Il venerdì a Wacken è forse la giornata più impegnativa. La stanchezza inizia a farsi sentire e i concerti durano fino a tardi (in compenso il giorno dopo iniziano un’ora dopo) per iniziare alle 11.00 di mattina. Con il sole che picchierà implacabile tutto il giorno, andiamo a salutare il Louder Stage, il più piccolo fra i tre palchi principali, per l’esibizione degli Amaranthe. Giudicati a volte un po’ troppo pop per quelli che sono i canoni del metal classico, la band della bella Elyze Ryd si dimostra assolutamente degna del posto occupato, e mette a segno uno show interessante e piacevole. Con un nuovo album in arrivo in autunno e una formazione rimaneggiata da non molto tempo, la band propone una panoramica sul proprio repertorio più recente, che comprende fra gli altri il brano omonimo “Amaranthe”, “Dynamite”, “Call Out My Name”, “Hunger” e “Boomerang”.
Torniamo davanti al Louder Stage più tardi, quando il sole picchia ancora, per rivedere in azione i Mr. Big, per quella che potrebbe essere l’ultima volta. La decisione della band, infatti, è stata quella di onorare gli impegni presi quando il batterista Pat Torpey era ancora fra noi, ma adesso il futuro del gruppo non è ancora deciso e potrebbe chiudersi di qui a breve. In ogni caso, i Mr. Big danno come sempre prova di essere una band eccellente dal punto di vista della tecnica e al tempo stesso capace di coinvolgere tutti, anche chi non mastica quotidianamente il loro genere. Brani come “Daddy, Brother, Lover And Little Boy”, “Alive And Kickin’”, “Just Take My Heart” e “Green-Tinted Sixties Mind” o la classica cover di “Wild World” sono eseguiti alla perfezione, con Eric Martin alla voce sempre perfetto, Paul Gilbert e Billy Sheehan a duettare impeccabili, con tanto di immancabile assolo di trapano, e Matt Starr alla batteria, una presenza ormai nota a chi abbia assistito a un loro live negli ultimi anni. sul finale, dopo “To Be With You” e una travolgente “Colorado Bulldog”, Eric Martin ringrazia sentitamente i presenti, anche per portare avanti il ricordo di Pat Torpey. Senza dubbio uno dei live più intensi di questo festival, eccellente a livello tecnico e dall’importante carica emotiva, un bellissimo momento, gioioso, nonostante tutto.
Gli anni passano per molti ma non per tutti. Uno di quelli che non sta subendo in alcun modo lo scorrere del tempo è Alexi Laiho dei Children Of Bodom, che anzi sembra migliorare anno dopo anno. Anche i Bodom sono una band che ripassa con cadenza regolare dei palchi di Wacken, e la loro esibizione, che arriva nel tardo pomeriggio di questa lunga giornata, è di sicuro degna di nota. Questo non solo per la setlist scelta, che spazia con ampiezza tra i vecchi estratti da “Follow The Reaper” e “Hatebreeder” e da lavori più recenti come “I Worship Chaos”. In generale, comunque, l’esibizione è incentrata sui brani vecchi, con cavalli di battaglia quali “Hate Me!”, “Towards Dead End” e “Are You Dead Yet?” a farla da padroni. La band è bene amalgamata e regge alla perfezione il peso di un live tra i più significativi del festival, con Laiho portatore di una presenza scenica impressionante.
Lo show di Doro Pesch, da solo, è sufficiente per andare a casa soddisfatti, ovviamente se vi piacciono i concerti in grande, pieni di tedeschi ilari che si abbracciano a frotte di fronte a una delle loro eroine. La Metal Queen per eccellenza, nonostante abbia un nuovo album in uscita, esegue poche anticipazioni dal lavoro in arrivo (un doppio album, ricordiamo) e si lancia in uno show che è una autocelebrazione della propria carriera e un tuffo nei ricordi del passato, personali per lei ma perfettamente condivisibili da molti. Un’altra caratteristica dello show di Doro è la presenza di moltissimi ospiti speciali, da Johan Hegg degli Amon Amarth, che duetta con Doro in un nuovo brano, intitolato “If I Can’t Have You – No One Will”, a Jeff Waters che sbuca a sorpresa nel finale affidato alla cover di “Breakin’ The Law”, passando per due membri superstiti degli Sweet, Andy Scott e Peter Lincoln. L’occasione per l’arrivo di questi ospiti lo rivale la stessa Doro nel raccontare la sua passione per gli Sweet da bambina, per cui l’esecuzione del classico “Ballroom Blitz” insieme a due membri storici della stessa band è per l’ei il coronamento di un sogno. Come sempre durante i suoi concerti, Doro Pesch ringrazia a lungo i suoi fan, che per lei sono come una famiglia, ricorda il suo grande amico Lemmy Kilmister e soprattutto dispensa vagonate di sorrisi e coinvolge i presenti con una grinta che sorprende ogni volta di più. Nel finale non possono mancare l’inno di Wacken, “We Are The Metalheads”, che erra stato inciso proprio da Doro, e il classico dei Warlock “All We Are”. Un’ora e mezza di divertimento all’ennesima potenza, con l’Infield che salta, canta e scandisce ritornelli alla massima potenza. La serata però è ancora lunga, e noi decidiamo di concederci una scappata in zona W.E.T. Stage per goderci una parte dello show dei Blues Pills. Ancora una volta, quindi, abbiamo davanti una band con una donna alla voce, anche se le atmosfere sono completamente diverse, più orientate verso il rock psichedelico, grazie anche a un gioco di luci meraviglioso. Non riusciamo a rimanere fino alla fine perché i Running Wild ci aspettano sull’Harder Stage, ma la carica sprigionata da Elin Larsson e compagni ci rimarrà impressa a lungo, e ascoltare dal vivo brani come “Astral PPlane” e “Bliss” è una bella emozione.
Ed eccoci qua, al cospetto dei Running Wild, una delle band capostipiti del metal tedesco, nonché terzultimo live della giornata per quanto ci riguarda. Un brano nuovo nella loro setlist, intitolato “Stargazer”, e poi una lunga carrellata di successi storici, per un’altra band che festeggia una tappa importante della sua carriera. Ora, da una parte fa sicuramente piacere avere modo di riascoltare dal vivo successi storici come “Under Jolly Roger”, “Soulless” o “Stick To Your Guns”, anche tenuto conto del fatto che i Running Wild passano difficilmente dall’Italia, specie negli ultimi anni. dall’altro lato però sono da segnalare segni evidenti di stanchezza e di monotonia da parte di Rock ‘n Rolf. In generale, per quanto la band esegua correttamente tutti i pezzi, tutti i componenti dei Running Wild appaiono comunque troppo distaccati, non interagiscono minimamente tra di loro e anche il contatto con il pubblico è limitato al minimo. Insomma, ci saremmo potuti aspettare qualcosa di più, per quanto anche la loro esibizione sia stata impeccabile, il tutto appare forse un po’ troppo standardizzato, specie avendo ancora nelle orecchie e negli occhi il tripudio di suoni e colori elargiti a piene mani da parte della Metal Queen Doro Pesch.
Anche gli In Flames sono vecchie conoscenze per il pubblico di Wacken, sebbene la loro deriva sonora non abbia sempre incontrato i favori del pubblico. Questa volta la setlist scelta è diversissima da quella di tre anni fa, con pochissimi punti in comune come ad esempio “The Chosen Pessimist” e “Deliver Us”, che si ritrovano in entrambi i concerti. Questa volta viene dato parecchio spazio all’album del 2008 “A Sense Of Purpose”, che viene accostato al più recente “Battles”, mentre un altro lavoro abbastanza recente come “Siren Charms” viene trascurato quasi completamente, a favore del più vecchio “Sounds Of A Playground Fading”. L’aspetto più impressionante è la meravigliosa scenografia allestita per l’occasione, che contrasta ancora una volta con quella molto più semplice del concerto del 2015 (anche quella volta, tra l’altro, la band si esibì il venerdì sera), con un meraviglioso gioco di luci e un impressionante repertorio di fiammate che si elevano altissime verso il cielo a illuminare questa notte serena. L’impressione è sicuramente positiva per chi apprezza questo nuovo modo di essere degli In Flames, che eseguono un live perfetto dal punto di vista tecnico, anche se un po’ privo di sentimento e di emozioni.
Sono quasi le due di notte, la notte non è troppo fredda e nonostante la stanchezza inizi a farsi sentire l’atmosfera è ideale per godersi l’ultimo concerto della giornata. I Ghost si presentano sull’Harder Stage con una imponente scenografia, che riproduce fedelmente le vetrate di una cattedrale, e iniziano subito un set perfettamente equilibrato fra i brani del recentissimo “Prequelle” e quelli di “Meliora”. Fra l’apparizione del Papa Nihil al sassofono durante “Miasma” e brani significativi come “Rats”, “Ritual” e “Circle”, i Ghost si confermano come una delle realtà più interessanti del momento per tutti coloro che vedono il metal non in maniera dura e pura, ma che sono pronti a qualche variazione sul tema per esplorare sfaccettature nuove nel genere. Impossibile non apprezzare, inoltre, l’ottima prova di Cardinal Copia alla voce e dei Nameless Ghoul mascherati agli strumenti e ai cori, in un meccanismo perfettamente orchestrato che chiude alla grande questa terza serata di festival.