“Under The Midnight Sun” è l’undicesimo album in studio dei The Cult, come riportato anche sulla copertina in numeri romani, uscito tramite Black Hill Records. Sono passati sei anni dal precedente e valido “Hidden City” e ora ritroviamo la band con un nuovo lavoro in cui sin dalle prime note si possono sentire i tratti distintivi che hanno reso la formazione britannica unica e molto speciale. Contraddistinti da una base ritmica molto marcata e potente, unita da atmosfere mistiche ed oscure, riescono sempre a stupire grazie alla loro abilità di aggiungere colori e sfumature ai loro pezzi, come nel caso di questo lavoro. Un lavoro il cui titolo è stato ispirato a quando la band si trovava al Provinssirock in Finlandia e Astbury, vedendo che il sole non sarebbe tramontato, si è ritrovato a godersi quel momento surreale, quasi occulto.
“Under The Midnight Sun” si apre con l’atmosferica ed intrigante “Mirror”, che svolge l’ottimo compito di introdurre i restanti sette pezzi a partire dalla più cupa ed epica “A Cut Inside”, dove la voce dello sciamano Astbury risulta piena e allo stesso tempo ipnotica accompagnato dalla chitarra del fido Billy Duffy che, con il suo inconfondibile stile, è sempre una garanzia. “Vendetta X” è una composizione sinuosa con un incedere molto intrigante che sfocia in un bellissimo ritornello, che mette a nudo l’anima vulnerabile del cantante, a cui segue l’anthemica “Give Me Mercy” contraddistinta da una ritmica a prima vista più ariosa e che vuole infondere speranza dopo i momenti bui vissuti in questi anni, portando un messaggio positivo, nella parte finale del testo: “Love will find you”!
“Outer Heaven” inizia in modo lento e delicato, per poi irrobustirsi nella parte centrale in cui troviamo un bellissimo lavoro di chitarra di Duffy supportato dalla magnetica voce di Astbury che sa giostrarsi in modo egregio tra i vari ritmi del pezzo, mentre in “Knife Through Butterfly Heart” inizialmente si assaporano atmosfere folk che poi si evolvono in suoni più decisi, ma sempre pervasi da una malinconia di fondo che si percepisce un po’ in tutto questo lavoro. In chiusura troviamo la più mistica e gothic-oriented “Impermanence” e la bellissima ed evocativa title-track, che si spoglia di tutti gli orpelli inutili ed emoziona per la sua semplicità e bellezza. Questo lavoro possiede tutto ciò che serve ad ammaliare i cultori della band, sicuramente è meno immediato del predecessore, ma è più affascinante da scoprire preferibilmente al crepuscolo.
