I Tesla, nella seconda metà degli Eighties, hanno avuto un’importanza che forse non è mai stata del tutto loro riconosciuta: aver contribuito in maniera sostanziosa a far rinascere un hard rock sincero, con suoni molto più veri di quanto si potesse ascoltare all’epoca e un forte ancoraggio al decennio precedente. Una formula che nelle sue linee fondamentali, con successivi passaggi e rielaborazioni, ha anticipato la tendenza di moltissime altre band arrivate dopo, restituendo un calore valvolare ai suoni spesso troppo artefatti degli anni ’80, per non parlare del fatto di aver riscoperto per primi i live unplugged. A 33 anni da quel debutto, dopo scioglimenti, riformazioni, qualche cambio di formazione, nuovi dischi sia in studio che live e concerti sempre ad altissimo livello, rieccoli con la loro ottava fatica discografica, intitolata “Shock”. In fase di produzione e di scrittura dei brani sono stati coadiuvati da Phil Collen dei Def Leppard e c’è da dire che la mano del chitarrista inglese si sente prepotentemente (in modo clamoroso nella conclusiva “Comfort Zone”, quasi uno scarto di “Hysteria”). Infatti il classico hard rock venato di blues e southern, che pur con alti e bassi di ispirazione ha sempre caratterizzato la band di Sacramento, in questo disco lascia molto, troppo spazio ad uno stile più patinato, più levigato, formalmente ineccepibile, ma forse privo delle sensazioni forti che i momenti migliori della loro musica hanno sempre trasmesso. Chiaro, buonissimi momenti non mancano, come il brano d’apertura “You Won’t Take Me Alive”, la blusey “Tired To The Tracks” o “I Want Everything”, ma accanto a questi momenti felici, convivono pezzi più pop e ballate ben lontane parenti di una “Love Song” (“Love Is A Fire”, “Forever Loving You”, “Afterlife”) che, pur certamente piacevoli, non si aspetterebbero da una band come loro.
In definitiva un disco certamente gradevole, suonato e cantato alla grande, con alcuni momenti coinvolgenti che convivono però con altri più addomesticati, senza l’ispirazione dei tempi migliori e soprattutto con poca dell’anima dei primi fondamentali dischi.