La prima vera giornata di concerti per tutti i campeggiatori di questo Wacken Open Air viene inaugurata da una piacevole aria fresca che rassicura i tanti presenti sulle condizioni meterologiche, che fortunatamente non prevedono nè picchi di caldo ma nemmeno temporali.
Con la mia lista personale di band da vedere in questa giornata, mi avvio appena possibile verso l’area concerti, per assistere a qualche show che non fa parte del mio pragramma. Una delle prime band che attraggono il mio interesse sono gli Islandesi Múr sul WET stage e successivamente del gruppo più conosciuto in tutta l’area del Wacken Open Air, gli Skyline che, come da tradizione, inaugurano lo stage Harder.
Il vero piatto forte però arriva alle 16.15, con uno degli show da me più attesi di quest’edizione, quello della black metal band norvegese Mork, che si esibirà per la prima volta in tutta la loro carriera nel prestigioso festival tedesco, sullo stage Headbangers La voce cadaverica di Thomas Eriksen leader, fondatore e unico membro ufficiale della band rilascia nell’aria già fresca un clima glaciale, che non ferma però le tante teste in costante movimento ritmico che seguono violentemente la musica di matrice oscura del gruppo. Come già accennato nel live report del Day 0, quest’anno il WET e l’Headbangers stage saranno sprovvisti del tipico tendone che fino al 2019 ha avuto l’importante ruolo di separare la luce e le intemperie dai due famosi palchi e purtroppo, come da ipotesi iniziale, questa non sembra essere stata una grande mossa, specialmente per l’atmosfera che questo poteva dare durante concerti di stampo black e death. Onore però alla band che riesce comunque a dare qull’effetto funerario allo show che si sta portando avanti tra brani passati e (per la maggiore), brani dell’ultimo lavoro “Katedralen”. Lo show non manca di sorprese, infatti, prima dell’esecuzione di “Født Til Å Herske“, Dolk, il cantante dei Kampfar, si unirà alla band sul palco per recitare insieme a Thomas questa canzone scritta insieme ad egli per Katedralen. Purtroppo però la sua voce sarà inesistente per tutta la durata del brano, sicuramente una grande delusione considerando che non ci sarà spesso la fortuna di vedere i due sul palco insieme. Il grande talento compositivo del cantante si sente a ogni brano, ma è durante l’esecuzione della poetica “Arv” che la vena old school black prende una strada diversa, abbassando il tempo e andando su scogli meno frastagliati ma più morbidi e riflessivi. “Dype Røtter” segnerà la chiusura dello show per i norvegesi, che concludono il set tra numerosi applausi. Nelle due ore che precedono il mio ritorno sotto al palco approfitto per girare tra i vari stand del festival ritrovando molti dei ricordi che avevo lasciato negli anni passati, anche se non posso fare a meno di notare che molte cose siano cambiate. Una delle constatazioni più amare (come già accennato nel live report del Day 0) è l’assenza del Metal Market, cuore del festival, dove migliaia di fan avevano la possibilità di fare shopping tra i vari venditori metal oriented.
Finito il piccolo giro di perlustrazione ritorno ai piedi dell’Headbangers stage per lo show degli svedesi Vomitory, che tra chitarre distorte e voci marce terranno uno show magistrale e davvero coinvolgente, in particolar modo per i numerosi fan che fin dal primo minuto si cimentano in numerosi circle pit, alzando polveroni di sporco che creano una barriera tra loro e gli altri presenti. Il concerto degli scandinavi si contraddistingue per la sua brutalità, non mancano in scaletta brani come “Raped In Their Own Blood” e “Terrorize Brutalize Sodomize“, che assicurano un movimento di testa costante ma mai ridondante. Una volta finito lo show apprezzo particolarmente l’umiltà con la quale il batterista Tobias Gustafsson è sceso dal palco per stringere la mano a qualche fan in prima fila, regalando un bel ricordo e diversi sorrisi.
Non c’è bisogno di aspettare molto prima dell’inizio dello show successivo, che si terrà sul WET stage, palco adiacente all’Headbangers. Dalla Svezia ci spostiamo in Olanda e lo facciamo sulle note di una delle band più importanti (se non la più) nel panorama death olandese, i Pestilence che tornano a suonare live dopo quasi un mese di fermo dall’ultima data tenutasi al Werfpop 2022.
La band, guidata dall’indiscusso leader Patrick Mameli, sale sul palco e parte alla carica con “The Secrecies Of Horror“, tratto dal mastodontico
album del 1991 “Testimony of the Ancients” che, per la fortuna degli ospiti presenti, verrà eseguito nella sua quasi totalità. Mameli e la nuova band danno il massimo, eseguendo in maniera più che soddisfacente i brani proposti, peccato solo che il leader sia molto statico sul palco, ma d’altro canto il genere richiede precisione e posso confermare che questa non è mancata all’appello.
Lascio per un momento da parte i due “grandi” palchi minori per dirigermi verso lo stage Harder dove è tutto pronto per delle vere e proprie leggende del metal. Sto parlando di King Diamond e Hank Shermann, riuniti sullo stesso palco per lo show dei Mercyful Fate. Gli ultimi raggi di sole quotidiani si stanno riflettendo sullo stage principale di Wacken quando un elegante uomo mascherato irrompe sul palco per intimare con i suoi acuti le prime strofe di “The Oath” brano tratto da “Don’t Break The Oath”. Il nostro quasi 70enne è in gran forma e lo dimostra con un’ottima esecuzione dei brani e con una grandissima presenza scenica che lo contraddistingue da sempre dagli altri cantanti della scena. Insieme a lui ovviamente, il suo inseparabile microfono incavato tra due ossa legate a formare una croce. La scaletta (praticamente uguale agli altri show che la band ha tenuto durante queste date estive) è colma dei classici che hanno fatto elogiare la band dall’inizio degli anni 80, dando una luce speciale al primo album della storia del gruppo danese, “Melissa”, che si vede eseguire con brani come “Curse of the Pharaohs” o l’omonima “Melissa“. I musicisti sul palco danno una chiara lezione di come l’Heavy Metal vada suonato, precisione ed accuratezza sono alla base di questa performance che non lascia nessuno scontento se non al momento della chiusura dello show (sulle note di “Satan’s Fall“).

Il buio è ormai calato e finalmente ci si può godere la giusta atmosfera Black Metal sotto agli stage Headbangers e WET; è proprio verso quest’ultimo che ci spostiamo prima del concerto finale della serata per vedere i greci Rotting Christ portare un po’ di Black Metal mediterraneo. Le luci scure che tentano di penetrare nell’oscurità notturna creano un’atmosfera seducente sopra il palco ora calpestato dai fratelli Tolis e soci; il gruppo decide di ripercorrere le diverse fasi della propria carriera passando per album come “Rituals”, “Kata Ton Daimona Eaytoy” o l’ultimo lavoro in studio datato 2019, “The Heretics”, ma senza dare spazio a lavori di grande spessore come “Non Serviam”, il che mi lascia leggermente deluso e totalmente sorpreso. La voce del cantante greco convoca i presenti e li spinge a muoversi sotto il palco mentre la musica martella le casse accompagnata da ottimi suoni.
Sebbene la performance per lo più statica dei nostri non mi entusiasmi, un grande lavoro del fonico e un’ottima resa sonora rendono questo penultimo concerto gradevole, ma il piatto forte della serata sarà distribuito sotto forma di malvagità e perfidia sul palco attiguo, dove i Belphegor eseguiranno il loro rituale che chiuderà questo Day 1. Come al solito la scenografia dei Belphegor costituita da ossa, croci girate e fiamme, affascina e non poco specialmente se consideriamo che la poca luce presente sul palco lascia i nostri in costante penombra creando un alone misterioso. I ragazzi della sicurezza, avvolti nei loro K-way per paura di potersi bagnare di sangue o di essere colpiti da oggetti di scena (non succederà), sono pronti a ricevere i crowd surfers già dai primi secondi di concerto, e infatti questi non mancano ad arrivare puntuali all’appuntamento. Il cantante e chitarrista austriaco non manca mai un colpo grazie alla sua grande tecnica ed alla sua malsana euforia, la personalità di Helmuth è difficile da non notare sul palco, al centro del fuoco si muove tra la morte e la realtà, un asso assoluto in questo genere.
Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, “The Devils” (ultimo disco) non la fa da padrone in questa scaletta che vede come al solito dei brani di tutto rispetto come “Baphomet“, “Hell’s Ambassador” o la “ballad”, passatemi il termine, “Conjuring the Dead” che si conclude con una simpatica voce sofferente che intima le parole “Lucifer I Adore You, Lucifer Destroy Me” con tono soffocato. La band come da previsioni è protagonista di uno show straordinario, anche se purtroppo una problematica sul palco lascia le casse senza volume per qualche secondo. Al di là di questa piccolezza, sono convinto che quello dei Belphegor sia uno show che andrebbe visto almeno una volta anche per chi non prova particolare stima verso il duo Helmuth/Serpenth, ambasciatori della morte che rappresentano la rinnomata band austriaca.