Ritenere le tre band che si sono esibite questa sera in un vero tripudio di corna alzate al cielo ancora inferiori ai Big Four è una convinzione legata meramente al reparto vendite perché Testament, Annihilator e Death Angel sono (insieme a Overkill, Exodus o Coroner ad esempio) altrettanto meritori nonché basilari per lo sviluppo del lato più tecnico del thrash. Io e il buon Ric Manazza proviamo a trasmettervi le sensazioni di una serata in musica di livello assoluto.
DEATH ANGEL
Gli anni passano per tutti, ma una band come i Death Angel dimostra sul palco di avere ancora tutta la carica che si aspetterebbe di trovare in un gruppo esordiente. Dal vivo pochi cantanti provenienti dall’area thrash hanno la qualità vocale e il carisma di Mark Osegueda e solo questo sarebbe un valore aggiunto in grado di far elevare qualsiasi band. Il concerto di stasera ha forse l’unico difetto di essere troppo sacrificato nel numero di canzoni proposte, soprattutto se si pensa alla storia grandiosa che hanno i Death Angel.
Forse anche per questo i nostri scelgono di concentrarsi quasi esclusivamente su brani recenti, attaccando con “Father Of Lies” e proseguendo a ruota con la aggressiva “The Dream Calls For Blood”… la potenza sprigionata e la personalità della band non sono certo da gruppo d’apertura e non stupisce quindi che la partecipazione del, numerosissimo, pubblico sia già di quelle importanti. L’introduzione solo accennata di “The Ultraviolence” ci fa sperare per qualche istante, ma in effetti l’unico tributo al passato remoto arriva con la grandiosa “Mistress Of Pain”. La, diciamolo, troppo breve scaletta si conclude con “The Moth” e anche se la prestazione della band e l’energia riversata sull’audience sono assolutamente notevoli, sinceramente qualche brano in più, magari pescato da album favolosi come “Act III” o “Frolic Through The Park”, lo avremmo ascoltato volentieri. (Riccardo Manazza)
ANNIHILATOR
Dopo un cambio palco eseguito a tempo di record fa il suo ingresso, presentato dall’introduzione affidata a “Crystal Ann”, il baldanzoso maestro del riff thrash, alias Jeff Waters. Ormai padrone anche del microfono il nostro accentra su di sé ogni attenzione, senza però togliere spazio ad una back band che non sbaglia un colpo. Precisi, aggressivi e trascinanti gli Annihilator sono tutto questo e anche qualcosa di più… ovvero una band che ha parecchie canzoni dalle quali pescare per creare un repertorio esaltante. Ovviamente anche per loro il tempo a disposizione non sarà quello concesso all’headliner e la scelta diventa quindi estremamente complicata.
A differenza dei Death Angel, Waters e soci decidono però di concentrarsi maggiormente sui brani dei primi album, con un paio di estratti dal recente “For The Demented” e la sola “No Way Out” come altra rappresentante delle ultime uscite. Tutti pezzi ottimi, ma non è una caso se l’esaltazione del pubblico arrivi poi per la maggior parte con l’esecuzione dei vecchi cavalli di battaglia. Canzoni come “King Of The Kill” o “W.T.Y.D.” scatenano un vero e proprio putiferio… che arriva di riflesso alla band sotto forma di ulteriore carica da distribuire nelle tracce successive. Un circolo virtuoso che diventa magia pura e che porta ad un coinvolgimento globale in cui il pubblico canta quasi ogni ritornello in modo perfetto, diventando esso stesso parte dello show. Jeff Waters trova il tempo di scherzare sulle storpiature della pronuncia del nome della band che sente in giro, ma per la maggior parte la band si concentra sulla performance. Con risultati strabilianti di pulizia esecutiva e potenza. Il finale con “Alison Hell”, “Human Incecticide” e “Phantasmagoria” è da commozione per ogni vecchio thrasher presente in sala. Spettacolari. (Riccardo Manazza)
TESTAMENT
I Testament non hanno praticamente mai affrontato cali vistosi, qualitativamente parlando, durante la loro carriera e anche gli ultimi lavori sono lì a dimostrarlo; questo tour di promozione a “Brotherhood Of The Snake” presenta una scaletta molto variegata con l’unico difetto di essere leggermente troppo lunga. Più che la lunghezza della setlist mi ha abbastanza stupito la scelta di annacquare lo show con assolo atti a confermare un’abilità tecnica che non è mai stata messa in discussione; non scopriamo certo oggi quanto Alex Skolnick sia un mostro sacro della sei corde così come la sezione ritmica Di Giorgio/Hoglan.
Lo spettacolo della band californiana, seminale per lo sviluppo del thrash metal più classico, ha raggiunto con questa formazione, livelli di professionalità eccelsi che riproducono fedelmente quanto di buono registrato in studio; i pezzi trainanti dell’ultimo album come “The Pale King” e l’assatanata “Stronghold” vengono intramezzate dai loro singoli di maggior successo (recenti e meno) che dal vivo rendono alla grande anche per i ritornelli arcinoti interpretati dal Chief Chuck Billy. “More Than Meets The Eye”, “Rise Up”, “Electric Crown”, “Souls Of Black”, l’inaspettata “Low”, “The New Order”, “Practice What You Preach” sono solo alcuni dei “classici” che molte band metal vorrebbero avere nel proprio songbook tutte rese attenendosi agli originali ma con una potenza invidiabile per questi cinquantenni (lo stesso discorso vale ovviamente anche per le band che li hanno preceduti).
Accanto ai solos dei quattro strumentisti (anche quello inaspettato di Eric Peterson) devo segnalare un piccolo calo a tre quarti del concerto (ma questo potrebbe essere anche soggettivo dopo alcune ore di assalto auricolare) mentre la scelta di piazzare in fondo “Disciples Of The Watch” e “Over The Wall” non può che confermare l’attitudine immutata dei Testament e la potente chiusura di un concerto che ha confermato le più rosee aspettative, in un Live Club pressoché sold out e scatenato come poche volte visto nella mia vita di partecipante a concerti. (Alberto Capettini)
“When I say rise uuuup…”
