Paul Sabu – Recensione: Banshee

Marco Sabiu è un pianista, direttore d’orchestra, arrangiatore e compositore forlivese “direttore dell’orchestra del Festival sul quale ha fatto soffiare una ventata di rock. E’ infatti sua l’idea di introdurre gli artisti in gara con stacchi musicali che vanno dai Muse ai Led Zeppelin, tanto per fare alcuni esempi”. Autore tra le altre cose dell’album “Charlemagne”, un’opera symphonic metal cantata, narrata e recitata dal leggendario attore britannico Christopher Lee, penso che mi piacerebbe vederlo più spesso dalle nostre parti, e chissà che un domani non possa instaurare una collaborazione con qualcuna delle etichette al momento più attive in ambito rock. Sabiu, meglio chiarirlo subito, non c’entra assolutamente nulla con Paul Sabu, che è invece una figura leggendaria in ambito AOR: cantante, chitarrista e produttore, Sabu ha debuttato a metà degli anni ottanta per una sub-label della mitica Motown Records e da allora è stato tutto un susseguirsi di progetti personali (Only Child, Sabu) e collaborazioni (David Bowie, Alice Cooper, Little Caesar, Sheena Easton, Glass Tiger, Lee Aaron, Little America, Madonna, Malice, Motels, Robbie Neville, Silent Rage, The Nelsons, Shania Twain) che gli hanno valso quattordici dischi di platino, undici d’oro e – come riporta Frontiers – un meritato posto nella storia del rock. “Banshee” rappresenta dunque il ritorno di Sabu nelle vesti di artista impegnato in prima persona, a distanza di “Between The Light” pubblicato nell’ormai lontano 1998: per i fan dell’artista americano si tratta allora di una ghiotta occasione per ascoltare undici nuovi brani, che lo stesso Sabu ha composto e suonato con la sola collaborazione di Barry Sparks.

Pur trattandosi di un disco realizzato da due sole persone, che a distanza di venticinque anni ci si poteva forse aspettare qualcosina di più, l’impatto di “Banshee” è importante, aggettivo oggi abusato probabilmente per la sua capacità di dire tutto e niente, ma con ricercata eleganza. Importante significa in questo caso che l’iniziale “Blinded Me” aspira certamente a fare presa, potendo contare sull’interpretazione sanguigna dello stesso Sabu, cori possenti ed una certa orchestrazione che le fa, metaforicamente parlando, gonfiare i muscoli. Un’impostazione così convinta, soprattutto da parte del cantante, stride però con un disco che, nonostante gli anni di attesa, appare da subito realizzato un po’ al risparmio: i suoi elementi sono infatti più assemblati che affiatati, la sezione ritmica offre poco più che un accompagnamento e la performance costantemente sopra le righe del musicista figlio di due famosi attori (“Skin To Skin”) finisce con lo stridere in modo netto con la modestia dei mezzi impiegati. Dal punto di vista artistico, “Banshee” offre in realtà una scaletta fatta di buona intensità (“Rock The House“), ritornelli quasi scaraventati verso l’ascoltatore per l’aggressività con la quale sono interpretati (come quello della title-track) e momenti caratterizzati da una buona dose di atmosfera e, volendo soprassedere sulla veste un po’ cheap, persino gusto (“Turn The Radio On”).

La persistente sensazione di sbilanciamento tra compassate ritmiche blues (“Dirty Money”), tastiere dai suoni pop (“Kandi”, singolo che possiede anche uno tra i peggiori assoli di chitarra ascoltati di recente) ed il furore sguaiato espresso dalla voce (“Back Side Of Water” sarebbe stata più convincente se suonata dai Motorhead e cantata da Lemmy, a questo punto), porta a descrivere un disco che delude per la sua natura intrinseca e, soprattutto, per l’attesa che un silenzio così prolungato potrebbe (il condizionale è d’obbligo) avere generato. La qualità dei brani fa ben poco, dal canto suo, per risollevare sorti che appaiono già segnate in partenza: sulle motivazioni che dovrebbero spingere all’ascolto di “Love Don’t Shatter” o “Rock” si potrebbe discutere, alla ricerca di risposte che presumibilmente richiederebbero una buona dose di estro e creatività. Più inspiegabile che brutto, “Banshee” è un prodotto che avrebbe forse beneficiato di un’impronta più raccolta, di una maggiore attenzione al dettaglio, di una ricerca più meditata del suo senso e del suo più autentico perché. Provando a fare il passo più lungo della gamba, Sabu fallisce invece in modo eclatante e spettacolare, offrendo cinquanta minuti di musica sguaiata ed inconsistente che non rende giustizia né alla sua storia, né alla pazienza con la quale alcuni lo avranno atteso. Che non sia il caso, smaltita la delusione, di prendere l’elenco telefonico di Forlì e chiamare il nostro Sabiu.

Etichetta: Frontiers Music

Anno: 2022

Tracklist: 01. Blinded Me 02. Banshee 03. Kandi 04. Love Don’t Shatter 05. Back Side Of Water 06. Skin To Skin 07. Rock 08. Turn The Radio On 09. Dirty Money 10. Midnight Road To Madness 11. Rock The House
Sito Web: facebook.com/aorsabu

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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