The Unity – Recensione: The Hellish Joyride

Dopo aver dato alle stampe quattro album con impressionante continuità (noi li abbiamo seguiti dai tempi di “Rise”, che è datato 2018), è tempo per gli Unity di porre il quinto sigillo con la pubblicazione di “The Hellish Joyride”: ponendosi sulla falsariga di quanto proposto da Sinner, Axel Rudi Pell e Rhapsody Of Fire, l’agguerrita formazione tedesca fronteggiata dal bresciano Gianbattista “Jan” Manenti ha alle spalle una solidissima attività live e può oggi contare su membri di Edguy (con il nuovo entrato Tobias “Eggi” Exxel al basso) e Gamma Ray (con Henjo Richter alla chitarra and Michael Ehré alla batteria), circostanze che naturalmente non possono non influenzarne – almeno in parte – lo stile. Se si escludono l’intro “One World” ed il breve intermezzo “Awakening”, “The Hellish Joyride” si compone di dieci tracce che, per il power scanzonato del quale sono in gran parte alfiere, ricordano abbastanza da vicino gli Helloween: l’interpretazione del nostro Gianba non possiede forse la stessa personalità del duo Deris/Kiske (“Golden Sun” è un trionfo al quale manca giusto un qualcosina), ma ha tutte le carte in regola per completare degnamente l’impatto di un disco potente e diretto, che arriva come un treno anche grazie al lavoro brillante dei due chitarristi in carica. Le melodie la fanno da padrone, soprattutto nel corso dei ritornelli: a completare il quadro, e pur senza cedere un centimetro in termini di potenza e solidità, su questo disco trovano abbondante spazio anche cori e tastiere, con queste ultime spesso impegnate in costruzioni dal sapore vagamente orchestrale/sinfonico.

In un quadro così ricco viene spontaneo riconoscere il grande lavoro svolto in sede di produzione e mixing: l’esperienza di Achim Köhler (già impegnato con Avantasia, Hammerfall e – non a caso – Helloween), permette ad ogni traccia di rimanere perfettamente intellegibile, senza però che il lavoro suoni freddo né inutilmente analitico. Al contrario, grazie ad una certa varietà di stili e soluzioni (come quelle proposte nella title-track), il disco si mantiene sempre fresco e piacevole all’ascolto, opulento ma mai al punto da snaturarsi o confondere per una mancanza di direzione. Qui, nonostante alcuni gustosi diversivi come i tocchi elettronici o gli assoli di chitarra di stampo ottantiano, a fare da comune denominatore è sempre la sobrietà dello sviluppo melodico, che si muove con intelligenza tra proposte più leggere (“Never Surrender”) ed altre dal sapore vagamente malinconico (“Something Good”), quasi a voler rappresentare le diverse anime ed i diversi mood del sestetto tedesco. E’ proprio grazie a questa spontanea freschezza che il disco non sembra annoiare mai, nemmeno quando la durata dei suoi brani decide di allungarsi per insistere sullo stesso ritornello o indugiare su un intermezzo strumentale: c’è sempre l’idea che tutto sia stato fatto per un preciso perché, che le canzoni si susseguano secondo un ordine ben definito (l’ingresso di “Only The Good Die Young” è preparato ad arte, ad esempio), che questa combinazione di talento italiano e dettaglio tedesco funzioni davvero bene e soprattutto in modo naturale senza l’ossessione di dover piacere a tutti i costi. Una libertà creativa in nome della quale è dato spaziare e giocare con i tempi, allungare e contrarre al bisogno, senza che il disco debba soffrire le costrizioni di un’impostazione troppo rigida perché decisa a tavolino.

Rispetto alla proposta di altro hard/power tedesco (penso ai Kissin’ Dynamite), gli Unity dedicano maggiore attenzione allo spostamento dei pesi, alla dinamica delle masse, all’esplosione dei suoni… offrendo uno spettacolo che, se da un lato convince leggermente meno dal punto di vista melodico e della pura cantabilità, dall’altro abbraccia con convinzione quella sua natura “power” che gli permetterà, con ogni probabilità, di riproporre gli stessi brani con ancor maggiore piglio durante le esibizioni dal vivo che sicuramente arriveranno. Questo è insomma un disco che, pur presentando orchestrazioni talvolta raffinate (“Saints And Sinners”), sposa un approccio decisamente più fisico ed esplosivo, con la conseguente necessità di qualche decibel extra per poter essere apprezzato in tutta la sua martellante e trascinante grandiosità (“Always Two Ways To Play”). Con “The Hellish Joyride” i sei con base a Dortmund fanno un ottimo lavoro di canalizzazione delle proprie esperienze, dei propri gusti e delle proprie aspettative: tenuto conto della loro passata discografia, della provenienza dei loro membri e di quella scena teutonica dalla cui affidabilità sarebbe insensato e suicida discostarsi troppo, gli Unity offrono quella giusta misura tra hard, heavy e power che assicura continuità ed allo stesso tempo ossigeno, possedendo tutte le carte in regola per accontentare un po’ tutti senza scontentare – per una benedetta volta – davvero nessuno.

Etichetta: Steamhammer / SPV

Anno: 2023

Tracklist: 01. One World 02. Masterpiece 03. The Hellish Joyride 04. Only The Good Die Young 05. Saints And Sinners 06. Something Good 07. Always Two Ways To Play 08. Awakening 09. Golden Sun 10. Stay The Fool 11. Never Surrender 12. You‘re Not Forced To Stay
Sito Web: facebook.com/unityrocksofficial

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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