Recensione: Roy Philip Nohl

Quarto disco in 10 anni per i modern thrasher Arcadia capitanati dal mai domo Demetrio Scopelliti. In questo lasso di tempo la band ha aggiornato il proprio stile, distanziandosi sempre più dall’industrial metal di “Synth” per arrivare con questo nuovo album a consolidare una sintesi tra diverse sfaccettature che comprendono groove-metal e violenza core, ma anche le melodie stranianti dal gusto definibile alternative/prog e mallcore. Il disco ha buone chance di piacere a chi segue il metal dalle tinte più moderne, soprattutto grazie ad una buona varietà di fondo e ad una comunque ben salva immediatezza di molti parti melodiche e riff. I brani migliori a nostro avviso sono quelli oscuri e “malati”, che si distanziano dagli standard dal ritornello facile, come ad esempio “New Skin”, “Vampire” e “Because Of You”, ma di certo l’impatto di song come “I Sold Drugs…” o “Red Roses And Vermin” troverà i suoi estimatori. Un buon disco, sicuramente pensato da una band con la giusta maturità per dire ancora qualcosa di concreto in un genere che appare, nel suo complesso, in deciso declino.

Riccardo Manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

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