Due anni orsono avevamo recensito in termini piuttosto lusinghieri il primo album dei Seventh Crystal ed è quindi naturale che l’approccio a questo secondo lavoro degli svedesi avvenga con una buona predisposizione d’animo. Autrice di un “rock melodico per il ventunesimo secolo”, lodato dalla critica specialmente nella sua versione più arrembante e croccante, la band svedese è stata assemblata dal cantante Kristian Fyhr (Perpetual Etude) che, abbandonata l’idea di un progetto che inizialmente doveva essere solo solista, ha in realtà preferito coinvolgere Johan Älvsång (Pinstripe Conspiracy, Lamashtu) alle tastiere, Olof Gadd (Osukaru) al basso, Anton Roos alla batteria ed Emil Dornerus alla chitarra. Rafforzata ulteriormente la formazione con l’ingresso del secondo chitarrista Gustav Linde, i nostri appaiono dunque nella loro forma migliore e più compiuta per regalarci – direttamente da Göteborg – un degno successore ed un nuovo episodio all’insegna di quell’arena rock con influenze melodiche che H.E.A.T. e One Desire hanno in qualche modo contribuito a canonizzare. Già a partire dalla title-track, posta all’inizio degli ascolti come si faceva una volta, si intuisce come i Seventh Crystal, consapevoli della credibilità guadagnata, si siano concentrati innanzitutto sulla conferma della formula vincente.
Senza perdersi né disperdersi in ritornelli eccessivamente piacioni, né cedere alla tentazione della ballad fatta con lo stampo (“In The Mirror” si pone fortunatamente un passo più sopra), il loro rock melodico solletica per la forma leggera e sbarazzina, che riesce ad esaltare ogni aspetto del curato songwriting. Grazie ad una vibrante combinazione di suoni elettronici, solidi riff di chitarra (“Higher Ground”) e ritmi sempre su di giri, “Wonderland” non molla mai la sua presa civilizzata, allo stesso tempo forte e gentile: se anche hai raramente l’impressione che questo disco contenga il capolavoro, o la canzone che scalerà le classifiche rivelandoli al grande pubblico, rimani tuttavia attratto dalla sua pulizia formale – tipica scandinava – e da quel gusto che al grande nord riescono ad infondere anche alle espressioni più pop (“Some Day”). E per quanto la formula del successo rimanga giustamente segreta, è indubbio che in questo impeccabile insieme si sentano gli effetti degli orizzonti sconfinati e marini, del freddo che purifica e di una insopprimibile voglia di calore e umanità, nonostante il buio che avvolge per ore, giorni, mesi. In questo equilibrio così straordinario e terreno, nel quale coesistono senza apparenti contrasti la voce pulita ma espressiva di Fyhr (“Million Times”), un drumming sempre bello pieno ed alcuni parti di pianoforte sognanti ed eteree, perdersi è scusabile e naturale, godendo di un ascolto che si può definire facile senza imbarazzi (“Next Generation”) ma che non rinuncia alla sua anima tosta ed a qualche testo/situazione interessante (“My Own Way”).
Con “Wonderland” i Seventh Crystal si confermano degni interpreti di un rock melodico che magari non potrà contare su un’eccezionale longevità, ma indubbiamente gratifica ed appaga nel momento in cui viene riprodotto e consumato. Un rock di sintesi che, proprio a causa della sua filiforme natura, nemmeno si presta bene alle analisi troppo unte e dettagliate, tipiche delle recensioni noiose e troppo lunghe: perché quando c’è troppo da spiegare, in fondo, potrebbe anche significare che c’è qualcosa che non va. Piuttosto che rappresentare una svolta non necessaria, questo secondo lavoro consolida e rifinisce ulteriormente quanto di buono già fatto due anni fa, costruendo quella continuità che potrà portare, quella sì, a compiere passi anche più sorprendenti e coraggiosi in futuro. Nella fluidità con la quale queste dieci tracce scorrono ci sono al tempo stesso il suo limite ed il suo pregio più grande: quello che è un disco leggero e bello come altri se esaminato nel Grande Schema delle Cose, diventa in realtà un ascolto quasi obbligato se per un attimo si abbraccia la sua dimensione minima, e ci si ferma ad assaporarne l’attimo.