Se il buongiorno si vede dal mattino, pare che le band in questo periodo dell’anno siano particolarmente affascinate dal concetto dell’urlo: che si tratti di un’espressione liberatoria, di rabbia o di ribellione, dai polacchi Scream Maker autori di Bloodking agli svedesi Screamer, che oggi presentano “Kingmaker”, la fascinazione per re e quadri di Edvard Munch si direbbe avere contagiato un po’ tutta l’Europa. Attiva dal 2009 nella città di Ljungby e già autrice di quattro album registrati in studio, la formazione fronteggiata da Andreas Wikström si è contraddistinta negli anni anche per l’intensa attività dal vivo, che ha visto i cinque esibirsi centinaia di volte ed anche nel corso di grandi eventi come l’Headbangers Open Air, il Rock Hard Open Air, il Summer Breeze, il Bang Your Head ed il Muskelrock. A differenza dell’approccio più aggressivo e moderno abbracciato dagli Scream Maker, il metal degli Screamer ammicca all’heavy delle origini ed alle sue radici anni settanta, che si avvertono anche nelle scelte produttive. “Kingmaker” suona infatti piacevolmente rotondo e fibroso, quasi analogico, e sono le melodie delle parti vocali a svettare sul resto: talmente evidente è la rilevanza della componente melodica, che questo disco potrebbe trovare una collocazione ancora più felice in ambito hard’n’heavy, perché il suo stile adulto e ripetitivo spinge senza esagerare e riposa volentieri – quando possibile – sugli allori di un buon ritornello (come nel caso della title track).
La scelta stilistica relativamente morbida operata del quintetto gestito dal suo batterista Henrik Petersson (autore di una bella prova in “Sounds Of The Night”) non appare comunque rinunciataria, né comunica un qualche contraddittorio ripensamento: al contrario, questo heavy classico e così mieloso, basato su riff relativamente semplici (“Rise Above”) ed a tratti di sintesi perfino pop (“The Traveler”), scorre fluidamente e si lascia ascoltare molto volentieri, soprattutto in un periodo nel quale un poco di disimpegno non suona a conti fatti come un’opzione da buttare via. Episodi come “Chasing The Rainbow” e “Burn It Down” comunicano in forma moderatamente pimpante e gioiosa, certo senza esagerare, ma mantenendosi in uno stato che non scivola mai nel pacchiano, né tantomeno nell’irrimediabile inutile. Nelle strutture semplici di queste canzoni, innamorate dei loro cori e del loro incidere solenne che a volte ricorda una versione meno pretenziosa dei Manowar (“Ashes And Fire”), c’è al contrario una leggerezza ipnotica che finisce col destare una qualche forma di simpatia proprio per la volontà di non ferire, di non stancare, di non monopolizzare un ascoltatore che – durante l’ascolto degli Screamer – può dedicarsi anche ad altro, sicuro di non perdersi niente di trascendentale. Se infatti c’è una cosa che manca qui, questi sono i dettagli: pur volendo analizzare i singoli brani con orecchio analitico, risulta difficile trovare un gancio creativo al quale appendere un momento di particolare attenzione. L’ascolto procede per inerzia, grazie ad una serie di luoghi comuni – come le parti rallentate che preludono a cavalcate più veloci – che la band di Wikström ha comunque il merito di assemblare con un minimo di buon gusto sufficiente ad assicurare che l’album sia ascoltato nella sua sopportabile interezza.
Nonostante a “Kingmaker” manchino sia un’esecuzione spumeggiante e sia quel guizzo scandinavo che a volte alimenta a dismisura le aspettative degli amanti di tutto quanto proviene dal freddo nord, il disco conferma lo stato di salute di una band tranquilla, che ha deciso di aggiungere un ulteriore tassello alla propria produzione evitando scossoni, dettagli e rivoluzioni. Se da un lato l’heavy di questo disco suona in tutto e per tutto derivativo (“Hellfire”), e raramente raggiunge punte di apprezzabile personalità, il nuovo lavoro degli Screamer assolve dignitosamente alla sua funzione, che non è certo quella di passare alla storia come una pietra miliare del genere. I suoi trentanove minuti raccontano invece di un prodotto confezionato con un mix decente di cura ed onestà perfetto per accompagnare il Medioman dei nostri tempi (“Fall Of A Common Man” suona anonima esattamente come il suo titolo suggerisce), il cui valore aggiunto sta più nella capacità di evitare il disastro e non rovinare un’esperienza di ascolto basata tutto sommato sul poco, che non nel renderla davvero memorabile.

Etichetta: SPV / Steamhammer Anno: 2023 Tracklist: 01. Kingmaker 02. Rise Above 03. The Traveler 04. Hellfire 05. Chasing The Rainbow 06. Ashes And Fire 07. Burn It Down 08. Fall Of A Common Man 09. Sounds Of The Night 10. Renegade Sito Web: facebook.com/wearescreamer |