Nati per dividere l’opinione pubblica con sonorità destinate a lasciare l’ascoltatore senza reali punti di riferimento, sfoggiando influenze che, partendo dal death metal, arrivano a sfociare nella tradizione folkloristica armena, i System Of A Down hanno rafforzato questa loro posizione “di frontiera” con la loro esibizione, lo scorso 8 marzo, al Palavobis di Milano. Davanti ad un’arena gremita all’inverosimile, Serj Tankian e soci hanno infatti dato vita ad uno show scialbo, rovinato da un’acustica non entusiasmante e da una condizione strumentale abbastanza carente, conferma del fatto che non sempre ciò che fa gridare al miracolo in studio (in questo caso l’album ‘Toxicity’, uno dei dischi must del 2001) è poi riproponibile con immutata qualità in sede live, tracciando così ancora una volta il solco tra chi vede in essi i nuovi fenomeni sui quali scommettere per il futuro e chi li considera un enorme bluff. Polemiche a parte, nell’immediata vigilia del concerto abbiamo avuto modo di prendere parte ad una conferenza stampa allestita all’interno del Palavobis, alla quale hanno partecipato il bassista Shavo Odadjian, il batterista John Dolmayan e, in un secondo tempo, il cantante Serj Tankian
L’origine dei SOAD è armena, radici solide che emergono in quello che suonate…
“(Shavo) Siamo tutti fieri delle nostre radici, ed è ovvio che queste emergano spontaneamente in quello che suoniamo. Già nel nostro primo album questo attaccamento alla cultura armena era presente ed emergeva soprattutto in una canzone come ‘Know’, secondo noi uno specchio fedele del sound del nostro Paese. Noi siamo armeni, vi è un legame culturale che unisce i membri della band ed è normale che questa cultura emerga in ciò che suoniamo. Ma credo che questo vincolo culturale vada oltre al semplice aspetto musicale, perché ci donano un grado di comprensione elevato, un medesimo senso di rispetto e della morale, una medesima mentalità, tutte cose che ci fanno sentire quasi fratelli. Questa cosa penso sia fondamentale per noi, perché in un Paese come l’America, formato da culture, nazionalità e mentalità differenti e quindi di difficile armonizzazione, possedere questo grado di coesione è un’arma vincente”.
Come si concretizza, nella vostra musica, la vostra origine armena?
“(Shavo) Si concretizza sia da un punto di vista lirico che sonoro. Nel primo album, ad esempio, c’era una song, ‘P.L.U.C.K’ che parlava del genocidio armeno del 1915. Per quanto riguarda l’influenza etnica, va sottolineata l’importanza di Arto Tuncboyaciyan, un musicista armeno che ha lavorato con numerosi artisti blues e jazz. Soprattutto in ‘ Toxicity’ abbiamo utilizzato strumenti tipici della tradizione armena, facendoci poi aiutare da Arto per trovare quelle soluzioni sonore che meglio sposavano la musica etnica con le sonorità più moderne”.
Molti vedono i System Of A Down come una band politica, quasi come novelli RATM. Come vi sentite nelle vesti della band “politicamente impegnata”?
“(Shavo) Tutto è nato dal fatto che il nostro album d’esordio conteneva alcune canzoni a sfondo politico e sociale, cosa che ha spinto la gente ad accostarci ad un determinato filone di musica. Personalmente non ci sentiamo una band politica, per il semplice fatto che è nostra consuetudine scrivere quello che ci passa per la testa, quindi politica, guerra, ma anche sesso, fame, rabbia, ragazze, tristezza…Alla luce di questo mi sembra riduttivo limitare i SOAD alla dimensione di band “ politica”.
“(John) Va anche detto che, la nostra uscita, è coincisa con lo scioglimento dei Rage Against The Machine, quindi è stato naturale, per la gente, cercare i loro naturali successori e attaccarsi a noi come loro eredi. Però la politica è solo una piccola parte dei temi che trattiamo nei nostri brani. Come ogni persona di questo mondo, capita anche a noi di parlare di politica, ma semplicemente perché questa fa parte della nostra vita…spesso nascono discussioni basate sulla politica, ma è solo un modo di confrontarsi”.
Vi è mai capitato di ritornare a visitare la vostra terra di origine?
“(Serj) Sì, l’ho visitata lo scorso anno e l’ho trovata fantastica. I paesaggi sono favolosi, così come è splendida la gente. Purtroppo è la corruzione del governo a rovinare l’ idillio”.
Come vi comportereste di fronte ad un invito a suonare in Turchia?
“(Shavo) Non avremmo nessun problema, anzi, ci è già successo. Noi non abbiamo nulla contro la Turchia né contro il suo popolo, però odiamo il suo governo, perché ancora oggi non vuole riconoscere il genocidio del 1915. La nostra speranza era quella di poter far aprire gli occhi a quella gente attraverso la nostra musica, però la sicurezza che avevamo richiesto per esibirci in quei posti non ci è stata garantita. Se solo avessimo suonato ‘P.L.U.C.K’ dal vivo ci saremmo trovati dritti in una cella del carcere turco…una situazione inconcepibile!”.
Alleggerendo un attimo il discorso: in “Toxicity“ avete dedicato una canzone al fenomeno delle groupie. Da cosa è nata questa scelta?
“(John) Dal fatto che tutti noi troviamo ridicolo questo fenomeno! E’ una cosa che proprio non riusciamo a capire e ci viene da ridere al pensiero di queste ragazze che, magari fidanzate, non hanno problemi ad intrufolarsi nel backstage per avere un’avventura con un membro della band…magari con il consenso del proprio fidanzato! E’ una cosa stupidissima che abbiamo pensato bene si mettere giù in chiave ironica in un brano”.
Prima avete accennato alla dimensione di “famiglia” all’interno della band. Ma in questa famiglia, esistono ruoli ben definiti o agite “in blocco”?
“(Shavo) Mi piace vedere il gruppo come un proprio team, nel quale io non sono solamente il bassista, John non è solo il batterista, Serj non è solo il cantante e Daron non è solo il chitarrista. Siamo tutti molto legati e, per quanto riguarda l’universo System Of A Down, ci piace prendere cura personalmente di tutto quello che ruota attorno alla band, discutendo, organizzando ma sempre agendo tutti assieme, senza una persona che assuma il ruolo di leader”.
“(John) Non amiamo che altre persone prendano decisioni al nostro posto, e per questo quello che facciamo, lo facciamo assieme…tutto deve passare sotto la nostra supervisione, dalla copertina dell’album alla realizzazione delle magliette, il tutto, ovviamente, in sintonia con la nostra casa discografica, con la quale abbiamo un rapporto di collaborazione e di stima reciproca. Loro agiscono facendo attenzione a non fare qualcosa che noi disapproviamo e cercano di rappresentarci all’esterno così come noi vogliamo essere rappresentati”.
Per concludere: poco tempo fa sono venuti ad esibirsi a Milano gli Slipknot ed il numero di biglietti venduti per il loro show è stato di gran lunga inferiore a quelli venduti per il vostro. Vi sentite in un certo senso in competizione con le altre band attive nel vostro campo?
“ (Serj) Assolutamente no! E mi viene da ridere se vengo a sapere che ci sono altre band che, invece, si mettono in competizione con noi. La storia della concorrenza tra band mi era già arrivata all’orecchio in America, però avevo già allora “Voi fate quello che dovete fare e noi facciamo quello che dobbiamo fare, poi si vedrà cosa succede”. Il fatto è che, una band, deve mettersi in competizione unicamente con se stessa, cercando di ottenere così sempre il meglio”.
“(John) Non ci importa quanti biglietti abbiamo venduto questa sera e se tra poco suoneremo davanti a 10.000 o a 50 persone, l’unica cosa che realmente ci importa è la nostra musica. Non credo che, oggi, a qualcuno interessi quanti biglietti avevano venduto trent’anni fa i Beatles quando erano in tour…oggi tutti si ricordano di loro per la loro musica, ed è quello che interessa anche a noi”.
“(Shavo) Credo che il numero di biglietti venduti sia ininfluente. Se c’è poca gente non mi sento portato a non dare il massimo. Chi ci sta davanti ci rispetta, ed è giusto che noi li ripaghiamo suonando sempre al meglio delle nostre possibilità”.
“(John) Una volta mi è capitato di suonare davanti a solo due persone, compresa la mia ragazza, quindi tutto quello che, da quel giorno, mi si sarebbe parato davanti, sarebbe stato meglio! Comunque, non vedo la ragione per questa competizione tra le band, la scena è grande, l’audience è grande e c’è posto per tutti, dai Backstreet Boys ai System Of A Down”.
Le foto sono di Morena Brengola