Souls Of Tide – Recensione: Black Magic

Vengono dall’antica città di Hamar in Norvegia, hanno alle spalle esperienze di stampo rock e metal e hanno deciso, con il progetto “Souls Of Tide”, di dare nuovo smalto alle sonorità di Deep Purple, Led Zeppelin, Black Sabbath e The Doors: questo in sintesi è il percorso di sei musicisti che, dopo il debutto discografico sulla lunga distanza avvenuto nel 2016 con “Join The Circus”, tornano a far parlare di sé con questo nuovo “Black Magic”. Il disco è innanzitutto brillante, arioso e dinamico: non siamo insomma di fronte ad una rivisitazione pretenziosa, ad un intervento con velleità archeo-culturali o ad una comoda scopiazzatura di brani famosi o riesumate B-side. Al contrario, quello dei “Souls Of Tide” è un rock estremamente radiofonico e moderno, al quale le tastiere di Kjetil Banken (“Firegirl”) ed il lusso contemplativo di certi interventi chitarristici aggiungono, se non proprio un’ulteriore dimensione, almeno quel non so che di sciccoso che a volte fa perfino scalare la classifica. In “Morning Star” e “Evening Star”, solo per citarne un paio, ci sono freschezza ed attitudine, e pure quel drive scandinavo alla D-A-D che trascina ma in modo un po’ provinciale e disincantato, con la stessa pallida credibilità di un poliziesco in stile nordic noir.

A braccetto con gli Electric Boys di Groovus Maximus (1992) ed i più moderni Audrey Horne, con una spruzzata – in salsa più heavy – di Police (“Through The Fire”), la band fronteggiata da Vegar Larsen ha il merito di trovare subito la propria strada, mettendo in campo una combinazione moderno-seventies-moderno che funziona – in modo allo stesso tempo riconoscibile e convincente – in ciascuno degli otto brani in scaletta. Ed il fatto che Larsen e compagni riescano a trasmettere tutto il necessario in poco più di mezz’ora, infilandoci anche un interludio strumentale che non suona nemmeno fuori posto, la dice tutta su un disco in cui ogni istante, a suo modo, conta. Nel corso dei suoi succinti trentaquattro minuti, “Black Magic” sa essere sia languido che pimpante, frizzante come la luce del mattino, grigio e perfettamente industriale (“The Offering”) e poco dopo nuovamente vibrante, animato da quella smania che vorremmo sempre attribuire al nuovo. Ogni aspetto di questo contrastato andamento è descritto in modo contemporaneo ed intelligente, nell’alternarsi liquido di atmosfere e ritratti, nel sorprendere con le pause giuste ed ancora nello strizzare l’occhio al rock più pop quando l’energia delle note sembra portare verso quegli inaspettati lidi.

Ben suonante e ben suonato, il secondo album dei “Souls Of Tide” è un orologio svizzero sotto le mentite spoglie di una rivisitazione easy, un esercizio di abile songwriting che gli permette di prendere qualsiasi direzione, da un momento all’altro e sempre mantenendo il filo di discorsi e citazioni: questo lo rende affascinante, vivo e pulsante, come dotato di vita propria. Non è forse questo che fa di un’opera… un’opera, appunto, d’arte? Il modo efficace in cui pragmatismo nordico ed eccessi ormai ingialliti (“Black Magic”) trovano una sintesi efficace, all’insegna di un divertito hard’n’heavy che lassù al nord non ha nemmeno bisogno di classifiche separate per essere e per essere notato, conferma che i sei di Hamar sanno cosa vogliono e come ottenerlo, ove possibile con poca spesa (di orpelli) e molta resa (di dettaglio contemporaneo). E’ grazie al modo innocente in cui sdogana la sua scaltrezza che l’album merita non solo attenzione, ma anche un successore che possa estendere il piacere dell’ascolto e della scoperta ad un minutaggio ancora più sfidante: nella botte piccola c’è il vino buono, dopo tutto, ma in quella grande ce ne sta di più.

Etichetta: Mighty Music

Anno: 2020

Tracklist: 01. Voodoo Ritual 02. Firegirl 03. Through the Fire 04. Morning Star 05. Black Magic 06. Interlude 07. The Offering 08. Evening Star
Sito Web: facebook.com/soulsoftide

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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