Recensione: Doombound

Non so mai stato un fan sfegatato dei Battlelore. Massimo rispetto ed ammirazione per la volontà della band finlandese di riproporre  fedelmente i libri di Sua maestà J.R.R. Tolkien, ma non sempre, nel tempo, il valore della musica è andato di pari passo con la qualità dei testi utilizzati come spunto di partenza. Ma se i nostri sono arrivati al traguardo del sesto album, significa che hanno ormai acquisito uno stuolo di pubblico fedelissimo, che attendeva il nuovo lavoro con estrema curiosità.

“Doombound”, tratto dall’opera “I Figli di Hurin”, è in linea con i dischi precedenti e nelle dieci song (più un sipario strumentale in coda) dominano le voci di Tomi e Kaisa, che si dividono equamente la scena, tra momenti in growl rocciosi ed altri dolcemente operistici. Ne viene fuori un mix piuttosto canonico che, complice i tempi molto rallentati, rende l’intrecciarsi della storia fin troppo prolisso e privo della sua parte più smaccatamente metallica. E fin qui il bicchiere mezzo vuoto. I Battlelore, però, riescono comunque a far breccia nell’ascoltatore nei passaggi strumentali, dominati da arrangiamenti sinfonici finemente strutturati, che non lasciano nulla al caso. Atmosfere soffuse nell’opener “Bloodstained”, in cui le vocals rabbiose sono messe in secondo piano, per un ingresso sul palcoscenico in punta di piedi. Le sfuriate chitarristiche fanno capolino per spezzare il ritmo (come nella cavalcata “Iron Of Death”), quasi a rompere l’incantesimo creato dall’arte comunicativa dalle parole e dal mondo suggestivo dipinto dalle note. “Doombound” bacia diversi generi, dal gothic, al doom, al death sinfonico, all’epic (quello più ortodosso) evitando però di esplorare nella propria ricerca musicale strade poco battute, affidandosi ai canoni utilizzati ed appprezzati nelle opere precedenti.

Ma, appunto, sempre di un’ opera stiamo parlando ed i Battlelore, ancora una volta, non passeranno inosservati. Chi li ha seguiti fin qui non resterà deluso, coloro che li hanno ignorati in tutti questi anni, presumibilmente, non avranno nemmeno letto la recensione di “Doombound”.

Alessandro Battini

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E’ il sinfonico della compagnia. Dai Savatage ai Dimmu Borgir, passando per i Rhapsody, predilige tutto ciò che è arricchito da arrangiamenti sontuosi ed orchestrazioni boombastiche. Nato e cresciuto a pane e power degli anni ’90, si divide tra cronache calcistiche, come inviato del Corriere Dello Sport, qualità in azienda e la passione per la musica. Collezionista incallito di cd, dvd, fumetti, stivali, magliette dei concerti, exogini e cianfrusaglie di ogni tipo, trova anche il tempo per suonare in due band.

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