Summer Day In Hell 2003: Live Report

La giornata di Bologna ha qualcosa di dannatamente invitante: merito, sicuramente, dei nomi che coinvolge. Defezioni a parte (saltati Adimiron e Guilty Method) e nonostante un suono il più delle volte scandaloso, il Summer Day In Hell è stata l’occasione per rispolverare vecchie glorie (Prong, Annihilator), trovare piacevoli conferme (Opeth) e per rendersi fatalmente conto che ci sono cose che non cambieranno mai (Type 0 Negative). Per il resto, le solite cose: orde di metallari pittati e borchiati, gente comune travestita da metallaro e metallari che fanno di tutto per sembrare gente comune…

STORMLORD

I romani Stormlord danno il via alle danze, con uno show che a tratti annoia e altre volte potrebbe coinvolgere. È la manifestazione evidente di una band capace di muoversi con estrema disinvoltura sul palco ma, ahime, provvista di un set di canzoni che certo non fa gridare al miracolo in fatto di originalità: per intenderci, è la fiera del clichè. Certo, il suono non proprio impeccabile del drumkit concede spazio talvolta alla cacofonia, ma fortunatamente, i nostri riescono comunque a scaldare gli animi della gente che sta sotto. Soprattutto, è con una ‘Raining Blood’ di slayeriana memoria che moltissimi – anche tra coloro che non hanno mai sentito il nome Stormlord prima d’ora – si sentono direttamente chiamati in causa: il risultato non è da tramandare ai posteri ma sa essere almeno appagante e la soddisfazione si fa palpabile. Per il resto uno show oggettivamente buono. Ma da queste parti si respira indifferenza totale.

EXTREMA

Dopo l’esibizione degli Stormlord, si cambia decisamente registro con gli Extrema, una delle band più importanti (e sfortunate) del territorio nazionale. La loro esibizione al Summer Day In Hell potrebbe essere tranquillamente definita come “l’angolo del fuori tema”. Perché, effettivamente, uno spettacolo tanto fisico e massiccio, complice la valanga di pezzi tratti dalla produzione più recente, non avrebbe meritato di venir snobbato dalla fiacchezza di un pubblico fermo e incapace di lasciarsi andare come avrebbe dovuto essere. Il concerto è magnifico, magari non impeccabile, ma sicuramente avvincente, anche quando il Massara vede scendere su di lui la sfiga ed è costretto a cambiare chitarra. I meriti sono anche di un frontman come Gianluca Perotti, oggi particolarmente esagitato, capace di tenere il palco come pochi e dannatamente convincente dietro il microfono. Peccato: avrebbero meritato decisamente maggior attenzione da parte del pubblico.

PRONG

Tommy Victor. Un nome che molti associano irrimediabilmente a tutte quelle porte sbattute in faccia che non potranno più essere riaperte e alla sfiga di chi si sveglia nel momento giusto ma nel posto sbagliato. Ed è un uomo che, oggi, ha dato una prova di carisma assolutamente inarrivabile. Un concerto dei Prong non ha bisogno di effetti pirotecnici per essere avvincente e non c’è nemmeno bisogno di perdere tempo con inutili giri di parole: nonostante la coreografia pari a zero e una prestanza scenica praticamente nulla, la band riesce a catturare l’attenzione del pubblico solamente con l’aiuto del loro glorioso repertorio: ‘For Dear Life’, ‘Snap Your Fingers, Snap Your Neck’, ‘Beg To Differ’ ci regalano i Prong come da sempre avremmo voluto sentirli: tirati, precisi e, ovviamente, incazzati con il mondo intero. E pensare che fino all’anno scorso li si dava per morti e sepolti! L’unico rammarico è quello di non aver pescato nemmeno un pezzo da ‘Rude Awakening’. Ma per il resto, ci siamo. Oh, se ci siamo!

ANNIHILATOR

Comincia a scomparire il sole: entrano in scena gli Annihilator. E parlano l’ottima musica e la grande classe. Quella degli Annihilator verrà ricordata come una delle migliori esibizioni della giornata, per una valanga di motivi. In primis per il fatto di aver dimostrato come l’esperienza non possa in alcun modo venir spazzata via da quattro pischelli che pretendono di spacciare l’acqua calda come qualcosa di innovativo. In secondo luogo, e soprattutto per questo, perché Jeff Waters è stato dannatamente incredibile, anzi tutto come persona oltre che come musicista. A proposito dei Prong si era parlato di uomini carismatici: beh, Jeff Waters è ai primi posti della categoria, quest’oggi. Il repertorio della band viene snocciolato senza troppi problemi, mettendo in luce, tra le altre cose, il nuovo singer, fautore di una performance con i fiocchi. È con ‘Never, Neverland’ e ‘Alice In Hell’ che il pubblico entra in uno stato di assoluta estasi e non a caso: è la storia dell’Heavy Metal tutto che si inginocchia di fronte a una band che fino a qualche disco fa era data per morta e che ora è qui tra noi, in forma smagliante e capace di muovere le masse come diavolo le pare. Davvero superlativi.

LACUNA COIL

I Lacuna Coil sono una di quelle band che ormai ha fatto il botto. Hanno vagato in giro per il mondo, ricevendo consensi impensabili, hanno dato alla luce tre dischi e due EP ben confezionati e facilmente smerciabili; tra l’altro, sono forse l’unica band di casa nostra a riscuotere consensi tra i metallari senza suonare Heavy Metal in senso stretto. Buffo. La loro esibizione di oggi è una sorta di coronamento a tutto questo: suonare dopo gli Annihilator e prima di Virgin Steele, con una marea di gente che li acclama e li accoglie calorosamente, non è roba da poco. Il loro show è impeccabile, per carità, anche se il set pesca forse troppi pezzi dal loro ultimo ‘Comalies’, un disco che magari potrà essere piaciuto ai più, ma che sicuramente non ha niente che possa far gridare al miracolo: l’esibizione, per certi versi, mutua esattamente la stessa impressione. In definitiva, un buon concerto, forse fin troppo prevedibile ma che praticamente tutti sembrano aver apprezzato.

VIRGIN STEELE

Una band di razza, niente da dire: di quelle che non hanno bisogno di troppi gingilli per coinvolgere i fan e che ha messo mano a spadoni infuocati in tempi non sospetti, ben prima che gente come gli Hammerfall e i Rhapsody tornassero a riutilizzarli spacciandoli per cosa nuova. Magari alcuni potranno trovare poco interessante la proposta musicale di De Feis e soci, ma nulla va rimproverato alla grande prestanza scenica dei quattro. Piove, ma non importa: il pubblico c’è ed è infuocato come non mai. I cavalli di battaglia vengono proposti in canonica successione; dispiace moltissimo pensare che per tutta la durata dello show, la band ha avuto che fare con un suono davvero orribile, che racchiude nel silenzio le partiture di tastiera e talvolta persino quello della chitarra: il pubblico sorvola e continua a cantare come un ossesso nonostante questo. Una notarella: lo spadone infuocato d’ordinanza nel corso di ‘The Great Sword Of Flame’ è stata una tamarraggine cui ormai siamo troppo abituati e che sicuramente fa più ridere che altro.

OPETH

È un brivido perpetuo che invade il cuore, la costante emozione che si prova nell’assistere ad un concerto degli Opeth. Questa volta, forse, c’è anche qualcosa in più, visto e considerato che la band opta per un set più pesante e meno sognante di quanto ci si sarebbe potuti aspettare: in questa circostanza, c’è anche l’impulso a muovere la testa come gli ossessi, toccando a tratti la frenesia con una ‘Deliverance’ a tratti viscerale e altre volte inspiegabilmente commovente. È un vero peccato che, nel corso di ‘Godhead’s Lament’, la band abbia a che fare con problemi di suono mica da poco, che fortunatamente vengono risolti giusto in tempo per una ‘The Drapery Falls’ da urlo. C’è anche lo spazio più mediato e si chiama ‘A Fair Judgement’, un pezzo che dal vivo si svuota dell’intimismo da studio e acquista moltissimo in impatto. A coronamento di uno spettacolo incredibile, viene addirittura ripescata ‘Demons Of The Fall’, sicuramente tra le cose più pesanti mai composti dalla band di Akerfeldt e soci. Insieme a Prong e Annihilator sono stati i migliori della giornata, anche se le forme sono state sostanzialmente differenti. Quanto meno singolare il fatto che non sia stato pescato alcun pezzo dal recente ‘Damnation’.

TYPE 0 NEGATIVE

Che la band di Pete Steele sia una di quelle creature del metallo per cui vale la massima “o li ami o li odi” è ormai dato di fatto, perché, che lo si voglia accettare o meno, i T0N sono uno di quegli ensemble furbi, capaci di suonare come i Black Sabbath ma dannatamente scaltri a non dirlo troppo in giro. Il loro show di Bologna è a base di corde spezzate e vino rosso (tutti devono acqua, tra un pezzo e l’altro: Steele, com’era prevedibile, no.), fette considerevoli di ‘October Rust’ e ‘Bloody Kisses’ e pochissimo spazio concesso al nuovo ‘Life Is Killing Me’. Naturalmente, per la natura stessa di una band simile, poco importa se Steele continua ad essere poco convincente dietro il microfono o se alcune partiture lente (troooooppo lente) annoiano qualcuno tra i presenti: i Type 0 Negative si mostrano ai loro seguaci esattamente come loro li vogliono e non sta a noi giudicare se questo sia un bene o un male. Almeno, non in questa circostanza: hanno suonato per quasi due ore, con un energia incredibile e c’è anche da giurare che, senza i litri di vino ingurgitati, i risultati avrebbero potuto essere molto, ma molto, diversi. Se poi si vuole parlare dei pezzi nudi e crudi, beh, il discorso che andrebbe fatto è drasticamente diverso: sono stati la band ideale per la pausa cena.

BLIND GUARDIAN

Primo concerto a Bologna e primo festival in Italia da headliner: quella dei Blind Guardian è un’esibizione dal sapore del tutto particolare. Ed assistere ad uno show di questo tipo è un’esperienza che va fatta, indipendentemente dalle vostre inclinazioni musicali: un coinvolgimento del pubblico simile è qualcosa che oggi e anche altrove si è visto raramente. Merito sicuramente di un Hansi Kursch che, per quanto scadente dietro il microfono e ancora incapace di rivestire il ruolo di frontman, riesce a muovere le masse in maniera impeccabile. Tutti gli altri, invece hanno adempiuto al loro compito in maniera egregia, suonando per due ore senza mai sbagliare un colpo e mostrando che, se i BG sono arrivati dove ora stanno, non è solo dovuto alla fortuna di essere nati nel posto giusto al momento giusto. Sono state ripescate cose del passato che era da moltissimo tempo che non venivano portate sul palco, a cominciare dalla splendida ‘I’m Alive’ e dalla storica ‘Banish From Sanctury’. È stato praticamente svaligiato ‘Imaginations From The Other Side’ (ben sei i pezzi estratti da quel disco), mentre ‘Mirror Mirror’ e ‘And Then There Was Silence’ rappresentano i picchi del repertorio più recente a venir proposti. La gente, di sotto, canta quasi fino a sgolarsi, tanto che il coro poderoso degli inizi, si rivela, nel corso di ‘And The Story Ends’ niente più che un rantolo di disperati: tutto ciò è stato molto bello.

Mirko Quaglio

Sulla carta il Giorno Estivo all’Inferno sembra un gran bel festival, un bill vario e ben assortito un po’ per tutti i gusti. La giornata è stata molto calda, ma grazie alle nubi che non di rado nascondevano il sole e alla breve pioggerella fondamentalmente sopportabile, le condizioni erano più che accettabili, anche se ho visto diversi ustionati. All’arrivo apprendo che l’esibizione dei due gruppi minori (Adimiron e Guilty Method) è stata cancellata, ma per fortuna non si sono registrate altre defezioni o cambi nel bill. Nota curiosa è rappresentata dall’affluenza del pubblico: tanto per cominciare aspettavo molta più gente e poi mi è sembrato strano che la maggior parte delle persone siano arrivate 5-6 ore dopo l’inizio delle ostilità. Segno forse che i metallari si stanno sempre più imborghesendo, diventando pantofolari, o forse non così open minded come sarebbe auspicabile, o chissà cosa.

STORMLORD

La band capitolina è in forma e cerca in tutti i modi di scaldare il pubblico (per la verità esiguo) che si sta lentamente radunando sotto il palco. Purtroppo la proposta della band è troppo fredda e i suoni troppo impastati per avere presa su chi non li conosce. L’unico brano che fa infiammare il pubblico è, guardacaso, la cover di Raining Blood, anche se bisogna ammettere che i nostri l’hanno un po’ massacrata. Senza infamia e senza lode, quindi.

EXTREMA

Il periodo thrash della band è finito da un pezzo, ora gli Extrema sono dediti ad un metal molto Nu sulla carta, ma in definitiva un po’ già sentito. Sanno comunque come tenere un palco e come dare spettacolo, soprattutto Tommy Massara si sbatte come un indemoniato. Il groove dei loro brani riesce facilmente a trascinare il pubblico nonostante il caldo e questo è ciò che conta. Nota molto negativa, a mio parere, il continuo imitare Phil Anselmo da parte di Gianluca Perotti, singer della band.

PRONG

Si può parlare male dei Prong? No, la loro esibizione è fresca e genuina, le chitarre taglienti la batteria tellurica. Solo la voce di Tommy Victor è un po’ sotto tono, ma è veramente un dettaglio. Il loro thrash metal suona ancora fresco e dinamico nonostante gli anni e quando il gruppo comincia a proporre i brani di ‘Beg To Differ’, primo fra tutti “For Dear Life’, il sempre esiguo pubblico (ma che piano piano sta aumentando) apprezza. Peccato notare come soprattutto i più giovani tra i presenti non sapessero chi fossero questi 4 ragazzoni dotati di tale carisma e tanta classe.

ANNIHILATOR

L’esibizione della band di Jeff Waters, per quanto mi riguarda, è stata la migliore della giornata. Un gruppo compatto, potente, affiatato e grintoso con in più un chitarrista la cui tecnica è seconda solo al suo carisma, Waters appunto. Inutile parlare della scaletta, brani vecchi (come ‘Allison Hell’ o ‘Never Neverland’) e nuovi (‘Ultramotion’) che convivono perfettamente ed un pubblico (finalmente decentemente numeroso) in estasi che applaude e acclama in continuazione. Ogni altra parola è inutile, esibizione maiuscola. Se ne sono resi tutti.

LACUNA COIL

Ai milanesi spetta l’impossibile (e ingrato) compito di reggere il colpo degli Annihilator. La band ce la mette tutta, sapendo di non poter contare sempre e solo sull’aspetto di Cristina, per far presa sul pubblico. Ma non ci sono storie, il carisma ce l’hai o non ce l’hai, il gothic metal di chiara ispirazione Paradise Lost dei nostri suona un po’ fuori contesto, dopo le prove di fuoco di Prong e Annihilator e la tenuta di palco lascia un po’ a desiderare. In oltre la voce di Cristina continua a non sembrarmi adatta al contesto Live, troppo priva di grinta e potenza com’è. I Lacuna Coil comunque se ne vanno acclamati dal loro pubblico, decisamente numeroso.

VIRGIN STEELE

Un leggera e timida pioggerella saluta l’arrivo on stage di David De Fais ed Edward Pursino, peccato che al mixer qualcuno doveva essere distratto. Le testiere (elemento essenziale del loro sound) non si sentono e la voce è tanto bassa da essere quasi irritante. Nonostante tutto il pubblico va letteralmente a fuoco. Questo è il rock, questo è lo spirito del metal. Questo è il modo di tenere il palco. Rocker di razza DeFeis e Pursino (senza nulla togliere agli altri due membri del gruppo, ma “ubi major minor cessat”), la dimostrazione che i vecchi detengono un segreto che i giovani tardano ad apprendere in questo mondo. Unica critica che mi sento di fare ai Virgin Steele è il loro immaginario ancora un po’ troppo inchiodato agli anni 80, gilet leopardati, jeans strappati, spade infuocate, ma sarebbe come parlar male di un bel quadro perché ha una cornice un po’ fuori moda.

OPETH

Questo non è un gruppo da festival. La loro musica è troppo intimista, troppo for fan only per adattarsi ad un contesto come questo. Loro sono bravi, tecnicamente dotati, ma i brani possono aver presa solo con chi già li conosce bene, solo con chi segue il gruppo già da tempo. Per tutti gli altri sono un gradevole sottofondo, un pastone senza capo né coda, una pausa panino, una simpatica curiosità che scoccia ben presto. Sia chiaro, la loro esibizione, nonostante un problema di volumi, è stata eccezionale è proprio la proposta ad essere inadatta all’evento. Questo concerto ha, comunque, evidenziato un difetto sostanziale della creatura di Akerfeldt, i brani tendono ad avere tutti una struttura ed un suono pressoché simile, finendo per assomigliarsi uno con l’altro e questo, dal vivo, rappresenta un grosso limite.

TYPE 0 NEGATIVE

Il sole inizia a tramontare quando sul palco del Summer Day appaiono 4 infermieri, con degli strumenti al collo. Uno di loro ha una catena per tenere il basso ed è decisamente alto e grosso. Il gigante bassista, che risponde al nome di Peter Steele, è visibilmente ubriaco, sul suo amplificatore trovano spazio delle bottiglie d’acqua che lui tira immediatamente al pubblico per sostituirle con 4 bottiglie di vino rosso (vino francese, come poi confiderà al pubblico). L’esibizione dei Type 0 Negative è incentrata quasi esclusivamente su quelle due gemme note come ‘Bloody Kisses’ e ‘October Rust’ ed il pubblico apprezza parecchio questa scelta. Già, il pubblico è la cosa che mi ha colpito di più, l’area davanti al palco è finalmente gremita di gente che applaude e inneggia, rapita da quel gigante, ubriaco sì, ma dotato di un carisma eccezionale. La loro immobilità sul palco si trasforma in uno spettacolo dinamico, un ossimoro, come lo è la loro musica, un doom oppressivo che però riesce a divertire. I nostri chiudono con una ‘Black N° 1’, lasciando la platea decisamente soddisfatta.

BLIND GUARDIAN

Prima sorpresa: Thomen dietro le pelli a sorpresa, quando era stata annunciata al presenza del titano Alex Holzwarth dei Sieges Even. Seconda sorpresa: la set list. Riproposto quasi per intero ‘Immagination From The Other Side’, più altre chicche del passato (ormai quasi remoto) come ‘Valhalla’ e l’inaspettata “And Then There Was Silence” dall’ultimo lavoro in studio. Terza sorpresa: non ci sono basi registrate. La band aggredisce frontalmente il pubblico che reagisce con entusiasmo, Hansi Kursh non è nella massima forma, ma possiamo accontentarci, visto che la sua performance è sicuramente migliore di quella offerta in altre occasioni. Il resto del gruppo è compatto, preciso, conscio dei propri mezzi e galvanizzato dal pubblico delle grandi occasioni. Ottima conclusione di una gran bella giornata.

Stefano Di Noi

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