The Return Of The Gods: Live Report e foto della data di Bologna con Pantera, Kreator e altri

Questo festival, per tutta una serie di motivi, è stato anticipato da polemiche di vario tipo. Al The Return Of The Gods è stata imputata, per esempio, la colpa di avere rimpiazzato il Rock The Castle (non sarebbe stato possibile la coesistenza fra i due eventi per una sovrapposizione di date e troppi concerti fra cui scegliere), ma soprattutto abbiamo notato che quasi chiunque, nei mesi precedenti la giornata del 2 luglio, ha espresso la propria opinione sugli headliner di questa giornata. Si sono quindi create almeno due fazioni contrapposte: coloro che hanno schifato a priori la data perché “questi non sono i veri Pantera” e coloro che invece hanno voluto dare una possibilità a questa formazione, sfidando distanze anche importanti e il caldo che ha reso questa domenica di luglio abbastanza impegnativa.

SADIST

Trevor dei Sadist è una forza della natura. Oltre a un live breve ma eccellente, la cosa più emozionante è la sua dichiarazione, fra un brano e l’altro, sulla sua intenzione di continuare a suonare anche se dovesse finire sulla sedia a rotelle. La band non si lascia minimamente intimorire dal sole di mezzogiorno che cola a picco sulla Joe Strummer Arena e dà il via a una giornata che si preannuncia spettacolare fin d’ora. Brani come “One Thousand Memories”, “Tribe” o “Accabadora” sono esempi di come i Sadist siano ancora un’eccellenza del metal di casa nostra.

VEKTOR

Mentre il caldo continua a dominare e gli addetti alla sicurezza (fra cui uno in particolare, contraddistinto per una certa somiglianza con Vin Diesel) portano sollievo alle prime file con un tubo per annaffiare, inizia a serpeggiare una voce fra gli addetti ai lavori secondo cui i Behemoth, che si dovrebbero esibire nella prima serata, non sono arrivati e non arriveranno per problemi ai voli. Questo comporterà poi un vantaggio per le band presenti, che potranno coprire il vuoto lasciato dalla formazione polacca suonando un po’ di più. Non ci è dato di sapere se i Vektor soffrano il caldo, ma a vederli non sembrerebbe. Anche loro, nel poco tempo a disposizione, riescono a tenere viva l’attenzione dei presenti e a divertire con il loro thrash metal tecnico, forti di un’esperienza oltre ventennale.

FLESHGOD APOCALYPSE

Esprimiamo tutto il nostro rispetto nei confronti dei Fleshgod Apocalypse che, nonostante il caldo sia al suo apice, si sono esibiti con tutto il loro apparato scenografico imponente, in un’ambientazione che sarebbe più adeguata a tarda sera. La band fa comunque di necessità virtù e realizza un’esibizione interessante e professionale, caratterizzata da brani come “Fury”, “The Fool” e “Minotaur (The Wrath Of Poseidon)”. Viene il sospetto che il pubblico, o almeno una parte, faccia fatica a seguire a causa, appunto, del sole a picco, ma c’è modo di apprezzare ancora una volta il grande valore della band.

CORONER

La cancellazione dell’esibizione dei Behemoth è ormai ufficiale, tanto che viene proiettato sui maxischermi un video girato dalla band per scusarsi dell’assenza, che non dipende dalla loro volontà. I Coroner non si lasciano però scoraggiare dall’atmosfera che si è un po’ incupita e confermano che questa giornata del Return Of The Gods è tutta di livello elevato per quanto riguarda le capacità delle band. Una sega circolare animata costituisce l’unica scenografia, a dimostrazione di come i Coroner non abbiano bisogno di chissà quali artifizi per mostrare il loro valore. Si inizia con “Golden Cashmere Sleeper, Part 1” e si prosegue con brani come “‘Mental Vortex”, “Grin”, “Masked Jackal” e “Reborn Through Hate” in chiusura. Un esempio emblematico di thrash metal classico; è molto probabile che non tutti i presenti conoscessero i Coroner, se non di nome e poco altro, ma l’impressione generale è di un grande coinvolgimento e che la formazione svizzera si sia ritagliata un piccolo spazio nel cuore di molti.

ELEGANT WEAPONS

Siamo arrivati al momento più “soft” per quanto riguarda le sonorità della giornata. Neanche a farlo apposta, l’esibizione degli Elegant Weapons viene anche addolcita da una nuvola provvidenziale, che attenua i raggi solari e rende la situazione più vivibile. Del resto, siamo di fronte a una formazione che comprende Ronnie Romero alla voce, Davey Rimmer degli Uriah Heep al basso, Christopher Williams degli Accept alla batteria e, soprattutto, Richard Faulkner dei Judas Priest alla chitarra. Non c’è quindi da stupirsi se, con un solo album all’attivo e la formazione nata da meno di un anno, la band sia collocata in una posizione così elevata. Anzi, siamo di fronte a una di quelle situazioni in cui il repertorio a disposizione è troppo poco in confronto al tempo a disposizione; ecco quindi che c’è tempo per un paio di cover illustri, come “Lights Out” degli UFO e una “War Pigs” improvvisata come bis, eseguita bene anche se forse non perfetta dal punto di vista del testo. Nulla da eccepire per quanto riguarda i musicisti, uno migliore dell’altro, tutti guidati e orchestrati dalla voce e dal carisma di Ronnie Romero. Ci auguriamo, come sempre in questi casi, che gli Elegant Weapons non siano solo un’apparizione sporadica, ma che, visto il livello di chi ne fa parte, la loro presenza diventi continuativa negli anni a venire.

KREATOR

Il palco della Joe Strummer Arena è nascosto dal classico telone nero su cui spicca il logo della band, ma nonostante questo i motori sono caldi per tutti ed è un autentico rombo quello che si solleva dai presenti nel momento in cui Mille Petrozza e compagni si fanno vedere e attaccano con la recente “Hate Uber Alles”. I Kreator sono sempre una garanzia, al punto che, voltandosi indietro per un attimo, si può notare come il pubblico stia aumentando in modo esponenziale. Come se parte del pubblico avesse deciso di entrare solo ora, per il piatto forte della giornata. Qualunque sia stata la scelta, anche per i Kreator dobbiamo parlare di successo su tutta la linea. La band ruggisce e disperde ondate di fuoco dalla prima fila all’ultimo spettatore arrampicato sulla collinetta, in un salto continuo fra passato e presente. Non importa il periodo di riferimento, o se l’album di cui ascoltiamo i brani sia “Coma Of Souls”, “Flag Of Hate” o, appunto, “Hate Uber Alles”: il pubblico è del tutto alla mercé di Mille Petrozza. Fra un wall of death e l’altro, fra un coro urlato e un altro, non c’è tempo per annoiarsi o per sentire un rallentamento. A differenza dei Coroner prima, i Kreator hanno una scenografia composita, con una grande testa a centro palco e cadaveri infilzati un po’ ovunque; questi elementi però non distraggono dal fulcro del live, un concentrato di violenza purissima e autentica. Ottimo preludio a quello che ci aspetta fra poco.

PANTERA

E finalmente ci siamo. Il pubblico è composto da due gruppi: chi c’era e chi non c’era, alamgamati e avvinghiati insieme in ogni punto dell’arena, in un colpo d’occhio impressionante. Ci sono coloro che ai tempi di “Cowboys From Hell” non c’erano e sono cresciuti con i racconti mitici di quei tempi. E ci sono i veterani, che si ricordano magari del Gods Of Metal 1998 o del concerto di Pesaro del 2000, ultimo passaggio dei Pantera in Italia. Fino a oggi. Fatto sta che i presenti, che sciamano come formiche su un’Arena ormai riempita a dovere, sono dalla loro parte. Tutte le polemiche dei mesi passati si frantumano in un battere di ciglia nel momento in cui la formazione attuale dei Pantera fa il suo ingresso sul palco. Sarà uno di quei live difficili da dimenticare per il grande carico emotivo, le aspettative che vi erano state riposte e, inutile negarlo, per l’ottimo livello di chi compone ora la band. Certo, ci sono stati anche un paio di momenti più leggeri, come gli auguri di compleanno, con torta al seguito, a Phil Anselmo, che non ha risparmiato qualche parola sulle sue origini italiane, o i Kreator che sbucano a sorpresa e si improvvisano coristi durante “Walk”. Il concerto dei Pantera, però, si contraddistingue per una carica e una tensione che non si spezzano, una forza dirompente che scaturisce da ogni brano e ogni nota. Chi scrive fa parte della categoria di coloro che non hanno mai visto i “vecchi” Pantera in concerto, dunque è impossibile fare paragoni. Quello che è certo è che Rex Brown è ancora un bassista straordinario, con un tocco unico e durissimo e che Charlie Benante affronta le parti di batteria con una precisione chirugrica e un impatto devastante. Zakk Wylde ha un compito difficilissimo, che svolge come da copione, senza essere il clone di nessuno ma conferendo la propria personalità ai riff di Dimebag Darrell. Nessuno, si spera, gli chiedeva di essere un clone di un altro, ma di essere a sua volta un chitarrista che diventa un esempio per tanti (pensando a tutte le magliette della Black Label Society viste a Bologna durante la giornata, sembrerebbe che l’obiettivo sia stato raggiunto). Phil Anselmo è probabilmente un miracolato e, lo sappiamo, la sua voce non è più quella di una volta. Lo dimostra il fatto, per esempio, che di “Cemetary Gates” venga fatta ascoltare solo la parte iniziale, registrata. Ma di fronte a uno spettacolo così completo e, soprattutto, a una risposta da parte del pubblico così sincera e penetrante, si può perdonare qualcosa. I fratelli Abbott, dal canto loro, non sono mai dimenticati, anzi campeggiano sul palco da quelle pietre miliari che sono in effetti. I loro volti sono raffigurati, per esempio, sulla doppia cassa di Benante, così come ricorrono qua e là sulle magliette indossate dagli altri membri dei Pantera e a metà concerto si assiste a una parentesi affidata ai ricordi, con un video di alcuni minuti che alterna immagini live e dai vari backstage, un collage in grande stile, probabilmente atteso da molti ma che sortisce l’effetto desiderato. Difficile dire anche se ci sia stato un brano più apprezzato degli altri perché, se è vero che la seguenza finale, che comprende fra gli altri “Walk”, “Domination”, “Cowboys From Hell”, fa aumentare ancora il livello di esultanza dei presenti, è anche vero che l’intensità rimane altissima in qualsiasi momento.

Probabilmente chi ha scelto di assistere al concerto dei Pantera lo ha fatto convinto che le aspettative sarebbero state ripagate, e così è stato. Sembra difficile pensare che ci sia stato qualcuno che sia tornato a casa scontento, perché l’adrenalina ha attraversato come una scossa elettrica la band e il pubblico, ha creato un legame di quelli difficili da spiegare ma comunque indissolubili. Non sappiamo ancora se il tour di ritorno dei Pantera resterà un momento isolato o se continuerà, magari con brani nuovi di fronte a noi, ma è certo che il Return Of The Gods di Bologna abbia lasciato un segno indissolubile e sia, allo stato attuale, uno dei momenti live più significativi dell’anno.

Setlist:

A New Level

Mouth for War

Strength Beyond Strength

Becoming

I’m Broken

Suicide Note Pt. II

5 Minutes Alone

This Love

Fucking Hostile

Cemetery Gates

Planet Caravan

Walk

Domination / Hollow

Cowboys From Hell

Yesterday Don’t Mean Shit

anna.minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

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