E alla fine arrivò il sole. Dopo tre edizioni più o meno martellate dalla pioggia e dal fango, l’edizione 2018 del Wacken Open Air, in un’estate quantomeno bizzarra dal punto di vista meteorologico, sarà ricordata anche per il fatto che in quattro giorni non è caduta neanche una goccia di pioggia. Unici svantaggi di questo clima virato verso i trenta gradi fissi sono stati le grosse quantità di sabbia respirata, problema serio per chi soffrisse di asma, l’elevata percentuale di metallari ustionati dal sole a dispetto della crema protezione 50 e un aumento delle code ai rubinetti per l’erogazione di acqua potabile (che, ricordiamolo ancora una volta, a Wacken è gratis). Per il resto, è tutto più facile: gli spostamenti tra un palco e l’altro, la possibilità di visitare il paese che dà il nome al festival, le visite in piscina accompagnati dai Blaas Of Glory, la band itinerante che sbuca nei momenti più impensati e ti fa fare anche i wall of death in acqua e, soprattutto, la possibilità di assistere agli oltre cento concerti in programma in quattro giorni di festival senza il rischio di impantanarsi ogni due secondi.
Come da tradizione, il mercoledi a Wacken è un giorno di warm up, in cui i tre palchi principali sono chiusi, ma sui palchi cosiddetti minori non mancano le occasioni di interesse. Fra queste, ricordiamo, ci sono le prime esibizioni dei vincitori della tradizionale Mtal Battle, che portano in scena una band per ogni Paese partecipante, che arriva di diritto dopo una lunga selezione. L’Italia, che l’anno scorso non partecipava per le consuete rotazioni tra Paesi, quest’anno è rappresentata dai Tarchon Fist, che sono anche l’unica band tricolore in cartellone per tutto il festival. Quattro brani per loro, per i canonici venti minuti di esibizione consentiti ad ogni band vincitrice della propria Metal Battle, e l’emozione di vedere su questo palco una band di spessore, con molti album alle spalle e un’esperienza notevole per quanto riguarda le esibizioni live (anche all’estero), è notevole. I Tarchon Fist, dal canto loro, non si risparmiano nel tempo a loro disposizione e ottengono da subito l’attenzione del pubblico, già piuttosto consistente a livello numerico (siamo intorno all’una di pomeriggio).
Facciamo ritorno sotto il tendone del W.E.T. e dell’Headbanger Stage a metà pomeriggio, per una serie di band diverse fra loro ma sempre interessanti. Si inizia con gli Stiff Little Fingers, una band irlandese superstite del primo movimento punk. La formazione attuale contempla ancora due membri fondatori, il carismatico cantante e chitarrista Jake Burns e il bassista Ali McMordie, e la formazione regala all’attento pubblico di Wacken un set divertente, caratterizzato da una cover, “Doesn’t Make It Alright” dei The Specials, e una serie di vecchi cavalli di battaglia, come “Alternative Ulster”, “Wasted Life” “Nobody’s Hero” e “Suspect Device”. Promossi su tutta la linea per l’immediatezza dei loro brani e la loro capacità di coinvolgere tutti.
Dopo questa scarica di adrenalina, non è facile ottenere lo stesso livello di attenzione, e infatti lo show dei Fischer-Z sembra un po’ sottotono. La band inglese, fondata dal cantante e chitarrista John Watts, ha una ragguardevole carriera alle spalle, che interessa quasi quattro decenni di storia della musica, ma la loro proposta, con brani molto più tranquilli e dai testi intimisti, pur mettendo in luce il grande senso artistico di Watts, rischia di essere troppo contrastante con il resto delle proposte della giornata.
Tocca poi ai Nazareth, altro nome storico ad esibirsi nel corso della serata, e altra band capace di realizzare un live di tutto rispetto. Nonostante anche questa formazione abbia subito diversi rimaneggiamenti nel corso degli anni, il più importante dei quali è l’ingresso del giovane Carl Sentance alla voce, i Nazareth sono ancora capaci di esibirsi in grande stile, fra cover di artisti quali Joni Mitchell e Leon Russell e pezzi appartenenti alla storia della band, come l’ottima “Razamanaz” o “Dream On”. Un altro concerto, insomma, del tutto degno di attenzione.
Si cambia genere ancora una volta, e si torna in ambito punk rock con una formazione più giovane ma non meno ricca di esperienza live. I Backyard Babies ci regalano quindi un altro live esplosivo, in cui Nicke Borg e Dregen dominano come sempre, dividendosi fra brani del passato della band, come “A Song For The Outcast”, “The Clash” e “Minus Celsius”, a pezzi un po’ più recenti come “Nomadic” e “Th1rt3en Or Nothing”. Li aspettiamo ora al varco con brani inediti, e ci auguriamo che come sempre riescano a coinvolgerci al massimo.
La serata volge al termine con una delle band che, puntualmente, ogni tre anni si ripresenta sul palco di Wacken. Stiamo parlando dei Sepultura, ottima band dal vivo anche con questa formazione, ormai consolidata con il passare degli anni. Derrick Green è una presenza imponente sul palco, dal fascino magnetico, in un certo senso primordiale, sia che impugni il microfono per brani come “I Am The Enemy” o “Phantom Self”, sia che si scateni dietro ai tamburi o che riporti sul palco vecchi successi della band, come l’immancabile “Roots Bloody Roots”, “Refuse/Resist” o “Arise”. Nessuna sorpresa, quindi, per quanto riguarda la setlist, ma ancora una volta la sicurezza di vedere sul W.E.T. Stage una formazione storica dalle capacità eccellenti. Nessun passo falso particolare, quindi, per questa prima giornata, che si conclude con le aspettative del domani, quando il festival entrerà nel vivo.
