Sempre collocato in Germania, ma in una posizione più vicina dal punto di vista geografico all’Italia, il Summer Breeze Open Air è un festival con una storia ormai ragguardevole alle spalle (venticinque anni, per intenderci) e un interesse consolidato verso le frange più estreme del metal. Si svolge poco dopo Ferragosto e, per forza di cose, la sua organizzazione comporta dei confronti con il fratello maggiore Wacken Open Air. Un aspetto positivo per chi magari pensa che questi festival siano diventati troppo grandi, in quanto a presenze numeriche, per potersi permettere divertimento autentico, riguarda proprio le dimensioni del festival. Quattro palchi, concentrati in un’area abbastanza ridotta, il più piccolo dei quali si trova a ridosso dell’area campeggio, consentono spostamenti abbastanza agevoli senza il rischio di incappare in veri e propri ingorghi di pubblico in entrata e uscita. Il terreno è vario e presenta diversi avvallamenti e collinette, un elemento che nel corso dell’edizione 2022 del festival comporterà qualche disagio (le condizioni meteo peggioreranno via via, con un po’ di disagio legato al terreno fangoso ai limiti del pantano in alcune aree). Gli ultimi due anni di stop forzato hanno costretto gli organizzatori a scelte significative, per cui anche agli addetti stampa e fotografi viene chiesto il pagamento di un biglietto (ridotto nel prezzo rispetto a quello del pubblico pagante) per compensare le gravi perdite subite nel 2020 e 2021. Un altro aspetto positivo è la vicinanza al mondo civile, ovvero il paese pittoresco di Dinkelsbühl, che si può raggiungere tramite comode navette gratuite e consente a chiunque di rituffarsi per un attimo nel mondo civile e di rifornirsi di quanto necessario per i giorni di festival.
Il Summer Breeze Festival distribuisce le band che partecipano all’edizione 2022 su più giorni, con i primi concerti che hanno luogo già dal martedì pomeriggio e si sviluppano sul Ficken Party Stage, il palco più piccolo fra i quattro, collocato ai margini dell’area campeggio. Per noi la prima giornata è contraddistinta da tutte quelle attività pratiche che caratterizzano l’arrivo a un festival: ottenere l’accredito, raggiungere l’area campeggio riservata (“Con che mezzo di trasporto sei?”, “Sono a piedi”, “A piedi? Ma l’area campeggio è distante alcuni chilometri”, ovvero dialogo realmente avvenuto fra chi scrive e l’addetto della cassa accrediti), montare la tenda e soprattutto inquadrare i punti di riferimento circostanti per non perdersi nel tornare alla tenda nel cuore della notte. Fatto questo, possiamo raggiungere il Ficken Party Stage in tempo per una delle ultime esibizioni della giornata, quella degli End Of Green. La band tedesca non lascia un’impressione particolarmente positiva; per quanto l’ambientazione notturna sia in linea con lo stile oscuro della band, sembrano mancare efficacia e originalità dei brani, e anche se l’aspetto esteriore si distacca molto, i riferimenti ai Type O’ Negative sembrano troppi per potersene dimenticare. La loro esibizione serve comunque per immergersi subito nell’atmosfera del festival e fa da compimento a una giornata impegnativa.
Il Day 1, ovvero mercoledì 17 agosto, si svolge senza nessun intoppo. I concerti hanno inizio nel pomeriggio, e sarà anche il momento dell’apertura dell’Infield, l’area che contiene il palco principale (quest’area ha la particolarità di essere composta per buona parte da uno spiazzo di cemento, più adeguato in caso di pioggia, tremendo se fai crowd surfing e malauguratamente cadi per terra). La particolarità del palco principale è quello di essere molto alto rispetto al terreno, il che è un vantaggio per il pubblico, perché le band sono ben visibili anche da lontano, ma è più scomodo per i fotografi, che devono salire su una scaletta e collocarsi in fila indiana su una passerella di legno che limita un po’ i movimenti.
RAISED FIST
Da qui in avanti e fino a sabato notte il termine usato più di frequente dai musicisti sarà circle pit. Ci pensa il cantante degli svedesi Raised Fist a rompere il ghiaccio e dare il via a quella che sarà una serie ininterrotta di corse più o meno scatenate, più o meno imponenti, a perdita d’occhio.
CALIBAN
Cambio di band e di nazione, ed è il turno dei tedeschi Caliban. Lo stile, la tenuta di palco e la capacità di coinvolgere il pubblico, però, rimangono in pratica gli stessi.
EXODUS
Certo, è passato circa un mese dall’ultima volta in cui abbiamo visto gli Exodus in azione (parliamo della loro esibizione brillante al Luppolo In Rock), ma perché farsi scappare l’opportunità di rivederli dal vivo? E così, mentre il pomeriggio ha ancora spazio prima di lasciare posto alle luci della sera, siamo di nuovo di fronte al backdrop con la copertina di “Persona Non Grata” e ci lasciamo trascinare dal carisma di Steve Zetro Souza e da brani come “Bonded By Blood”, “Strike Of the Beast” e “Blacklist”. Ottima la resa di tutta la band, dallo stesso Souza a Gary Holt.
TESTAMENT
Rimaniamo a ridosso del T-Stage, il secondo palco per importanza all’inteerno del festival, per rivedere da vicino anche i Testament. Se al Luppolo In Rock il rischio era stato quello di perdere qualcosa della loro esibizione, arrivata a fine giornata e fiaccata da un caldo imponente, in questa situazione è molto più facile assaporarne tutte le sfaccettature. La scelta è quella di proporre una scaletta che riprende classici del repertorio della band, come “Practice What You Preach”, “The New Order” e “Over The Wall”. La formazione attuale è a dir poco perfetta, ed è difficile scegliere se farsi ammaliare dal modo in cui Alex Skolnick fa sospirare la sua chitarra, dal carisma di Chuck Billy, dalle esplosioni sonore di Steve DiGiorgio o da un Dave Lombardo perfetto. Una delle esibizioni migliori di tutto il festival senza dubbio.
PARADISE LOST
Le ombre della sera bavarese sono il contesto ideale per i Paradise Lost, che perderebbero moltissimo se si esibissero in pieno giorno al frinire delle cicale. Questa ambientazione non basta, però, a garantire una resa impeccabile per la band britannica, soprattutto perché i musicisti, per quanto eccellenti, sembrano distaccati non solo dal pubblico, ma anche e soprattutto fra di loro. L’impressione è quasi quella che la band stia “timbrando il cartellino” senza voler trasmettere emozioni particolari a chi li ascolta. Pazienza.
SVALBARD
Ci concediamo un breve passaggio in direzione del Wera Tool Rebel Stage, terzo palco del festival, dal quale si deve passare per forza nel tragitto fra il Main Stage e il T-Stage. Questo palco è riservato a band abbastanza di nicchia ma meritevoli di attenzione, com’è il caso dei britannici Svalbard. Non lasciatevi ingannare, però, dall’aspetto delicato della cantante e chitarrista Serena, perché il loro post hardcore è uno di quelli che fanno fischiare le orecchie anche ore dopo il termine del loro live.
FLESHGOD APOCALYPSE
La giornata si chiude con l’esibizione della prima delle due band italiane in cartellone (l’altra sono i Nanowar Of Steel e no, scusateci, non siamo andati a vederli stavolta), vale a dire i Fleshgod Apocalypse che, con questa apparizione in terra tedesca, consolidano il loro momento di grazia. La band risente dell’assenza sul palco del chitarrista Fabio Bartoletti, il che vuol dire che gli assoli principali di brani come “Monnalisa”, “The Fool” e “Sugar” siano basi registrate. Nonostante questa situazione di emergenza, comunque, la band riesce a emozionare al punto giusto, coadiuvata anche da una buona resa sonora e da un pubblico attento, per nulla fiaccato dall’ora tarda (siamo a cavallo dela mezzanotte). Una prima giornata, insomma, che ci ha già buttati nel vivo del festival e che ha riservato belle soddisfazioni.