The Offspring: Live Report della data di Milano

In casi come questi e’ difficile capire se convenga fermarsi a commentare la presa in giro fine a se stessa o proseguire, decantando i pregi dello show dei quattro a stelle e strisce. La verità, dicono, sta nel mezzo…

Partiamo dai biglietti ad un prezzo lievemente esorbitante. Proporre un bill come quello del 28 febbraio potrebbe giustificare pienamente tutti gli euro chiesti dal promoter (che, beninteso, impone il prezzo del biglietto basandosi sul cachet chiesto dall’artista). Il problema è la durata dello show che vai – tu, artista – a proporci. Con questo, pensiamo che l’oretta scarsa di musica messa in scena da Dexter e soci rasenti la sopraccitata presa in giro. Ammesso e non concesso che da ‘The Offspring’ di anni ne son passati ben quindici, in cui sette album (quindi circa un’ottantina di song!) hanno visto la luce, penso che arrivare a proporre almeno un’ora e mezza di concerto – nuovamente tu, artista – ce lo dovresti: almeno per il rispetto nei confronti dei tuoi fans.

Chiusa la polemica, parliamo della (poca) sostanza dello show degli Offspring di supporto al novello ‘Splinter’. Dopo il piacevole opening-act dei nostrani punksters Sun Cats Hours e dei nordeuropei psychobillies Horrorpops, arrivano le 21.50 e con esse anche l’intro ‘Neocon’ che anticipa la new entry ‘Noose’: gli animi iniziano a scaldarsi però – con i primi surf e diving – con ‘All I Want’, tratta da quel piccolo capolavoro che risponde al nome di ‘Ixnay On The Hombre’. Un salto indietro nel tempo a ‘Smash’, in modo che ‘Come Out And Play’ prenda forma e la band diventi un tutt’uno con la ‘traforata’ scenografia bianca, resa animata e ricca di rifrazioni dall’asimmetrico castello luci.

Il volume, che viene mantenuto notevolmente alto per tutta la durata della performance, non tende a distorcere i suoni dei singoli strumenti e mette in buon risalto l’esecuzione di un Noodles particolarmente lanciato in una più che dignitosa prova. Nulla da recriminare anche al buon Dexter Holland, il quale tiene banco con una prestazione buona e raramente sopra le righe. Non mancano certo i classici di spicco in questa, almeno dal punto di vista meteorologico, glaciale giornata carnascialesca: ‘Bad Habit’, ‘Why don’t You Get A Job’, ‘I Want You Bad’ su tutte.

Stiamo però dirigendoci inesorabilmente verso le ultime battute, e dopo una pausa – che accorcia ulteriormente la durata del concerto – in sequenza arrivano le conclusive ‘Head Around You’, ‘Pretty Fly…’ e l’Offspring-anthem ‘Self Esteem’. Saluti, baci e tutti a casa, tra gli inequivocabili fischi dell’insoddisfatta platea che vede la band scomparire nel backstage.

Eravate tra i delusi? Vi comprendiamo largamente.

Il concerto vi è sembrato il migliore cui abbiate mai assistito sinora? In questo caso, speriamo proprio che la vostra età non sia superiore ai 13 anni…

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