Il momento è arrivato. La tranquilla cittadina di Wacken, 74 km a nord di Amburgo, è pronta a ricevere le decine di migliaia di metal fan provenienti da tutto il mondo per la XIV edizione dell’evento metal europeo.
Le esibizioni dei gruppi convenuti vengono eseguite su quattro palchi che in ordine di importanza sono il True Metal Stage, il Black Metal Stage, il Party Stage ed infine il Wet Stage. Passiamo ora al commento dei singoli concerti seguiti.
GIOVEDI’ 31/07/2003
CIRCLE II CIRCLE Ci accingiamo con curiosità ad assistere alla prima prova live del Wacken targato 2003, garantita dalla classe dei Circle II Circle di Zack Stevens, ex singer dei mitici Savatage. La band sul palco è potente e compatta e parte subito in pompa magna con ‘Out Of The Rich’ (song che apre il debut album del gruppo) per poi arrivare a ‘Watching In Silence’. Dal vivo le song sono trascinanti, ma il merito della riuscita di questo show va soprattutto attribuito alla magica voce di Stevens, il quale riesce col suo carisma a trascinare i kid presenti, ignari delle tre chicche preparate per loro dalla band. Suddetta sorpresa consiste nelle cover piuttosto scontate di ‘Edge Of Thorns’ e ‘Taunting Cobras’ dei Savatage, leggermente rallentate rispetto alle versioni originali, e di ‘Welcome Home (Sanitarium)’ dei Metallica. Piccolo appunto sul chitarrista Le Blanc, il quale ha sbagliato le parti sulla cover dei ‘Tallica. Nel complesso, comunque, una buona prova
(FC)
ANNIHILATOR
Gli Annihilator si presentano al pubblico di Wacken puntando moltissimo sul loro nuovo acquisto dietro il microfono, ossia Dave Padden. Il giovane singer proveniente dalla scena underground metal di Vancouver si rivela uno degli assi nella manica per lo show della band capitanata dal virtuoso Jeff Waters. Il vocalist riesce ad interpretare senza problemi i pezzi maligni e potenti dell’epoca di Randy Rampage (‘W.T.Y.D’, ‘Alison Hell’), quelli robusti del periodo di Coburn Pharr ed infine le partiture più tecniche di Aaron Randall con ‘Set The World On Fire’. Gli Annihilator, che hanno potuto godere di un ottimo sound, hanno offerto una prestazione tecnicamente ineccepibile, ricca di passaggi complessi, alternati a momenti di aggressione pura come nel caso di ‘King Of The Kill’ o un altro classico di Waters e compagni, ‘Phantasmagoria’.
(AE)
VICTORY
L’inizio dello show dei Victory, storica formazione tedesca impegnata in ambito hard rock, non parte nel migliore dei modi, a causa di problemi tecnici all’impianto voce. In ogni caso il gruppo riesce a convincere ed è difficile non farsi trascinare dal coro di ‘Temples Of Gold’ e ‘Are You Ready’, brano nel quale le melodie vocali dei Victory spingono il pubblico a gridare a squarciagola. La bruciante ‘Check In The Mail’ e la sognante ‘Arsonist Of The Heart o l’opener del concerto ‘Hungry Heart’ dimostrano come il gruppo sia in piena forma ed all’altezza della fama del True Metal Stage. Va ricordato anche il divertente siparietto di cui è stato sfortunato protagonista il chitarrista, prodottosi in una spettacolare caduta sulle assi del palco. Quest’episodio ha preceduto il finale dello show, riservato a ‘Don’t Tell No Lies’. In conclusione si può affermare che i Victory hanno dimostrato di saper divertire i presenti con il loro hard rock.
(FC)
SAXON
Concluso il concerto dei Victory c’è il tempo anche per una piccola e gradita sorpresa. I Saxon, arrivati a Wacken per presentare il nuovo DVD antologico, salgono improvvisamente e senza preavviso sul True Metal Stage. La band esegue solo tre brani, ossia ‘Motorcycle Man’, ‘Princess Of The Night’ e ‘Denim And Leather’. I fan rimangono rapiti e felici per la sorpresa, la band ha suonato bene e Byford ha dimostrato ancora una volta di essere un ottimo frontman. Finito lo show dei britannici è il momento di ascoltare gli headliner di questa prima giornata, i pirati di Rock’n’Rolf.
(FC)
RUNNING WILD
Una folla oceanica accoglie la battagliera nave pirata dei Running Wild. Il gruppo tedesco, forte di una notorietà elettrizzante in terra natia inizia un concerto che produrrà effetti trionfali. Stranamente il brano scelto quale opener del concerto è la vecchissima ‘Gengis Khan’; la folla risponde con clamore alle plettrate sicure di Rock’n’ Rolf e compagni. La nuova formazione dei Running Wild ci presenta una triade di giovani professionisti particolarmente affiatati. Il biondissimo batterista, Thomas Liebetrud (evidentemente un amante del body building, vista la muscolatura assai prospera), si produrrà in un entusiasmante assolo di batteria dopo aver strappato la propria maglietta (in un numero degno del vecchio hard rocker canadese Thor); il chitarrista, Bernd Aufermann, acclamerà i fan convenuti scattando una foto con la propria macchina; il bassista, Peter Pichel, si ritaglierà il proprio momento di gloria con l’intro del classico intitolato ‘Conquistadores’. Il leader assoluto ed indiscusso del gruppo rimane l’acclamatissimo Rock’n’Rolf, che sapientemente propone una serie di classici da brividi. Una dietro l’altra vengono eseguite ‘Little Big Horn’, ‘Riding The Storm’, ‘Prisoners Of Our Times’, ‘Bad To The Bone’, ‘Branded And Exiled’, ‘Under Jolly Roger’. Oltre alla serie di classici snocciolati con successo dalla band vengono suonate anche tante nuove composizioni che riescono a conquistare l’audience… da ‘Welcome To Hell’ a ‘Brotherhood’ sino alla scopiettante ‘Victory’. Un momento particolarmente riuscito ed appassionante è legato all’esecuzione della lunga ed intensa suite ‘Treasure Island’, introdotta da un lungo intro recitato; Rock’n’Rolf si presenta indossando il classico tricorno e si lancia nella song ispirata al mitico romanzo di Stevenson. Viene quindi eseguito l’inno metallico ‘Chains And Leather’ che, cantato in coro da tutti i fan di Wacken, chiude la performance dei tedeschi. Fuochi d’artificio a sorpresa illuminano per un ultimo momento l’immensa folla festante dei kid tedeschi, che continuano ad inneggiare a lungo i propri beniamini. I primi headliner di W:O:A 2003 hanno offerto un grandioso spettacolo. (LC) VENERDI’ 01/08/2003
EXTREME NOISE TERROR
La seconda giornata del Wacken si apre con un sole ancora più caldo della prima e con una nutrita schiera di gruppi dediti al sound estremo. Per problemi logistici e di sovrapposizioni ci perdiamo gli svedesi Dew-Scented, ma riusciamo ad assistere alla performance degli inglesi Estreme Noise Terror, ex-side project di Barney Greenaway dei Napalm Death. Il gruppo si presenta con una formazione a cinque, con i due cantanti Phil Vane e Dean Jones, uno per ogni tipo di growling adottato. Violenza death-core e sprazzi di follia grind sono gli ingredienti fondamentali degli ENT. Nel prosequio dell’esibizione risulta evidente che la band non sembra colpire come dovrebbe, anche se brani tratti da lavori cardine per il grind come ‘Holocaust In Your Head’ e ‘Retro-Bution’ non lasciano certo indifferenti. Non si va oltre la sufficienza abbondante.
(AE)
THE CROWN
Sono gli svedesi The Crown a salire per secondi sul Black Metal Stage; il loro intento è di assaltare frontalmente il pubblico con il classico sound thrash/death di scuola Stoccolma, aspro, veloce e folle. Lo show del gruppo si distingue per ottimi suoni ed esecuzione quadrata di track come ‘1999: Revolution 666’ e ‘World Below’, che mostrano un’impressionante furia nel riffing della coppia Tervonenn/Sunesson ed un lavoro di batteria assolutamente assassino, opera di quell’ottimo tortura-pelli che risponde al nome di Janne Saarenpää. Il tutto viene degnamente supportato dalla straziante voce del cantante originale Johann Lindstrand, da poco rientrato in formazione dopo l’improvvisa dipartita di Thomas Lindberg (At the Gates, The Great Deciver, Lock Up). Purtroppo, nonostante la bontà e la particolarità del sound dei The Crown, il quintetto svedese appare non sempre in grado, dal vivo, di mantenere ad un uon livello la tensione emotiva degli ascoltatori. Il punto debole di questo concerto è senz’altro da riconoscere nella scarsa prestazione del vocalist. I The Crown sono stati distruttivi ma troppo discontinui.
(AE)
SEVENTH ONE Il gruppo svedese inaugura la seconda giornata del W:O:A sul Party Stage, di fronte ad un nutrito (ma non troppo) numero di fan. Autori di un solo album, i Seventh One si lanciano nell’esecuzione sicura e precisa dei brani di ‘Sacrifice’, che in sede di recensione non aveva affatto convinto. Dal vivo il gruppo denota potenza e passione, ribaltando il giudizio espresso per il lavoro effettuato in studio. I possenti brani di puro heavy metal intitolati ‘The Seventh Eye’, ‘Sacrifice’ e ‘Crimson Sky’ riescono a conquistare un’audience non sempre attenta. Il brano di punta dell’esibizione dei Seventh One è però ‘Hallowed Ground’, un mid-tempo epico dalla portentosa carica espressiva ed emotiva. Il singer Rhino sa cavalcare egregiamente le emozioni di questo brano e riesce a far cantare il coro da buona parte del pubblico. Purtroppo l’esibizione del gruppo subisce un malaugurato acciacco per i problemi tecnici al basso di Jorgen Olsson, ma nonostante quest’inconveniente, la carica del chitarrista Johannes Losback e compagni non viene intaccata e dona una performance buonissima.
(LC)
DIAMOND HEAD
E’ arrivato il momento dei Diamond Head, band fulcro della NWOBHM, coverizzata ed ammirata dai Metallica. Il gruppo è piuttosto statico sul True Metal Stage (si esibisce a partire dalle 14,00); forse i nostri cominciano a sentire il peso dell’età. Vengono sciorinati molti dei classici del combo, tra i quali vale almeno la pena ricordare ‘Am I Evil’ ed ‘Helpless’, probabilmente le due composizioni piu note (anche ai più giovani grazie alle cover di Hetfield soci). A parte questo Sean Harris e compagnia hanno dato vita ad un buono show d’intrattenimento, ottimo antipasto di ciò che ci avrebbe aspettato di lì a qualche ora con i Twisted Sister.
(FC)
DISMEMBER Torniamo di fronte al Black Metal Stage, l’area estrema del festival, per osservare la performance di una delle formazioni storiche della scena death svedese, i Dismember. Il five piece scandinavo affronta una prova molto importante, che coincide con il loro primo decennio di attività. Purtroppo i musicisti, poco sciolti e privi di mordente ed aggressività, deludono ed annoiano (escludendo l’ottima prestazione del drummer Fred Estby). Il dinamismo quasi epico che contraddistingue molte delle produzioni Dismember (soprattutto fino a ‘Massive Killing Capacity’), sembra latitare in sede live, non solo per le composizioni del più recente ‘Hate Compaign’, ma anche quando si tratta di pescare da album come ‘Like an Ever-Flowing River’ o ‘Indecent And Obscene’. Va comunque sottolineata una produzione suoni un po’ troppo impastata. Si spera non debba trattarsi di un canto del cigno per uno dei combo più rappresentativi della scena scandinava.
(AE)
FREEDOM CALL
L’attesa per la performance dei Fredom Call sembra spasmodica! Di fronte al True Metal Stage sono assiepati tantissimi fan della band tedesca che sa di potersi esibire di fronte ad un pubblico fedele. Chris Bay e compagni appaiono subito in forma con un inizio arrembante e iper attivo. Viene presentato al pubblico il tastierista Nils, che aggiunge un vigore inaspettatto al sound mellifluo ed energico dei Freedom Call. Sin dalle prime battute è evidente come la carica positiva ed energica del sound speed-classic metal della band tedesca abbia ormai fatto presa sul pubblico locale, che canta in coro tutti i ritornelli delle song presentate. Colpisce nel segno l’esecuzione di ‘Fallen Angels’ che vede le prime fila dei presenti saltellare al ritmo accattivante del brano. Altro pezzo storico è ‘The Quest’ (dal secondo album ‘Crystal Empire’), che, lungo ed articolato, illustra le varie anime di questo gruppo talentuoso. Il cantante Chris Bay si presenta nella duplice veste di chitarrista e vocalist e senza dubbio risulta evidente come sarebbe ancor più grandiosa la sua performance al microfono se non dovesse occuparsi di suonare contemporaneamente la sei corde. Il concerto del gruppo continua con un brano emozionante e ritmato come ‘Land Of Light’, dall’ultimo ‘Eternity’; anche questo brano è caratterizzato da una linea ritmica travolgente che provoca nuovamente una reazione “a balzelloni” veramente divertente e coinvolgente (il ritornello poi viene cantato da tutti). Anche gli altri componenti della band furoreggiano ed in particolare va sottolineata la forma eccelsa di Dan Zimmerman alla batteria, che si destreggia abilmente in un brano hyper fast come lo splendido ‘Flying High’. Nella seconda parte dello show Chris Bay si lancia in un’esecuzione da manuale di ‘Warriors’ coinvolgendo il publico, facendo cantare il bellissimo ritornello innumerevoli volte. Il finale del concerto è per la song intitolata ‘Freedom Call’ ed è ancora un tripudio. Lo show dei Freedom Call è stato il migliore fra quelli eseguiti dalle band di classic metal… e non solo. Indimenticabile.
(LC)
SENTENCED
Deludenti e sornioni i Sentenced hanno sprecato un’occasione d’oro. Ville Laihiala si presenta ubriaco e non azzecca nulla, la sezione ritmica è spompata ed il resto risulta insufficiente. Vengono eseguiti brani che pescano da tutta la discografia ma non lasciano nessun segno; fra i brani eseguiti si segnalano ‘The River’, ‘Cross My Heart And Hope To Die’, ‘Bleed’, ‘No One There’. Colpisce l’esecuzione della vecchia ‘Nepenthe’ ma lo show sembra che non voglia affatto decollare. La cover ‘The Trooper’ dei Maiden affonda definitivamente la performance dei Sentenced.
(LC)
RAISE HELL
La cappa infernale (sia per musica che per ‘effetto serra’) del Wet Stage, l’unico palco coperto della manifestazione, ci accoglie con il colpo d’occhio di una notevole presenza di pubblico, giunto per assistere all’esibizione dei Raise Hell. La velocità del riffing ed anche della batteria si impone, nello show dei Raise Hell, ma i cinque scandinavi si dimostrano abbastanza abili nello spostare il baricentro musicale della loro proposta dall’aggressione aspra ai momenti più cadenzati ed heavy, che non sembrano privi di una particolare dose di melodia, anche in certi frangenti dove il riff-o-rama delle due chitarre si sposta verso il balck. I Raise Hell presentano un sound che unisce i Destruction di oggi più una versione molto brutale e semplificata degli Arch Enemy, con alcuni riferimenti anche agli Immortal del periodo ‘Sons Of Northern Darkness’ ed al thrash teutonico degli anni ’80. La reazione del pubblico, molto coinvolto dai furibondi attacchi all’arma bianca del gruppo svedese, fa capire che il gruppo c’è e sa farsi rispettare.
(AE)
PRIMAL FEAR
Sono ormai le 18.30, quando a salire sul True Metal Stage del Wacken tocca al combo capitanato dal mastondontico Ralf Scheepers. Il gruppo è solido come una roccia ed il loro show fila liscio come l’olio. Vengono presentati vari classici, da ‘Chainbreaker’ (tratta dal loro omonimo primo lavoro, probabilmente la loro miglior fatica discografica) a ‘Nuclear Fire’, passando da ‘Under Your Spell’ ed ‘Eye Of An Eagle’, per arrivare alla conclusiva e stupenda ‘Silver And Gold’. Ralf è un trascinatore; parla col pubblico, lo conduce per mano lungo tutto il concerto e riesce a coinvolgerlo sino ad utilizzarlo come accompagnamento per la propria prestazione canora. D’altronde i Primal qui sono di casa e come tutte le band tedesche presenti a questa XIV edizione del Wacken vengono considerati veri e propri idoli (impressionante anche lo spettacolo di effetti pirotecnici a loro riservato). In definitiva lo show dei Primal Fear è stato “tirato” e divertente.
(FC)
TESTAMENT
Quando i Testament devono calcare un palco per esibirsi l’atmosfera si carica di un fortissimo magnetismo, simile a quello che, generalmente precede un terribile nubifragio. L’intro ‘Eerie Inhabitants’ fa da prologo all’opener ‘The New Order’, che scatena la follia tra l’audience assiepata di fronte al Black Metal Stage. Chuck mostra subito di essere in forma smagliante, risfoderando il cantato aspro e maligno degli esordi e limitando gli inserti di growl, che vengono lasciati per i pezzi più recenti come la mastodontica ‘D.R.I’ e l’inquietante ‘True Believer’. La mobilità del singer americano non è certo fulminea sul palco, ma sta proprio in questo la sua potenza carismatica. La furia degli elementi in questione è generata dal duo di chitarre Peterson/Smith, che si alternano con incredibile facilità negli assoli, anche in quelli tecnicamente più complessi di ‘Low’, ‘Alone in the Dark’ ed ‘Electric Crown’. Tutta questa dimostrazione di potenza, abilità e feeling, purtroppo, viene guastata da una gestione dei suoni a dir poco criminale se si pensa che ci troviamo nel metal festival più importante del mondo e che a suonare non sono certo cinque debuttanti (che avrebbe, comunque, il diritto lo stesso alla massima cura). Volumi continuamente assettati durante l’esibizione, chitarre soliste che improvvisamente spariscono (specialmente il povero Peterson), la voce di Chuck che risulta perfetta solo nelle partiture growl, mentre nei puliti più acuti il microfono non cattura a pieno la potenza vocale del singer americano. Idem come sopra per Di Giorgio, che si danna l’anima in virtuosismi che difficilmente possono essere apprezzati. Nonostante queste difficoltà il quintetto della California inanella una sequenza di brani dalla ferocia impressionante, come ‘Into The Pit’, ‘Over the Wall’, ‘Practiche What You Preache’, trasformando le prime file in autentiche trincee dove si combatte una battaglia corpo a corpo ferocissima. Supportati, anche in quest’occasione dal funambolico Asgeir Mickelson (Spiral Architect, Borknaggar, Vintersorg), i Testament chiudono questa maiuscola prova di forza e talento con la classica ‘Disciples of the Watch’, colpo di grazia inferto con grande classe alle prime file, ormai distrutte dal mosh. I Testament ha convinto in pieno rilasciando una grandiosa performance!
(AE)
TESTAMENT
La curiosità di vedere all’opera il combo americano dei Testament, già passati in Italia per il No Mercy Festival, ma con la scusante di un Chuck Billy appena guarito, era notevole. Si può tranquillamente sostenere che tanta spasmodica attesa è stata soddisfatta in modo perfetto. La band (in piena forma, specialmente il singer Billy) ha sciorinato classici del thrash per più di un’ora, dando vita ad un’esibizione travolgente e trascinante che ha spinto ben più di un kid in uno stagediving selvaggio. Si parte subito alla grande con ‘The New Order’ e ‘Practice What You Preach’, due gemme metalliche estrapolate rispettivamente dal secondo e dal terzo lavoro della band, per proseguire con ‘Low’ e ‘TNR’. In seguito vengono eseguite ‘True Believer’ da ‘The Gathering’ ed ancora pezzi vecchi come ‘Alone In The Dark’ e ‘Into The Pit’. Viene anche il momento di ‘Electric Crown’, forse la miglior canzone di ‘The Ritual’, album valido ma al tempo piuttosto criticato. Insomma, lo spettacolo di stasera passa in rassegna quasi l’intera discografia ad eccezion fatta per ‘Demonic’, unico disco ignorato. A questo punto si è ormai arrivati alla fine dello show e rimane il tempo di eseguire ancora due song, ossia ‘Over The Wall’ e la mitica ‘Disciples Of The Watch’. Il grande indiano e la sua truppa sono tornati in forma e più che mai intenzionati a far scuotere le teste dei kid di tutto il mondo in un headbanging furioso. Se proprio si dovessero muovere delle critiche ad uno show tanto gustoso ed emozionante, si potrebbero solamente citare le equalizzazioni della chitarra di Peterson, un po’ sottotono negli assoli ed in genere dei suoni non ottimali, ma nulla che potesse rovinare la festa ai ragazzi accorsi per accogliere i cinque di San Francisco.
(FC)
GAMMA RAY
Kai Hansen e compagni hanno dato vita ad uno show legato trettamente al live album che uscirà a breve intitolato ‘Skeletons In The Closet’. Infatti il primo brano è lo stesso, ossia ‘Garden Of The Sinner’. Purtroppo lo show del “Raggio Gamma” delude le aspettative; Kai non è per niente in forma (forse anche perchè per quasi tutto il primo brano i fonici sbagliano qualcosa e il singer si ritrova con il microfono privo di “volume”) e gli altri lo seguono (escluso Dan Zimmermann, semplicemente spettacolare!). Vengono estrapolati altri pezzi dal live già citato, come ‘Guardians Of Mankind’, ‘One With The World’ e ‘The Silence’ (cantata, nel finale, insieme a Ralf Scheepers, primo singer dei Gamma Ray, ora in forza ai Primal Fear). Non manca ovviamente un tuffo nel passato helloweeniano di Hansen con l’esecuzione di una spompata ‘Victim Of Fate’. Il pubblico dimostra grande affetto per il gruppo ma l’esibizione è da dimenticare. Deludenti.
(LC)
IN FLAMES
La sera è ormai calata sul grande spiazzo che ospita la ‘metal citadel’ di Wacken ed il pubblico, come già in occasione della prova di forza dei Testament, si assiepa numerosissimo di fronte al Black Metal Stage, dove fanno irruzione (è proprio il caso di dirlo) con uno spettacolare gioco di luci ed effetti pirotecnici degno del miglior concerto dei Kiss (con tanto di fuochi d’artificio alla fine!!!) gli In Flames, che stanno vivendo un vero e proprio periodo aureo dopo la pubblicazione del loro ottimo ‘Reroute to Remains’. Friden e compagni dimostrano subito di essere in forma smagliante e di meritare una collocazione così alta nel tabellone del Wacken, partendo a razzo con brani della nuova generazione come ‘System’, ‘Reroute to Remains’ e ‘Transparent’, dove spicca l’ottimo suono di cui godono i cinque svedesi e la prestazione assolutamente da incorniciare del drummer Daniel Svensonn. Un’entità musicale compatta ed in perfetta armonia, un corpo celeste che sprigiona una potenza pari ad un migliaio di stelle: tutto ciò sono gli In Flames questa sera. Il combo scandinavo, in assoluto stato di grazia, passa ad inanellare classici come ‘Episode 666’, ‘Only for the Weak’ e la storica ‘Behind the Space’ dal loro disco di debutto ‘Lunar Strain’, rivisitata però in chiave più thrashy, secondo l’inerzia dell’ultimo periodo compositivo. La presenza scenica della formazione di Gotheborg è essenziale ma estremamente coinvolgente, frutto, probabilmente, dell’esperienza maturata durante i tour statunitensi e l’alternarsi di composizioni recenti come ‘Trigger’, ‘Clayman’ e ‘Drifter’ e di più classiche come ‘Food for the Gods’ e ‘Moonshield’, l’unica tratta dal capolavoro ‘The Jester’s Race’, mette in luce lo straordinario feeling esecutivo ed il gusto melodico sviluppato dalle due asce Stromblad e Gelotte. Frieden interpreta in maniera precisa e sanguigna i brani, catalizzando l’attenzione del pubblico, fino al momento delle fiammate e dei fuochi d’artificio finali (e qui non stiamo usando solo metafore), con il masterpiece ‘Pinball Map’ e ‘Colony’ a chiudere una delle performance più significative di questo Wacken 2003. Unico rammarico; l’inclusione di un solo pezzo da ‘The Jester’s Race’ nella scaletta, visto che parliamo di una delle loro creazioni più rappresentative, con pezzi come ‘Lord Hypnos’, ‘Artifacts Of The Black Rain’ e ‘December Flowers’ che produrrebbero delle conseguenze devastanti sul pubblico. Al di là di questo, però lo show degli In Flames è stato un trionfo di grandezza siderale.
(AE)
TWISTED SISTER
Arriva quindi il momento piu atteso del secondo giorno del Wacken, ossia l’incontro con la storia, un meraviglioso tuffo nel passato dell’hard rock. Arrivano loro, i grandi ed irriverenti Twisted Sister. Quando il colossale Dee Snider si presenta sul True Metal Stage si percepisce subito quanto sia in piena forma, truccato e vestito come nell’era aurea delle “sorelle gemelle”. Il combo ha preparato uno show esplosivo che presenta il meglio del proprio repertorio, con tanto di effetti pirotecnici durante l’esecuzione di ‘Fire Still Burns’ e ‘Burn In Hell’. Si comincia subito con un grande cavallo di battaglia della band quale ‘The Kids Are Back’; mentre viene eseguito questo brano la folla risulta già rapita dall’istrionico Snider e canta i cori fino a perder la voce. Si prosegue con ‘Stay Hungry’ e ‘Destroyer’ ed il vocalist continua il suo show personale di coinvolgimento dei presenti. A seguire sono arrivate ‘You Can’t Stop Rock’n’roll’ tratta dall”omonimo LP e ‘I Am I’m Me’ con il suo ritornello ruffiano e l’incedere che ti entra nelle vene obbligandoti a muoverti e ballare. Quindi seguono la già citata ‘Fire Still Burns’ (con tanto di lingue di fuoco che si innalzano al fianco della batteria di A.J. Pero), ‘Ride To Live Live To Ride’ (introdotta da un discorso durante il quale Dee afferma che la song in arrivo farà la felicità dei motociclisti), seguita a ruota da ‘Shoot Em Down’. Si giunge ad uno dei momenti topici della serata, ovvero una delle loro song piu amate e conosciute, ‘We’re Not Gonna Take It’. Il brano, travolgente e scoppietante, viene cantato da tutti i presenti nell’arena concerti del Wacken. Giunge la parte conclusiva di una serata che vorremmo non finisse mai, trascinati da un singer che è rimasto lo stesso di anni fa, cioè un animale da palco incapace di stare fermo un secondo, trascinatore nato che dialoga continuamente col suo pubblico, accompagnato da quella che lui ha più volte ribadito la formazione storica dei Twisted Sister, con tutti i membri originali che hanno spopolato in lungo e largo per il globo. Lo show prosegue fin troppo velocemente con la romantica ‘The Price’ , ‘I Believe In Rock’n’roll’ e la già citata ‘Burn In Hell’. C’è spazio anche per il drum solo di A. J. Pero e per un simpatico siparietto in cui il singer imita l’ingrassato Mendoza. C’è infine ancora spazio per ‘SMF’ e per la conclusiva ‘Come Out And Play’. I fuochi artificiali salutano i nostri beniamini tornati ancora una volta per farci divertire al ritmo del loro irriverente ma contagioso rock’n’roll.
(FC)
SABATO 02/08/2003
HOLY MOSES
La terza ed ultima giornata del W:O:A Festival si apre con un improvviso (per la verità già annunciato la sera prima dal maxi-schermo che congiunge i due palchi principali) cambio di scaletta: i death metaller olandesi Sinister hanno dovuto dare forfait per motivi non precisati (ma si pensa a liti interne, visto che fino alla sera prima la cantante Rachel ed il batterista si aggiravano per il paddock). Al loro posto inaugurano la giornata per il Black Metal Stage gli Holy Moses, storica formazione del thrash tedesco, una tra le prime band estrema a vedere dietro il microfono una cantante; la carismatica Sabine Classen. Il quintetto di casa parte subito in quarta, dimostrando di non sentirsi assolutamente penalizzato da questo ruolo di ‘panchinaro’ di lusso. I suoni sono più che buoni, la band sembra essere oliata alla perfezione nei suoi ingranaggi esecutivi, ed il feeling tra i componenti, guidati dalla battagliera ed istrionica Sabine, è di quelli migliori. Il quintetto propone track-list che pesca in maniera abbastanza eterogenea nella nutrita discografia del five-piece tedesco: ‘Queen Of Siam’, ‘Finished With The Dogs’ e ‘World Chaos’ sono i full-length maggiormente sondati, assieme all’ultima fatica ‘Disorder Of The Order’, dal quale vengono tratte ‘Hell On Earth’ e il pezzo in lingua madre ‘Verfolgungswahn’. L’energia di una prova strumentale compatta e la performance aggressiva della frontwoman trasformano quello che doveva essere un concerto tappabuchi in quaranta minuti di adrenalina, che riescono parzialmente a svegliare dal torpore mattutino il pubblico ancora un po’ assonnato.
(AE)
THYRFING
In piena mattinata sul True Metal Stage giunge l’unica band di viking metal presente quest’anno al Wacken. Si tratta degli svedesi Thyrfing, autori di un capolavoro come ‘Valdr Galga’ (release che viene assurdamente penalizzata in questo show). Purtroppo la performance della band viene incentrata sulla produzione più recente, ossia i brani di ‘Urkraft’ e ‘Vansinnesvisor’. I Thyrfing si dimostrano estremamente compatti ed il sound cantilenante e ritmico della loro musica riesce a far breccia fra i presenti. Il gruppo si presenta con lo stesso make-up approntato per le foto promozionali dell’ultimo album ‘Vansinnesvisor’ e di conseguenza i musicisti appaiono ricoperti di cenere e finto sangue, indossando abiti stracciati, antichi e barbarici. Appaiono in forma soprattutto il singer Thomas Vaananen ed il tastierista Peter Lof. Il sound ipnotico creato dalle chitarre di Patrik Lindgren e Henrik Svegsjo trasmette il meglio di sé con track quali ‘Mkolner’, una vera mazzata! Con tanto di introduzione abbiamo poi un altro ottimo pezzo, intitolato ‘The Voyager’, particolarmente cadenzato e trascinante. La performance dei vichinghi svedesi si colloca fra le sorprese positive del festival.
(LC)
HUMAN FORTRESS
Devo dire che i tedeschi Human Fortress sono riusciti a colpire con una grinta inaspettata. Il bel cantante Jioti Parcharidis sfoggia buone doti carismatiche e cerca di trascinare un pubblico poco numeroso e non eccesivamente attento. La band (composta da ben sei elementi e tre chitarre elettriche) si esibisce sotto il tendone del Wet Stage e basa il proprio show sul primo ed unico album sino ad ora registrato, ossia ‘Lord Of Earth & Heavens Heir’ (anche se il secondo, per la Massacre, non tarderà ad uscire). Non mancano sorprese dal nuovo CD intitolato ‘Defenders Of The Crown’. In linea di massima la miscela hard rock-speed metal presentata dai sei bardi tedeschi (vestiti in costumi medievaleggianti) sembra comunque risultare gradita ai più e senz’altro un secondo album all’altezza del primo riuscirà a consolidare la posizione degli Human Fortress nel panorama metal europeo.
(LC)
TWISTED TOWER DIRE
Il gruppo statunitense giunge in terra tedesca e tributa al Wacken una grandissima performance, fisica e d’impatto! Con i Twisted Tower Dire si assiste, come del resto ci si poteva aspettare (il loro ultimo album, ‘Crest Of The Martyrs’ è una della più belle sorprese degli ultimi mesi in ambito classic metal), ad uno spetacolo di puro ed incontaminato metal. La maggior parte dello show è ovviamente incentrata sugli innumerevoli hit del’ultimo album in studio del gruppo. Vengono snocciolate, fra le altre, autentiche gemme come ‘Fight To Be Free’, ‘By My Hand’ (il cui coro viene cantato in compagnia dei fan), ‘Axes & Honor’. La vecchia (scritta otto anni fa) ‘The Witch’s Eyes’ viene annunciata da Tony Taylor, il singer della band, come una delle migliori song metal degli ultimi anni ed infatti il risultato ottenuto dall’esecuzione di quest’ottimo brano è evidente sui volti soddisfatti e sorridenti dei presenti. Altro brano che ha fatto strage di consensi fra i presenti è il feroce ‘To Be A Champion’, ottimo rullo compressore dal riffing arrembante. Il set dei Twisted Tower Dire si conclude con una sopresa, ossia la cover di ‘The Trooper’ degli Iron Maiden, che ovviamente viene cantata interamente in coro da tutti i presenti. Protagonista quasi assoluto sul palco è il cantante Taylor, che si dimostra un vero istrione dichiarando : “Negli USA noi suoniamo questa musica e molti ci considerano folli o stupidi… beh, noi suoniamo con il cuore e non ci curiamo di queste persone! Qui al Wacken ho portato i miei due figli (due bellissimi bimbi, un maschietto e una bambina, n.d. Leonardo) così potranno dire di aver visto il Wacken al posto di Disneyland!!”. La prestazione dei Twisted Tower Dire è stata eccellente e si è tenuta sul Party Stage in tarda mattinata. Un vero peccato per chi l’ha persa!
(LC)
MALEVOLENT CREATION
L’aria attorno al Black Stage si scalda e non solo per un clima che sta raggiungendo temperature giamaicane. Dopo gli Holy Moses, a calcare lo stesso ‘altare’ dedicato ai truci riti del metal estremo, sono i Malevolent Creation, una delle leggende del death metal made in Florida. A differenze delle ultime loro due apparizioni in Italia (gli ultimi due No Mercy Festival), i M.C. possono godere, oggi, di un sound potente, pulito e con chitarre decisamente “spesse”, caratteristiche che esaltano l’indemoniato e meticoloso lavoro ritmico di Phil Fasciana e Rob Barret e la batteria incontenibile e fantasiosa, nella sua feroce opera di sterminio, di Ariel Alvarado. Partendo dalla spietata ‘Slaughter Of Innocence’ presa da ‘Retribution’ del 1992, passando per ‘Blood Brothers’ dal superbo ‘Manifestation’ fino all’ultima fatica ‘The Will To Kill’ con ‘The Cardinals Law’, il five-piece della Florida attraversa la sua decennale carriera mostrando muscoli, abilità e quel feeling perverso, incarnato dal carismatico frontman e growler Kyle Symons. 45 minuti non sono moltissimi, ma i Malevolent Creation hanno la classe per sfruttarli appieno e lasciare il segno di una delle migliori performance viste sul Black Stage del Wacken di quest’anno, facendo ‘…dei cimiteri le loro cattedrali e delle città le vostre tombe!’. Giù il cappello, signori!
(AE)
METALIUM
I Metalium giocano in casa e propongono alla festante folla del Wacken il solito ottimo spettacolo a base di solidissimo e ritmico heavy metal contornato da episodi ed interventi spettacolari (quali il numero da mangiafuoco sostenuto dal bassista Lars Rats e dal chitarrista Matthias Lange). Il set della band, portato sul True Metal Stage dalle 14,00 alle 15,00, propone soprattutto brani dal terzo e dal primo album. Colpiscono in particolare la carica di ‘Fight’ e la lunga e cadenzata ‘Odin’s Spell’. Il cantante, Henning Basse, dimostra ancora una volta la sua incredibile estensione (sicuramente Henning è insieme a Jorn Lande uno dei migliori cantanti del momento), mentre la linea ritmica dei Metalium è come sempre l’aspetto vincente di un gruppo che dal vivo rende quasi il doppio. La sorpresa di questo concerto è riservata per il finale. Giunti alle ultime battute il leader e bassista Lars prende il microfono per invitare sul palco una grande cantante con cui ha avuto l’onore di condividere parte della propria carriera. Ed ecco spuntare Jutta Weinhold, singer dei mai dimenticati e validissimi Zed Yago e poi dei discreti Velvet Viper (Lars Rats è stato il suo bassista per un bel po’ di tempo e non l’ha dimenticata, concedendole questo momento di gloria). Jutta canta un brano e poi invita per il finale Henning, con il quale duetta sull’arcinota ‘Rock’n’roll’ dei Led Zeppelin. Un bel concerto e una gradita sopresa.
(LC)
MASTERPLAN
Dopo i Metalium tocca ai Masterplan di Roland Grapow e di Jorn Lande conquistare le simpatie del pubblico di casa sul True Metal Stage. Ovviamente la scaletta è basata tutta sul loro unico album. Jorn Lande non tradisce le aspettative e dimostra prontamente di essere uno dei migliori vocalist hard rock heavy metal in circolazione, e attualmente ormai al livello di ugole d’oro del calibro di Coverdale (sua evidente fonte d’ispirazione), Tate e Dickinson. Comincio subito muovendo una critica alla scaletta piuttosto anomala, che vede escluse le coinvolgenti ‘Heroes’, ‘When Love Comes Close’ e ‘Sail On’, a favore di un medley composto da ‘The Chanche’ degli Helloween da ‘Sunset Station’, presente sul secondo album solista di Jorn e da ‘Dance With The Devil’, nonchè da una versione allungata e sporcata dall’assolo di ‘Smoke On The Water’ e di ‘Crawling From Hell’ (scelta alquanto discutibile). A parte ciò l’esecuzione di ‘Enlighten Me’ colpisce in modo egregio, ‘Kind Hearted Light’ vede Lande strappare consensi di ammirazione da chiunque; ‘Crystal Night’ raggiunge il picco piu alto di coinvolgimento da parte dei presenti fino ad arrivare alla conclusiva ‘Bleeding Eyes’. Mi ripeto… capisco l’esigenza da parte dei due maggiori componenti di proporre in sede live alcuni pezzi del proprio repertorio passato o solista, ma privare chi assiste di tre gemme quali le sopracitate canzoni escluse per un medley non mi sembra proprio una buona idea. Comunque per i Masterplan è facile prevedere un roseo futuro, in virtù anche di quanto visto oggi sul palco, ovvero affiatamento tra i componenti, classe e carisma.
(FC)
SOILWORK
Pomeriggio inoltrato su Wacken quando il Black Metal Stage accoglie una delle formazioni più interessanti ma, al contempo, più discusse dell’attuale scena metal internazionale, quei Soilwork. Il vero problema della band svedese sono sempre state le esibizioni live: scarso impatto scenico, debole coinvolgimento del pubblico e una certa carenza di energia che faceva perdere di mordente ai pezzi. Qui a Wacken la band scandinava si è parzialmente risollevata, grazie ad una buona prova strumentale e d’intrattenimento del pubblico, soprattutto da parte del frontman Speed Strid, il quale è apparso un po’ più sciolto rispetto alle ultime esibizioni, sospinto da una band in discreta forma. Purtroppo i Soilwork hanno migliorato di poco, visto che, in ogni modo, anche questo show ha avuto il sapore di un’occasione persa, soprattutto a causa della scaletta scelta, che si è rivelata eccessivamente ‘melodica’. Le ultime due release, infatti, sono state la base per la loro esibizione e da queste, il gruppo svedese (che dovrebbe dare più risalto al suo tastierista Sven Karlsson) ha eseguito quasi tutte le track più melodiche, lasciando quasi completamente in ombra quelle più aggressive. Sono stati ignorati completamente i primi due album e dal terzo lavoro, ‘A Predator’s Portrait’, il loro apice compositivo, è stata eseguita solo la splendida ‘Needlefeast’. Lo show scivola via in maniera abbastanza gradevole, ma risulta troppo ‘soft’, troppo rilassato. I Soilwork sono stati in gamba, non c’è che dire, ma rimangono, tuttora, una forte incognita live e sopraggiunge il timore di un eccessivo ammorbidimento per il loro futuro. Rimandati (ancora una volta) al prossimo concerto.
(AE)
ANCIENT RITES
Incredibile a dirsi… gli Ancient Rites vengono sbattuti nell’angusto spazio del Wet Stage (il più piccolo palco della manifestazione)! Il successo strabiliante dell’esibizione del gruppo belga è una risposta più che sufficiente a chi ha voluto inserire in uno spazio tanto ristretto questa band (quando il Party Stage è stato ad esempio utilizzato dagli Evidence One per suonare davanti a tre gatti). Il set della band belga, che suona di fronte ad una folla gremita, che riempie totalmente il suddetto Wet Stage, riesce a conquistare ed ipnotizzare gli astanti per tutti i 45 minuti dell’esibizione (avvenuta a partire dalle 18,15). I brani presentati ai presenti sono già resi noti dal recente CD live ‘…And The Hordes Stood As One’. Ad iniziare le danze tocca proprio a ‘Exile (Les Litanies De Satan)’, che apre anche il suddetto live; è poi la volta di ‘…And The Horns Called For War’, che rapisce e conquista tutti. Gunther, il carismatico leader del gruppo (bassista e cantante) ringrazia e parla ripetutamente ai fan in diverse lingue e si sofferma, dopo aver visto un bandiera argentina, proprio con i ringraziamenti in spagnolo. Il set del gruppo raggiunge l’apice proprio nel finale con l’esecuzione di due classici come ‘Mother Europe’ e ‘Fatherland’, che lasciano un ricordo indelebile, macchiato solo da alcune uscite blasfeme eseguite durante il revival legato ai primi due album della band.
(LC)
RAGE
Sono le 18,15 dell’ultimo giorno di festival e ci attende una sorpresa che mai ci saremmo aspettati. A salire sul True Metal Stage sono i Rage, e fin qui tutto bene… ma la sorpresa è vedere quanti ragazzi adorino questo gruppo. La formazione di Terrana e soci è incredibilmente amata dal pubblico di casa, ed è la prima band dell’ultima giornata a fare il pieno di pubblico durante la propria esibizione. Si parte subito con ‘Don’t You Fear The Winter’ e il pubblico è gia coinvolto e canta a pieni polmoni. I Rage propongono uno show tirato ma abbastanza melodico, comprendente song dall’ultima fatica ‘Unity’, come ‘Set This World On Fire’, nonchè di album storici quali ‘Black In Mind’, passando a composizioni del calibro ‘Sent By The Devil’ e ‘Here Going Down’. Sicuramente il momento più intenso lo si raggiunge con l’assolo di batteria del signor Terrana, che mette in mostra una tecnica incredibile. Concludono lo show le song ‘Straight To Hell’ e ‘War Of Worlds’. I tre tedeschi hanno dato via ad un concerto esaltante e coinvolgente, grazie oltre che alle song proposte anche al loro carisma; i membri della band, rassicurati del fatto di giocare in casa, hanno letteralmente spopolato. Unico appunto negativo che mi sento di avanzare è l’esclusione dalla track list di ‘All I Want’, canzone che avrebbe sicuramente fatto la felicità di tutti.
(FC)
KATAKLYSM Si avvicina l’ora di cena (cosa che farebbe tremare i polsi, qui in Germania, a chiunque avesse uno stomaco normale e un po’ di sale in zucca!), e prima di consumare il nostro ultimo (speriamo!!!!) pasto tedesco, ci avviciniamo al Party Stage, dove si assiepano in maniera quasi insperata alcune migliaia di persone per assistere alla performance dei deathster canadesi Kataklysm, quasi dei veterani della scena, che vedono tra le loro file la presenza di un singer italiano, tale Maurizio Iacono. I suoni non sono eccelsi, con chitarre un po’ troppo grezze, ma l’impatto generato dai quattro canadesi è quasi impressionante, come la reazione ed il coinvolgimento del pubblico, che sembra conoscere a menadito tutti i testi delle song proposte dai Kataklysm. Nove album sono molti e le scelte sarebbero difficili, ma i Kataklysm sembrano fare quelle giuste; potenza, velocità ed una capacità visionaria che sembrerebbe impensabile per una band thrash/death, si riversano sul pubblico, che viene travolto ed inglobato in questo tornado di note metal grazie anche alla prestazione del drummer Max Duhamel, vero fulmine nell’uso della doppia cassa. I riff maligni e taglienti della sei corde di Dagenais tessono trame di ferocia ed incubo di cui il nostro Maurizio si fa ‘portavoce’ con il suo growling mai eccessivamente cavernoso, ma più mirato ad una fluida aggressione, sulla scia di quanto proposto dagli americani Malevolent Creation (esibitisi questa mattina). Dal debut album ‘Mystical Gate Of Reincarnation’ datato 1994, fino all’ultima fatica ‘Shadows And Dust’ di un anno fa circa, la ‘biblioteca degli orrori’ Kataklysm viene saccheggiata per offrire ai presenti materiale per un headbanging forsennato (peccato che nessuno qui si decida mai a pogare!). Carnefici spettacolari.
(AE)
DARKANE
Torniamo nella cappa infernale del Wet Stage per assistere alla performance di una delle band più interessanti della nuova ondata del metal estremo svedese, i Darkane. Sotto l’attenzione di pubblico e critica, divisi nel giudizio sull’ultimo lavoro ‘Expanding Senses’ (che il sottoscritto si assume la responsabilità di definire bellissimo), il quintetto scandinavo offre una prestazione assolutamente assassina, che spazza via i dubbi e le delusioni maturate dopo la loro calata in Italia per il No Mercy Festival dello scorso Aprile. Il sound offerto dal Wet Stage è granitico, pulito, potente ed i Darkane sfruttano al massimo questo vantaggio per scaricare sulla nutritissima folla pronta al massacro, la schizoide ferocia che li contraddistingue. Protagonisti, ovviamente, i brani dell’ultimo lavoro, interpretati dalla formazione nord europea con una perizia tecnica indiscutibile, ma anche con quella feroce pazzia che è il sale della loro musica. Andreas Sydow, il delirante cantore dei Darkane, è in assoluto stato di grazia interpretativa, perfetto nell’operato tecnico ed istrionico nel trasmettere al pubblico rabbia ed alienazione. Stavolta il singer svedese sembra essere entrato pienamente nella parte del frontman ed aver trovato la sua personalità on stage. Ideberg e Malstrom, le due schizofreniche asce del Baltico, scaricano i riff compatti ed a singhiozzo delle track di ‘Violence From Within’ e ‘Third’ sul pubblico in totale balia di quest’orchestra di sadici artisti.
(AE)
STRATOVARIUS
E’ ora arrivato il momento di vedere all’opera una degli ultimi gruppi entrati di diritto nell’olimpo degli dei del metal: parliamo ovviamente degli Stratovarius. Tolkki, Kotipelto e compagni danno vita ad uno show esaltante, dove a farla da padrone sono le song storiche, anche se c’è spazio per qualche chicca, come ad esempio l’esecuzione di ‘Forever Free’, canzone spesso tralasciata dai loro live set. Come al solito la band finlandese ci colpisce per la perfetta esecuzione dei brani, puntualmente operata con una perizia tecnica impressionante. I suoni sono perfetti e Kotipelto interpreta i brani in modo decisamente ispirato. Tolkki infila assoli uno dietro l’altro ed i fan cantano a squarciagola. Non viene tralasciato nessuno dei classici, a partire da ‘Hunting High And Low’ tratto dal discreto ‘Infinite’ per arrivare all’immortale ‘Kiss Of Judas’. Arriva il momento di ‘Black Diamond’ ed è putiferio tra i presenti, così come per ‘Father Time’. In definitiva è stata passata in rassegna l’intera discografia del combo nordico, da ‘Infinite’ a ‘Dreamspace’ sino all’ultimo capitolo, ossia ‘Elements part I’. Possiamo tranquillamente sostenere che se in studio gli Stratovarius possono piacere o meno, dal vivo sono sempre una certezza, come già dimostrato anche nel tour recente a Milano con Symphony X di supporto.
(FC)
SLAYER
Il silenzio cala sulla cittadella di Wacken, repentino come le ombre della sera. Il presagio, che avviene a ogni loro uscita, si ripete anche questa volta, come se i quattro californiani potessero trasmettere veri e propri messaggi telepatici ai loro fan: ‘Attenzione, siamo gli Slayer, e state certi che non vi portiamo buone notizie!’. Purtroppo l’esibizione più importante della terza ed ultima giornata del W:O:A Festival 2003 è stata guastata (come è avvenuto il giorno prima, anche se in maniera più blanda, per i Testament) da una gestione suoni e da dei fonici che potrebbero meritare pesanti appellativi, ma in questo contesto è giusto limitarsi al termine ‘superficiali’ o ‘scarsamente competenti’. Gli Slayer salgono sul True Metal Stage (con circa venti minuti di ritardo) avvolti da un’infernale luce purpurea e sferrano la prima sequenza di attacchi: ‘Disciples’, ‘Bloodline’ e ‘The Antichrist’, ma le loro armi sembrano avere il silenziatore. Volumi incomprensibilmente bassi minano la prova al microfono di Araya (che sarà costretto quasi a sgolarsi per tutto il concerto), nonchè la potenza di fuoco delle chitarre di Hannemann e King (questa un po’ più presente, specialmente per gli assoli, ma sempre troppo leggera). Nel prosequio del concerto qualcosa sembra migliorare, ma la resa dei pezzi è compromessa e questo incrementa ancor di più la rabbia dei kid, vista l’impressionante scaletta che gli Slayer usano per cercare di mettere k.o. le decine di migliaia di spettatori. Dopo la sulfurea ‘Hell Awaits’ si parte con una serie di track che fanno capire subito lo scopo degli Slayer. I quattro sfregiatori di Los Angeles stanno eseguendo per intero e nell’ordine corretto tutto il mastodontico ‘Reign In Blood’, interrotto, tra ‘Altar Of Sacrifice’ e ‘Jesus Saves’ da altri due ordigni da artiglieria pesante come ‘War Ensemble’ e ‘Dead Skin Mask’. In mezzo a quest’attacco dai suoni ovattati in maniera imbarazzante, spicca, per forza muscolare e talento smisurato, il drumming di Lombardo, il motore primordiale della ferocia Slayer. Nel frattempo altri pezzi storici come ‘Mandatory Suicide’ e ‘South of Heaven’ completano un quadro che presenta come “pennellata finale” la monumentale ‘Raining Blood’. Araya concede solo alcuni ringraziamenti contenuti al pubblico e forse quest’atteggiamento è accentuato dal pessimo umore causato dal lavoro dei fonici. Questi sono gli Slayer: giungono, distruggono e salutano con cortesia. Un concerto che almeno in parte delude, visto che la scaletta e la performance del four-piece statunitense è stata di altissimo livello, ma smorzata con suoni degni di un concerto unplugged! Rammarico enorme, placato solo dall’idea che il malumore degli Slayer aumenterà la loro ferocia al prossimo appuntamento, per gustare appieno una sequenza assassina di song.
(AE)
VADER
Sul Black Metal Stage devono salire, a chiusura del running order per questo palco, i polacchi Vader, la leggenda death dell’est Europa. Stavolta i fonici sembrano fare al meglio il loro mestiere, offrendo a Peter e soci un poderoso arsenale sonoro, fatto di chitarre massicce ma sufficientemente pulite per apprezzare la dinamica slayeriana del sound del quartetto polacco. Il paragone con i mostri sacri americani non sembra proprio fuori luogo, visto che in brani come ‘Xeper’, la furia distruttiva dei polacchi, supportati da uno splendido e preciso lavoro di batteria di Doc, non risulta così monolitica e statica come per molti (giovani) emuli del tipico sound death metal, ma assume connotazioni dinamiche ed una fluidità esecutiva (ma qui è merito dell’ottima performance live della band) che non fa scadere nell’anonimato le loro composizioni. Inoltre, track quali ‘Reign Forever World’ e ‘Torch Of War’, godono dello splendido lavoro di ritmiche attuato da Peter e Maser, anche se appare chiaro che una maggior interpretazione e varietà timbrica gioverebbe non poco ad una band che ha dalla sua molte qualità, prima fra tutte un seguito di fan estremamente fedele. Implacabili in fase esecutiva, tanto da creare un’atmosfera da infero che inchioda l’ascoltatore, i quattro polacchi appaiono, al contrario, non molto efficaci nel coinvolgimento del pubblico con la loro (scarna) presenza scenica, che si vivacizza solo nell’headbanging esecutivo. Una sinfonia oscura delle macerie rimaste dopo la battaglia di Wacken, è la giusta definizione dell’ottima prestazione dei Vader che, al di là di queste piccole pecche che speriamo di vedere sempre più limate con il passare del tempo, è stata la degna conclusione di questo Wacken visto che, parafrasando il leader Peter “…era difficile suonare dopo gli Slayer e fare bella figura”. Ottimi Vader, distruttivi e chirurgicamente essenziali.
(AE)
Se volete dare uno sguardo all’atmosfera che si vive al WOA, non perdetevi le foto messe on line da Francesco Natali, cliccando qui