Temple Balls – Recensione: Avalanche

In occasione dell’uscita di “Pyromide” avevo definito i Temple Balls come una band caratterizzata da una semplicità convinta, allo stesso tempo limpida, onesta e diretta. Caratteristiche che si riflettevano in un hard rock genuino, non troppo elaborato ma comunque in grado di generare simpatia, trasporto e divertimento senza pensieri. Ed il fatto che il testo di presentazione del loro nuovo disco si soffermi su quanto fatto in questi anni, senza perdersi in espressioni altisonanti o promesse di rito, è un’ulteriore testimonianza dell’umiltà e dell’approccio pratico che sembra caratterizzare – dal profondo – la band fronteggiata da Arde Teronen. E’ dunque con lo stesso spirito che ci si deve sintonizzare sulle onde dei finlandesi: non tanto per limitare le aspettative, che album dopo album hanno tutto il diritto di crescere, quanto piuttosto per cogliere l’anima ed il carattere di un quintetto che mette sullo stesso piano songwriting, attitudine e tutta la professionalità che serve per suonare al fianco di Sonata Arctica, Queen, Deep Purple e Uriah Heep. I quaranta minuti scarsi dei Temple Balls in edizione 2023 si aprono sulle note di una “All Night Long” che è un irresistibile trionfo di riff, cori ed energia, come una versione pompata dei Quireboys: la voce di Teronen suona ancora più acuta e graffiante che in passato, il lavoro delle chitarre di Jiri Paavonaho e Niko Vuorela possiede il carattere della produzione che Slash ha instaurato con Myles Kennedy e su tutto aleggia un’aura vagamente seventies che, se possibile, aggiunge ulteriore strappo e divertimento. Rispetto al disco precedente, “Avalanche” tiene fede al suo nome suonando ancora più compatto e travolgente nelle ritmiche di stampo heavy (“Stand Up And Fight”), negli assoli densi di note (“Trap”) e nei suoni ruvidi, che in questo caso si fanno piacevolmente sporchi, quasi a voler prendere le distanze dai canoni del rock più squisitamente melodico, rifinito, artificiale.

Con “Avalanche” siamo decisamente in territorio hard ed una menzione particolare la merita il sorprendente contrasto tra il carattere catchy dei cori e la rabbia espressa nelle parti vocali: il mix si evolve in complessità e diventa traccia dopo traccia sempre più interessante e capace di generare una tensione sottilmente nordica – e forse inarrivabile per le realtà nostrane – che forse si spinge persino oltre le intenzioni della stessa band. Il carattere divertito non è in ogni caso scomparso del tutto, a testimonianza di un prodotto che è più evoluzione che rivoluzione: i piccoli tocchi electro/disco posti all’inizio di “Lonely Stranger” e l’ululato dopo l’assolo sono giusto lì per ricordarci che questi sono in un certo senso i Temple Balls di sempre, solo ancora più compatti e coesi dopo le tante esperienze accumulate – ed i riconoscimenti ottenuti, ma sapientemente poco strombazzati – tra Europa e Giappone.

La bontà dell’ispirazione che ha guidato il quintetto di Oulu, e che mi sentirei di accostare alla produzione recente dei mai sufficientemente adorati (MSA) Kissin’ Dynamite, emerge anche negli episodi dall’incedere più rallentato: è il caso ad esempio di una “Prisoner In Time” che approfitta dei tempi dimezzati per suonare ancora più pesante e drammatica, oppure una “No Reason” che dimostra la capacità dei Temple Balls di aggredire con convinzione l’ampiezza e suonare alla Def Leppard senza incorrere in figuracce. Paradossalmente, ma in fondo non si tratta di un evento per nulla raro, il singolo “Strike Like A Cobra” si colloca tra gli episodi meno interessanti del lotto, sia dal punto di vista delle melodie che del puro approccio ritmico. La raccomandazione è quindi quella di non limitarsi all’ascolto della traccia facile da the & biscotti scelta da altri, ma indagare con le proprie orecchie alla ricerca di qualità più longeve rispetto al marketing ed alla semplice, immediata vendibilità.

Il primo pregio di “Avalanche” è anzitutto quello di aver capitalizzato sulla storia di questa band, formata nel 2009, per proporsi in una veste ancora più trascinante ed aggressiva (“Northern Lion”), qualità che sulle nostre pagine e da molti dei nostri infaticabili scribi sono sempre e nonostante tutto apprezzate. Il secondo merito è quello di non essersi resi protagonisti di una maturazione pallosa o autoreferenziale, mantenendo al contrario quel carattere di onestà e chiarezza che me li aveva già fatti apprezzare due anni fa: le loro scelte stilistiche sono chiare dal primo all’ultimo minuto, ma non per questo il disco presenta eccessivi tratti di staticità o prevedibilità, anzi. La terza circostanza riguarda infine la godibilità schietta di “Avalanche”, un disco che si fa volere bene indipendentemente dalla direzione ascendente presa dalla loro parabola e dalla contestualizzazione biografica: per capire il potenziale di queste canzoni, immaginando una “Dead Weight” suonata dal vivo, non servono premesse, né promesse, e nemmeno recensioni. Esclusa questa, ovviamente.

Etichetta: Frontiers Music

Anno: 2023

Tracklist: 01. All Night Long 02. Trap 03. Lonely Stranger 04. Stand Up And Fight 05. Prisoner In Time 06. Strike Like A Cobra 07. No Reason 08. Northern Lion 09. Dead Weight 10. Stone Cold Bones 11. Avalanche
Sito Web: facebook.com/templeballsrocks

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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