggiare nel tempo e confrontarsi con stili diversi e suggestioni insolitamente più cattive (Damaged). Si avverte insomma una forte sensazione di presa e controllo, una proprietà assoluta di linguaggio che non scade nell’autocompiacimento ed una precisione chirurgica nel fare e disfare, assecondata da una produzione che appare ricca pur privilegiando suoni asciutti, vintage e relativamente sobri. La qualità degli arrangiamenti merita essa stessa una particolare menzione: tracce come Hammer Back e Still Burnin’ dimostrano come le sette note possano davvero regalare infinite possibilità espressive, partendo da un riffing semplice ed al limite del cantilenante per cominciare una scalata ipnotica e creativa che sembra riportarci ai tempi 8-bit di Nebulus (Hewson Software, 1987).

Per l’assoluta bontà dei suoi ingredienti Heaven Forbid è un disco bello, ancor prima che un bel disco: per questo motivo il talento che si alza dai suoi solchi invita prima di tutto ad un ascolto contemplativo, ad una valutazione estetica ed intellettuale che alcuni potrebbero trovare non abbastanza viscerale per emozionare davvero. Tuttavia, la durata contenuta di ciascun brano, la varietà dei formati e la cura con la quale viene ricostruita ciascuna scena sonora (Real World vi accoglie nel suo mondo country e polveroso, tanto è tridimensionale) sembrano messe lì apposta per iniziare anche l’ascoltatore più titubante ai piaceri sottili della scoperta, del confronto e del flow (The Psychology of Optimal Experience, Mihály Csikszentmihalyi, 2011). Il consiglio non è quindi solo quello di riascoltare questo disco, quanto piuttosto quello di mantenere un atteggiamento sufficientemente aperto per intraprendere un nuovo viaggio ad ogni ascolto, abbandonandosi completamente ad esso.

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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