Recensione: Carry Fire

Se, giunto al termine della sua esperienza con i Led Zeppelin, Robert Plant avesse deciso di portare avanti il discorso drammaticamente interrotto con la sua band, nessuno avrebbe potuto imputargli niente. In fondo, i capolavori degli Zeppelin sono stati forgiati anche da lui e le sue performance dal vivo hanno fatto scuola a tutti i frontman negli anni successivi.

Eppure, lo spirito irrequieto di questo sessantanovenne non è nato per restare sempre uguale a se stesso, e nel corso dei decenni ha partorito una decina di album in cui dar libero sfogo alla ricerca, alla sperimentazione, alle influenze più disparate. Il tutto, ovviamente, riletto con la consueta classe e intelligenza.

In questo freddo autunno esce il nuovo disco solista – undicesimo per la precisione – di Robert Plant intitolato “Carry Fire”. Ad accompagnare il cantante britannico troviamo nuovamente i Sensational Space Shifters, sempre più partecipi di questo progetto e non semplici session men. Il loro apporto strumentale, infatti, permette di conferire un caleidoscopio di sfumature, umori e sensazioni che spaziano dal Folk al Blues, dall’elettronica alle atmosfere etniche nordafricane.

A dispetto delle precedenti prove, però, dobbiamo registrare una malinconia di fondo che lega le singole composizioni, malinconia evidenziata dai colori caldi e dallo sguardo riflessivo di Robert sulla copertina. Come se, giunto a questo punto della carriera, il cantante si abbandoni a soluzioni intimiste, sussurrate, come nella toccante ballata “A Way With Words” o nella splendida “Season’s Song”.

Non mancano momenti più solari e vivaci, dalla roboante “New World…” al crescendo di “Dance With You Tonight”, senza trascurare la più ruffiana e rockeggiante “Bones Of Saints”. Tocca all’openerThe May Queen”, “Carving Up The World Again…A Wall And Not a Fence” e la title track farsi carico delle influenze tribali, tra ritmiche africane e percussioni in grande spolvero; mentre “Keep It Hid”, la conclusiva “Heaven Sent” inglobano al loro interno interessanti spunti elettronici che ampliano lo spettro emozionale di questa intensa prova.

Segnaliamo in chiusura la presenza della cover del brano di Ersel Hickey, “Bluebirds Over The Mountain“, suadente ed evocativo brano impreziosito dalla presenza alla voce di Chrissie Hynde (The Pretenders). Come un viaggio in giro per il mondo, così Plant ci regala una panoramica delle diverse influenze musicali che hanno caratterizzato la produzione solista del cantante, nel suo disco più sofferto e sentito. Il coraggio di un uomo mai domo ci regala undici tracce di grande spessore, emozionanti, viscerali che, nonostante i toni malinconici da fine carriera, ci fa sperare per il prosieguo del suo viaggio.

Pasquale Gennarelli

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"L'arte per amore dell'arte". La passione che brucia dentro il suo cuore ad animare la vita di questo fumetallaro. Come un moderno Ulisse è curioso e temerario, si muove tra le varie forme di comunicazione e non sfugge al confronto. Scrive di Metal, di Fumetto, di Arte, Cinema e Videogame. Ah, è inutile che la cerchiate, la Kryptonite non ha alcun effetto su di lui.

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