Ci sono essenzialmente due modi per interpretare il ruolo di leggenda vivente della musica: riproporre le canzoni che ti hanno condotto nel mito, oppure provare a reinventarsi, arrivando addirittura a ripudiare un passato divenuto vincolo. Robert Plant, da molti anni ormai, ha scelto una terza via, che sfrutta il suo status per dare accesso al pubblico a sonorità distanti o a canzoni dimenticate che pure hanno contribuito a comporre la sua essenza di artista. Il progetto Saving Grace rientra a pieno titolo in questa casistica: assieme a Suzi Dian, Oli Jefferson, Tony Kelsey e Matt Worley, Plant ripesca i brani che hanno segnato la sua infanzia e adolescenza, quando l’hard rock non era ancora all’orizzonte, li mescola ad altri di musicisti contemporanei che hanno accompaganto la sua traiettoria musicale più recente, nel cuore degli USA e della musica bluegrass, spruzza un paio di pezzi dal proprio repertorio solista e poi dei Led Zeppelin, raggiungendo vette di emotività con una versione stravolta di “The Rain Song”.
Il magico intrecciarsi delle voci del cantante britannico e di Suzi Dian, oltre ad arrangiamenti costruiti su mandolino, chitarre acustiche, banjo, slide e fisarmonica, conferiscono al concerto un’aura onirica, che ci porta nelle “misty mountains” più volte scherzosamente evocate da Plant nei gustosi intermezzi fra un brano e l’altro, in cui non manca di sottolineare la differenza fra i 10 gradi delle montagne gallesi, da cui la band porta la sua musica, e il caldo umido dell’Arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro.
Il connubio fra l’atmosfera che permea le canzoni in scaletta e i gustosi aneddoti in cui Plant racconta i motivi alla base della scelta dei singoli pezzi trasformano il concerto in un emozionante viaggio attraverso una ricca scelta di brani della tradizione popolare (l’apertura è affidata a “Gospel Plow”, la chiusura a “Gallows Pole” e “And We Bid You Goodnight”, quest’ultima da pelle d’oca nella sua versione cantata a cappella da tutta laband), i primi ascolti degli anni ’50, le influenze della scena di San Francisco degli anni ’60 (invece dei più noti Jefferson Airplane e The Grateful Dead, Plant decide di omaggiare i Moby Grape e “It’s a Beautiful Day Today”, con un’interpretazione toccante che è uno dei picchi emotivi del concerto), ovviamente Led Zeppelin, ma pure pezzi successivi come “Everybody’s Song” dei Low o “Angel Dance” dei Los Lobos, che chiude la scaletta “regolare” prima dei bis.
E così la serata si trasforma in un’esperienza, in generosa occasione per gettare lo sguardo nell’anima di un artista unico. E leggendario.
