Recensione: Nocturnal Koreans

Lo abbiamo detto più volte e lo ripetiamo: la buona qualità di un prodotto non è necessariamente proporzionale alla sua durata. Ne sono un esempio i veterani Wire, che a soltanto un anno di distanza dall’album omonimo tornano sul mercato discografico con “Nocturnal Koreans”, quindicesima prova in studio che segna l’importante traguardo dei quarant’anni di attività della storica band. Solo ventisei minuti e, passateci il termine poco ortodosso, tanta roba.

I Wire fecero parte di quei “ragazzi del ‘77” cardini della scena punk inglese (o new wave, per dirla alla Malcom McLaren) e già dagli esordi minimali e spigolosi di “Pink Flag”, mostrarono attitudine alla sperimentazione e all’avanguardia. Gli otto brani di “Nocturnal Koreans” fanno parte delle tracce registrate proprio in occasione di “Wire” e poi escluse da quell’album perchè più diretto e memore del post punk dei primi tempi. “Nocturnal Koreans” è invece un disco nel complesso molto melodico e con un forte feeling notturno, non mancano momenti sperimentali, ma in definitiva si tratta ancora di buon rock.

Rock e anche pop ad essere sinceri, ma parecchio malinconico e ricercato. La titletrack, insieme a “Numbered”, è forse uno dei brani più avvicinabili alle sonorità di “Wire”, con le sue chitarre pungenti in bella vista, ma l’intervento dei synth e di lievi loop elettronici dipinge melodie crepuscolari ed efficacissime che ci portano in quell’immaginario patinato del pop anni ’80. Il tutto senza cadere nella ruffianeria, è chiaro, mentre la voce di Colin Newman, morbida e salmodiante, è come sempre riconoscibile.

Pare che in alcuni momenti, i nostri inglesi vogliano mettere in musica la tranquillità della notte attraverso suoni diluiti, cangianti ma parecchio rilassati, come si evince all’ascolto di “Internal Exile”, guidata dal basso pulsante di Graham Lewis e con tanto di finale per tromba, dell’intrigante “Forward Position”, sfacciatamente orecchiabile ma dal forte impatto emotivo e ancora di “Pilgrim Trade”. A chiudere troviamo “Fishes Bones”, pezzo atipico dove la parti vocali sono demandate proprio a Graham e le percussioni di Robert Grey salgono sugli scudi.

La buona musica non invecchia e gli inglesi ci insegnano come a sessant’anni inoltrati si possa ancora avere voglia di ricerca e di stupire il proprio pubblico con idee forse non completamente nuove, ma senza dubbio originali. Senza il bisogno di ripetersi.

Wire - Nocturnal Koreans

Andrea Sacchi

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Poser di professione, è in realtà un darkettone che nel tempo libero ascolta black metal, doom e gothic, i generi che recensisce su Metallus. Non essendo molto trve, adora ballare la new wave e andare al mare. Ha un debole per la piadina crudo e squacquerone, è rimasto fermo ai 16-bit e preferisce di gran lunga il vinile al digitale.

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