Recensione: Year Of The Hunger

Difficile, se non praticamente impossibile, inquadrare in un solo genere lo stile dei The Moor, che anzi inseriscono nei loro brani, con dichiarato sprezzo del pericolo, growl e chitarre pesanti in stile death metal, lunghe parti strumentali con abbondanti dose di tastiere tipiche del prog metal e arpeggi sognanti che ricordano una certa parte del classic rock. Proprio per questa fusione di stili, il nome dei The Moor si può associare facilmente a quello degli Opeth. Raggiungere un obiettivo del genere non è certo cosa facile, e il primo merito che riconosciamo alla band è senza dubbio quello di una grande apertura mentale e di una grande versatilità dal punto di vista esecutivo oltre che compositivo.

In mezzo a tutto questo calderone di idee, generi e stili, ci sono comunque alcuni brani degni di nota. il migliore è probabilmente ‘Venice’, che mantiene il suo gelido splendore sia nella versione cantata che in quella strumentale, un valore che deriva soprattutto dagli ottimi spunti delle tastiere. Anche ‘Liquid Memories’ è un buon pezzo, soprattutto perché questa smania di inserire quanti più spunti possibili in un singolo brano, che emerge prepotente in altri momenti del’album, è qui più mitigata e dà vita ad un pezzo più coerente al suo interno. Forse la difficoltà principale della comprensione di ‘Year…’ è proprio la  mancanza di un filo conduttore unico; l’impressione è che la disperata ricerca del connubio fra tanti stili si sia rivelata un’arma a doppio taglio e metta a dura prova la pazienza dell’ascoltatore. Vale comunque la pena di verificare di persona se questa teoria corrisponde al vero.

Anna Minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

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