Ultima alba prima della fine del festival, ultimo risveglio con in mano il mio programma per affrontare un’altra giornata di concerti; può cambiare il luogo, il festival, il meteo… ma la sensazione che accompagna l’ultimo risveglio con la consapevolezza che tutto sta per finire è sempre la stessa. Non bisogna però lasciarsi trasportare da queste emozioni nere, anzi queste devono essere completamente abbattue in favore dell’energia necessaria atta a dare il meglio di sè in questo Day 3, e questo è proprio ciò che farò indirizzandomi da subito verso l’area concerti e più precisamente verso lo stage Harder, per l’esibizione del gruppo che aprirà l’area dei mainstage, i Bleed From Within. La band scozzese si era vista protagonista in uno dei primi concerti della giornata durante l’ultimo Wacken andato “in onda” nel 2019, l’unica differenza è che allora i nostri si erano ritrovati a suonare sul W.E.T. stage e non su un palco maggiore, sinonimo del fatto che la realizzazione dell’ultimo disco abbia dato i suoi frutti. Il cambiamento non è infatti di poco valore considerando anche il fatto che essi si sono aggiunti alla lineup del Wacken Open Air all’ultimo minuto, completando alla perfezione un bill comunque già saporito. I nostri si presentano sul main stage con grande calma, alzando le corna verso il già numeroso pubblico di Wacken accorso prima di mezzogiorno per vedere la band proporre il suo ultimo disco “Shrine“, ed è proprio con quest’ultimo lavoro che il gruppo scozzese inizierà a calcare il palco a suon di Groove/Core metal proponendo la prima tracciua del disco come apertura del concerto, ovvero “I Am Damnation“. La precisione con la quale la band ripropone le proprie tracce al pubblico (per lo più) tedesco è davvero da ammirare, i suoni sono cristallini con dei bassi che fanno tremare i capelli e delle medie che schiaffeggiano l’ascoltatore, ma ciò che mi lascia veramente stupito è il come i brani vengano suonati alla perfezione facendo sembrare il tutto troppo semplice, quasi come se davanti a me ci fosse il mio impianto e non la band dal vivo che sta suonando. Il concerto prosegue senza perdere mai colpi, la setlist vedrà la band scozzese proporre principalmente gli ultimi due dischi, oltre al già nominato “Shrine”, “Fracture”. C’è tempo anche per qualche leggera battuta da parte del cantante che invita il pubblico il più vicino possibile al palco: “So che siamo scozzesi ma non abbiate paura di noi“. Uno show assolutamente ben riuscito, che senza ombra di dubbio è stato preparato con la massima cura nei dettagli senza lasciare nulla al caso si conclude con l’estratto più riuscito del penultimo album, “The End Of All We Know” che, tra moshers e coristi improvvisati, mette fine alle energiche fatiche dei Bleed From Within, che dopo aver lanciato le proprie setlist al pubblico escono di scena sotto numerosi applausi. Non c’è un momento per respirare però, perchè gli amanti del metalcore e affini troveranno immediatamente altro pane per i propri denti in quanto a pochi passi dall’ora spoglio campo di battaglia dei Bleed From Within i Nearea stanno per andare in scena, portando più rabbia, aggressività e momenti memorabili. La band proporrà diverso materiale e sebbene non ci sia un vero e proprio protagonista tra questi, “Armamentarium” e “Neaera” verranno più volte toccati, ma in tutta onestà, questo sarà il concerto nel quale seguirò di meno la parte musicale in quanto vedrò lo show più fuori dal comune di quest’edizione. Sì, perchè siamo abituati a vedere le fiamme, a sentire i cantanti incitare il pubblico, oppure scendere a stringere la mano a qualche fan (anche se più raramente), ma a me personalmente mai prima dello show dei tedeschi era capitato di vedere il cantante del gruppo scendere dal palco a pochi minuti di distanza dall’inizio dello show e mettersi a fare crowd surfing e capriole sul pubblico, per poi risalire sul palco e scendere nuovamente a correre insieme al circle pit formato dal pubblico, facendosi addirittura sollevare da alcuni di questi per poi mettersi sulle spalle di un baldo giovane e cantare mentre questo corre in cerchio senza fermarsi. Insomma, non è qualcosa che si vede tutti i giorni ed è ancora più strano se mettiamo in conto il fatto che il concerto si sta svolgendo sullo stage Faster e non uno stage secondario. Comunque alla band non sembra interessare più di tanto dove si trovano a suonare e mentre il cantante procede a dar spettacolo di sè, i vari membri del gruppo rimasti sul palco continuano a suonare senza però distogliere lo sguardo dal collega che ora invita le persona distanti a raggiungere il centro del circle pit. La resa sonora è comunque buona anche se, purtroppo, il suono del basso è rimasto molto al di sotto rispetto al volume degli altri strumenti.
ATTIC
Dopo questo show dall’elevato valore emotivo decido di fare una piccola pausa che mi permetterà di ricaricare le energie per prima la visione della prima parte dello show dell’Heavy Metal band Attic che, tra suoni più che piacevoli e chiari rimandi a King Diamond ed i Mercyful Fate, sostengono uno show interessante ma senza nulla che mi porti a pensare al gruppo come ad una band particolarmente unica. Non mancano sul palco degli ottimi elementi scenici e dei rimandi al satanismo ed all’occulto (base dei testi del gruppo tedesco), che comunque fanno la loro parte nell’atmosfera cupa che il gruppo sprigiona dal palco grazie anche ad un velo costante di ghiaccio secco sparso sullo stage. Il programma però richiama la mia attenzione giusto in tempo per farmi dirigere verso lo stage Harder, in tempo per riuscire a scattare qualche foto alla metalcore band per eccezione (o quello che ne è rimasto dati i continui split da parte degli ora ex membri) gli As I lay Dying, guidati dal cantante Tim Lambesis.
AS I LAY DYING
La band entra sul palcoscenico e come da tradizione (dall’ultimo tour di Shaped By Fire) “Burn To Emerge” viene sparata dalle casse per dare il benvenuto ai nostri sul palco che si preparano per l’esecuzione del primo brano in scaletta, “Blinded“, tratto anch’esso dall’ultimo lavoro in studio, che verrà poi seguito a ruota da “Through Struggle“, che porta il cantante a ringraziare (come di sua consuetudine) il pubblico per aver dato un’altra opportunità alla band e chiedendo loro di fare il più grande circle pit possibile. Inizialmente non sono totalmente soddisfatto della resa dei suoni che sembrano essere mal calibrati, ma fortunatmente, come spesso è accaduto durante quest’edizione, il tutto è stato aggiustato dopo pochi brani, anche se rimane sul palco un problema abbastanza frequente durante quest’edizione del Wacken Open Air. Non è infatti raro che degli strumenti o dei musicisti abbiano problemi sul palcoscenico, rendendo il brano in esecuzione poco fluido o tagliando la chiusura di qualcuno di essi, come purtroppo è successo con “A Greater Foundation“, in cui la coda della canzone è stata completamente tagliata lasciando un effetto tutt’altro che piacevole. Detto questo, i nostri cercano comunque di dare il massimo e, anche se la voce di Tim Lambesis sembra in alcuni momenti essere stanca, la resa non manca. Sono inoltre piacevolmente sorpreso da Ryan Neff (bassista dei Miss May I e voce clean) che, sebbene nel suo gruppo madre non mi abbia ma impressionato live (vocalmente parlando), qui riesce a sostenere un’ottima performance mantenendo la voce quasi sempre perfettamente intonata. Dall’altra parte abbiamo poi alla chitarra Ken Susi (Unearth), anch’esso una colonna portante del metalcore americano che, insieme al collega Nick Pierce (anch’esso negli Unearth), sostiene un live fenomenale completando le linee ritmiche di Phil Sgrosso, unico membro storico insieme a Tim sul palco oggi. Lo show prosegue a gran ritmo passando principalmente per “An Ocean Between Us”, uno degli album più completi e riusciti del gruppo americano e dal già citato “Shaped By Fire”, ma non mancano di suonare grandi classici del passato come “94 Hours” oppure “The Darkest Nights“, che ovviamente ricevono la giusta ovazione.
L’encore era inevitabile, com’era d’altronde inevitabile l’esecuzione di “Nothing Left” e “Confined” che tra gli ultimi crowd surfers, il coro dei presenti e le scintille che cadono dal soffitto del palcoscenico portano lo show degli As I Lay Dying alla sua chiusura che porta poi ai ringraziamenti finali ed all’uscita del gruppo dal palcoscenico. Uno show assolutamente riuscito che, personalmente, non ha sentito più di tanto la mancanza dei membri storici ora non più presenti nella band, in quanto i nuovi (al momento turnisti) non solo hanno dato il massimo, ma non hanno minimamente fatto sentire la necessità di mancare in qualsiasi cosa, come può essere la presenza scenica, la resa della performance musicale, oppure il “semplice” trovarsi fuori contesto con la band. Distrutto da quest’ultimo show, inizio a camminare forse per l’ultima volta in giro per il festival scattando le ultime foto ricordo e salutando certi nuovi amici che difficilmente incontrerò nuovamente prima di fine giornata.
INFECTED RAIN
La melanconica sensazione che il festival sta finendo inizia a farsi sempre più forte e a poco serve la distrazione che qualche show casuale mi dà prima di ritornare al mio programma che vedrà come prossima band da fotografare gli Infected Rain sull’Headbangers stage. Così arrivata più o meno l’ora di inizio concerto, mi posiziono sotto lo stage per aspettare la band moldava che, senza ritardo, esce dal palco sotto a delle luci rosso sangue, intimando il primo brano in scaletta, “Pendulum“. I suoni sono perfettamente calibrati e l’effetto desiderato dai nostri di far sembrare la propria accordatura una sorta di buco nero riesce nell’intento. L’esecuzione dei brani pecca in poco, l’ottima Elena “Lena Scissorhands” Cataraga dà il meglio di sè sulle parti vocali in growl/scream, lasciando però qualche lacuna sulle parti clean che non mi convincono appieno. La band, che ha visto recentemente la sua vera esplosione, non sembra intimorita dal Wacken Open Air e anzi si atteggia con gran calma e professionalità davanti ai tanti accorsi per ascoltare gli Infected Rain che, senza guardarsi indietro, proseguono la loro corsa sulle proprie linee progressive groove core, se così possiamo in parte definire lo stile esecutivo della band. La potenza di fuoco fa scatenare sotto al palco i fan, ora intenti a lunghe sessioni di carica animale fomentate dalla cantante, che domanda costantemente nuovi circle pit e wall of death tra il pubblico presente che spesso e volentieri si lascia coinvolgere.
L’ultimo disco, “Ecdysis”, è al centro della scena, così come non sarà minimamente snobbato il penultimo lavoro del gruppo, “Endorphin”, ovvero quello che ha veramente dato la scossa al gruppo moldavo, e lo si vede anche dalla carica con la quale questi brani vengono suonati e riconosciuti dal pubblico, anche se la chiusura dello show verrà interdetta da “Sweet, Sweet Lies“, brano proveniente dal secondo lavoro del gruppo “Embrace Eternity”.
LORDI
La stanchezza si fa sentire, ma per nulla al momento deciderei mai di uscire in anticipo dalla Terra Santa prima di aver visto un ultimo Headliner. Così, dopo essermi goduto una piccola parte dello show dei Death Angel che come al solito hanno dimostrato di essere una band che ha molto da offrire nel panorama Thrash Metal ed aver atteso a lungo gli Ill Niño che, per problemi tecnici, hanno iniziato lo show in tirardo, mi avvio verso lo stage Faster, per l’ultimo concerto del festival nella zona mainstage, che vedrà il gruppo finlandese Lordi portare un po’ di orrore prima di augurare l’ultima buona notte alle migliaia di persone presenti.
Così ecco che a mezzanotte passata entrano in scena gli eccentrici Lordi, che brandendo i loro soliti abiti di scena e la propria strumentazione iniziano a suonare le linee di “Get Heavy“, omonimo dell’album che sarà al centro dell’attenzione in questo concerto finale. Non passa molto prima di vedere le prime fiammate sullo stage Faster, che fa scaldare le prime file in una serata certamente non molto calda, nel mentre la band si esibisce con nonchalanche senza dare particolare spettacolo. I brani sono suonati bene, ma la band tende a un approccio molto statico, il che non mi convince del tutto, considerando pure che tra le band che si sono susseguite su questo palco, non sono senza ombra di dubbio una delle più tecniche. Altri fattori che non aiutano la buona uscita dello show sono ulteriori problemi elettrici/di connessione dello strumento, e così via, che lasciano nuovamente qualche dubbio, e le continue battute non esattamente molto divertenti di Mr. Lordi, che ogni tanto si scaglia “simpaticamente” anche contro il suo batterista.
Lo show prosegue senza altri intoppi, ma continua a non convincermi e mentre elementi di scena e piccoli teatrini via via si danno il cambio, raggiungiamo la parte finale dello show, che è riservata specialmente ad i classici più conosciuti del gruppo finlandese, come “Blood Red Sandman“, “Devil Is A Loser” e la canzone che nell’ormai lontano 2006 fece vincere alla band l’Eurovision Music Contest, “Hard Rock Hallelujah” che ovviamente è cantata da tutti i presenti, ora in preda a continui salti e scossoni di corna. Non mi è molto chiaro il perchè quest’ultimo brano non abbia fatto anche da chiusura show, specialmente considerando che durante l’esecuzione di “Would You Love a Monsterman?” (che ha chiuso la setlist dei nostri) non ci sono stati effetti scenici particolare, cosa che invece mi sarei aspettato di vedere durante il concerto di chiusura dei mainstage, ma stranamente così non è stato. Finito dunque il brano, i nostri si fanno accompagnare all’uscita dal tributo/parodia di una tipica colonna sonora western in stile Ennio Morricone “Scg Minus 2: Horricone“, che segna la definitiva chiusura degli stage principali ed in parte la fine del Wacken Open Air 2022 che, nonostante qualche piccola imperfezione e problematica, è riuscito comunque a lasciare nuovi bellissimi ricordi nella mia mente, che come sempre conserverò fino all’anno prossimo, nell’attesa di aggiungerne dei nuovi.