Ring Of Fire – Recensione: The Oracle

I Ring Of Fire sono null’altro che la continuazione del progetto solista del carismatico Mark Boals che, lasciatosi alle spalle la collaborazione con Malmsteen, ha deciso di raccogliere attorno a se una band di virtuosi con la sua stessa passione per la musica di stampo neo-classico: Vitalij Kuprij, Virgil Donati e Tony Macalpine, poi sostituito dal meno noto George Bellas. Risultato? Due dischi (questo e il precedente solista) molto simili tra loro e immancabilmente molto vicini allo stile proposto dallo stesso Malmsteen. Unica novità portata dal cambio di nome appare la trabordante presenza delle tastiere che il talento e la scarsa propensione a rimanere nell’ombra del mostruoso Vitalij portano spesso in primo piano, anche a discapito del povero George che evidentemente soffre del minore prestigio della sua chitarra. Alcuni brani sono comunque azzeccati, l’esecuzione è ovviamente impeccabile e alla fine non ci sono gli elementi per una bocciatura, ma lasciateci un sospiro di delusione ed insieme di rassegnazione (visto che la cosa accade sempre più spesso) nel constatare come quattro fenomeni abbiano partorito un’opera ‘Normale’. E nella vostra testa questa parola non dovrebbe suonare assolutamente come un complimento.

Voto recensore
6
Etichetta: Frontiers

Anno: 2001

Tracklist: Prelude For The Oracle
Circle Of Time
Shadow In The Dark
Vengeance For Blood
Samurai
City Of The Dead
Dreams Of Empire
The Oracle
Interlude
Land Of Illusion
Take Me Home
Face The Fire

riccardo.manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

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