Recensione: The Fighter

Originario di Belfast, città che ha dato I natali a Gary Moore, Rory Gallagher, Thin Lizzy, Stiff Little Fingers ed U2, Simon McBride è un talentuoso chitarrista che nel corso della sua carriera ha suonato con Ian Gillan (Deep Purple), Don Airey e Snakecharmer (band formata da ex membri dei Whitesnake), ma che allo stesso tempo non disdegna di intrattenere il pubblico di un polveroso locale di provincia, accompagnato solo dalla sua chitarra. Forte di un curriculum che lo ha visto suonare con i grandi (quest’anno ha rimpiazzato temporaneamente Steve Morse nei Deep Purple), insegnare al prestigioso British and Irish Modern Music Institute di Dublino ed aprire i concerti di – tra gli altri – Jeff Beck, Joe Bonamassa e Joe Satriani, McBride giunge con “The Fighter” alla pubblicazione del suo quinto album, cementando quindi una carriera solista che lo aveva visto al debutto quasi quindici anni fa (“Rich Man Falling” è del 2008). Se da un artista che nel 1996 è stato votato “Young Guitarist Of The Year” sarebbe lecito aspettarsi un disco focalizzato soprattutto sulle parti affidate alla sei corde, “The Fighter” aspira però ad essere qualcosa di più, e di diverso.

Onorando con onestà tutta nordirlandese le sue radici tra rock e blues, McBride regala un prodotto pieno di cuore ed emozione (“Don’t Dare”), nel quale l’oggetto della ricerca artistica sono soprattutto i sentimenti (“Don’t Let Me Go”), le relazioni e le difficoltà che vi girano intorno (“Trouble”). Esaltato da una performance che convince senza riserve anche dal punto di vista vocale, grazie ad bilanciamento perfetto tra coinvolgimento e pulizia dell’esecuzione (“Show Me How To Love”), questo disco ha il pregio di sapere parlare ad un pubblico ampio e trasversale, appassionato di chitarre elettriche (“King Of The Hill” è tutta per voi), affascinato dal blues, predisposto a quel romanticismo quotidiano che in Europa sappiamo raccontare così bene perché tra noi e Hollywood c’è un’abbondante porzione di mare che increspa il sogno. E’ proprio la sua natura con i piedi saldamente ancorati a terra – come si conviene ad una band in asciutta configurazione power-trio – che fa di “The Fighter” un disco che alterna in modo così piacevole una dolcezza rustica, un paio di note funky (“Kingdom”) ed un rock più immediato e diretto, combinando il tutto con una agilità ed una freschezza da outsider che davvero rappresentano il valore aggiunto di questo lavoro. Rispetto ad un buon album solista di Jon Bon Jovi, ad esempio, McBride combina un corredo musicalmente più tecnico con un approccio più local e grezzo (“100 Days”), meno pomposo e forse per questo destinato ad impressionare di meno… ma durare di più. Qui non c’è davvero niente di superfluo né ripetitivo, nulla che possa far pensare l’hanno fatto appostaqui sono stati un po’ ruffiani. Un disco magro, quindi, che grazie alla sua forma permette di apprezzare meglio e più in fretta la qualità del songwriting, la bravura nell’esecuzione, la totale assenza di momenti morti o riempitivi.

Nonostante i suoi tre quarti d’ora abbondanti, il disco di McBride scorre con leggerezza regalando piccoli affreschi, trame rock convincenti (“Back To You” è una delle migliori del lotto) e spunti genuinamente poetici senza appesantire i colori, senza ingigantire il racconto e senza che il confronto con quelli che vendono di più ne rovini la natura così immediata e cristallina (“The Fighter”). Se è pur vero che, come spesso accade ai dischi d’atmosfera, all’interno di questo album è difficile individuare una o due tracce di irresistibile presa, il fatto che la loro successione sia così fluida ed efficace nel raccontarci l’artista – ed avvicinarci per un numero infinito di volte alla sua sensibilità – è un risultato di spessore, che fa di questo disco qualcosa di diverso e piacevolmente inaspettato. Blues, hard e classic rock si fondono in un misto trascinante e pieno di energia (“The Stealer”), grazie ad una formula che potrebbe essere riprodotta con lo stesso contagioso entusiasmo in una grande arena così come nel pub sotto casa, davanti ad una birra con gli amici. “The Fighter” sceglie di puntare sull’essenza mettendo a nudo la sua natura, ed in questo piccolo / grande atto di coraggio ci sono il suo senso più profondo, il suo carattere orgoglioso e la sua vita fatta di incontri, strada, note. I suoi amori sotto ai cielo grigio di Belfast non saranno quelli descritti nei blockbuster e la sua eleganza non sarà quella delle star siliconate dei reality, ma lasciamo che per una volta sia la mancanza di tutto questo rumore a guidare i nostri ascolti, e dare valore al nostro tempo.

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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