Dopo l’epico “Beloved Antichrist”, i Therion tornano con il nuovo disco “Leviathan”, primo capitolo di una feconda trilogia partorita ai tempi del Covid-19.
Ne abbiamo parlato con Christofer Johnsson, mastermind della band e artista poliedrico, che ci ha raccontato la curiosa genesi del disco e quanto (poco) gli manchi la vita in tour.
Ciao Christofer, e benvenuto su Metallus.it. Partiamo subito con il presentare ai nostri lettori il vostro nuovo album, “Leviathan”. Cosa devono aspettarsi i fan da questa prova in studio, così diversa dal suo predecessore?
Ciao e grazie a te! “Beloved Antichrist” nasceva come soundtrack per un rock musical che avremmo dovuto mettere in scena quando è scoppiato tutto il caos del Covid; scrivere quel disco è stato come lavorare alla soundtrack di un film. Al termine delle registrazioni mi sono sentito vuoto, non sapevo cosa fare perché era come se avessimo dato tutto in quell’album.
Allora ci abbiamo pensato e abbiamo capito che c’era una cosa che non avevamo mai provato a fare prima, cioè compiacere i fan. Sembra facile, ma non lo è, è stata una sfida, ma alla fine abbiamo scritto oltre 40 pezzi, quindi abbiamo abbastanza brani per 3 album.
“Leviathan” sarà una trilogia e ne pubblicheremo un capitolo ogni anno. “Leviathan 1” è più epico e bombastico, molto più diretto, il 2 è più dark e malinconico e il 3 sarà più sperimentale e avventuroso, con parti folk, prog, molto variegato. Sommando tutti e tre i dischi, i nostri fan troveranno sicuramente qualcosa da apprezzare.
L’album è una specie di viaggio attraverso la vostra discografia, una raccolta di hit dei Therion. Cosa ne pensi di questa definizione?
Non volevamo copiare nessuno dei nostri vecchi pezzi, ma abbiamo cercato di trovare l’anima segreta dei nostri brani più famosi e scrivere delle tracce nuove su quella scia. Se ascolti le canzoni più famose dei Therion, non hanno niente in comune musicalmente. Secondo Spotify, “The Rise of Sodom” è la più famosa, seguita da “Lemuria” e “Birth Of Venus”: sono tutte canzoni con una direzione diversa, come se fossero state scritte da band differenti, e non hanno niente in comune se non il fatto di essere tra i pezzi più famosi dei Therion.
Ma sono tutti brani diretti e catchy, che piacciono molto ai fan. Ecco perché abbiamo puntato su del materiale che fosse accessibile, lavorando sulle melodie e i suoni accattivanti. Vedremo cosa ne penserà il pubblico.
Parlando di ospiti, Marco Hietala presta la voce nel brano “Tuonela”: dimmi di più su questa collaborazione.
A volte mi piace avere voci diverse nei nostri pezzi e questa volta cercavo un timbro più graffiante, sia per “Tuonela” che per “Psalm Of Retribution”. Per il secondo brano cercavo una voce più rock e la scelta è ricaduta su Mats Levén, mentre per “Tuonela” volevo una voce che fosse sporca, sì, ma anche melodica. Avevo pensato a David Wayne, dei Metal Church, ma c’è un unico grosso problema con lui: è morto. Quindi mi sono detto “chi è che conosco con questa voce e che è ancora vivo?”. Beh, Marco Hietala!
Tra i brani del disco c’è anche “Die Wellen Der Zeit”, un riferimento a Wagner. Qual è il tuo legame con questo compositore?
Personalmente sono un grande fan di Wagner, ma in realtà il pezzo in sé non è un tributo a lui, credo che questa definizione sia una trovata della casa discografica. Per me Wagner è una grande fonte di ispirazione, ma la canzone è stata scritta da Nalle, il bassista del gruppo, che non ascolta di certo Wagner. Forse si può dire che ci sia una connessione a livello testuale, per i richiami alla tradizione e alla mitologia germaniche e per le parti in tedesco ma, musicalmente parlando, è opera di un bassista che adora gli AC/DC e che credo non abbia mai ascoltato un disco di musica classica!
Nel corso della vostra carriera, avete avuto modo di toccare le più disparate tematiche: dove avete tratto l’ispirazione per i testi di “Leviathan”? Che tipo di studi e approfondimenti avete portato avanti per un tema spesso abusato in campo musicale?
Di solito cerchiamo di coprire una vasta gamma di mitologie e in questo caso abbiamo spaziato ancora di più geograficamente parlando: ad esempio “Ten Courts of Diyu” trae ispirazione dal Buddhismo, “Nocturnal Light” parla di una divinità Sumera, “Die Wellen der Zeit” è legata alla dea Nerthus della tradizione germanica, “The Leaf on the Oak of Far” parla di Camulo, una divinità celtica e “Aži Dahāka” è un personaggio della mitologia Persiana. Abbiamo sempre affrontato temi mitologici, ma per la prima volta ci siamo addentrati nel più profondo oriente, fino ad arrivare alla tradizione cinese.
La situazione globale che stiamo vivendo ormai da un po’ ha influenzato in qualche modo il processo di songwriting o registrazione del disco?
Direi che non ha impattato sulla parte di stesura, ma le registrazioni sono state molto diverse dal solito: io vivo a Malta e ovviamente non potevo lasciare l’isola né far venire la band qui. Quindi abbiamo registrato tutto a distanza, nello specifico a Malta, in Svezia, Argentina, USA, Israele, Inghilterra, Germania, Spagna. Ognuno ha registrato nel proprio paese, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso.
Uno dei vantaggi è che non ho dovuto ascoltare tutte le prove fatte da tutti, cosa che alla fine di ogni fase di registrazione di un disco mi rendeva
mentalmente esausto. Questa volta, ognuno mi ha inviato un file digitale via mail: è stato un processo molto riposante che ci ha consentito di registrare già anche metà di “Leviathan 2”.
Uno degli aspetti negativi, invece, è che in presenza è più semplice dare indicazioni su nuove idee estemporanee, fare dei tentativi e poi un passo indietro magari nel giro di un’ora. Questa volta ho dovuto ascoltare le demo, dare delle indicazioni e poi aspettare che il musicista di turno prenotasse uno studio per registrare e rimandarmi il file, che magari alla fine non aveva esattamente le caratteristiche stilistiche che volevo. Ovviamente è stato un modo di lavorare molto dispendioso in termini di tempo, ma anche di soldi spesi per affittare gli studi di registrazione.
C’è da dire che queste parti vocali, registrate comunque in modo professionale, sono finite nella versione digipack del disco, che include ben 5 tracce bonus con versioni alternative di alcuni brani.
Quanto ti manca la vita in tour e che programmi avete per promuovere questo disco?
Io adoro suonare dal vivo, ma per me scrivere musica rappresenta il 50% del piacere. Il 25% è registrare, realizzare la musica, dare concretezza alla tua visione. L’altro 25% è la parte di esecuzione del vivo, dell’essere in tour. Anche senza poter andare in tour, ho ancora il 75% del piacere che mi deriva dalla musica, quindi per me non è la fine del mondo.
Per quanto riguarda la promozione, i canali digitali sono la modalità più efficace a questo punto: pubblicheremo dei video e anche un lyric video. Non sappiamo se potremo portare “Leviathan” in tour, non siamo sicuri nemmeno di cosa succederà nella seconda parte del 2021 e tra un anno pubblicheremo “Leviathan 2”. Certo, per noi è anche difficile riunire la band per registrare un video, dovremo sicuramente puntare su qualcosa di visivamente diverso.
C’è un pezzo di “Leviathan” che identifica al meglio i Therion del 2021 o ritieni che la vostra musica sia un’entità in costante evoluzione?
Credo che la musica dei Therion sia in costante evoluzione, sì, ma personalmente mi piace molto il brano “Eye of Algol”. Credo che quella canzone sia molto attuale, con un tocco futuristico, e identifichi al meglio le caratteristiche della band nel 2021.
