I Rival Sons sono indubbiamente tra le poche band “giovani” ad avercela fatta. Forti di un primo periodo hard rock più crudo e un pubblico a maggioranza metal (ricordiamo che escono tuttora per Earache), la band ha progressivamente ammorbidito il suo approccio sia in studio che live. L’ultimo “Great Western Valkyrie” ne è stata la dimostrazione. Songwriting di altissima qualità, ma un approccio sicuramente più “easy” e se vogliamo anche più Pop, termine comunque da prendere con le pinze.
Quella di Milano ai Magazzini Generali è l’unica data italiana del tour europeo a supporto dell’ultimo fortunato album. Purtroppo l’orario proibitivo ci permette di vedere solo gli ultimi due brani dei Jameson, one man band in apertura.
Alle 20:30 spaccate la band sale sul palco preceduta da un’estratto di Ennio Morricone. Da subito notiamo due cose:
1 – i Rival Sons si sono infighettati e hipsterizzati parecchio;
2 – è presente anche un barbuto tastierista.
Si apre con “You Want To”, il pubblico è carichissimo e seguirà la band attivamente anche durante i pezzi più recenti. La band comunque è in forma. Jay Buchanan al microfono è sempre ipnotico, sia nelle movenze sia nella voce, con una prestazione veramente notevole, a parere di chi scrive superiore rispetto alle date indoor di “Head Down”. Inutile scomodare nomi eccellenti, qui abbiamo un vocalist (e un performer) di razza. Co-protagonista è ovviamente è Scott Holiday, forse un po’ meno in vista rispetto al passato, complice un complessivo ammorbidimento dei brani; non a caso troviamo le già citate tastiere sul palco. Mike Miley alla batteria è come sempre il più divertito (e forse quello che se ne fotte anche di più) mentre David Baste al basso fa il suo lavoro senza grandi picchi.
Sono numerosi gli estratti dal nuovo album, 8 se non abbiamo contato male, divisi in due tranche, più un pezzo “Open My Eyes” inserito nei bis. Sicuramente i brani si riconfermano di qualità anche live, ma doppiamente notiamo un approccio sonoro differente rispetto al passato: può piacere o meno, sicuramente c’è qualità, ma chi se li ricordava ruvidi e zeppeliniani ormai deve rassegnarsi.
Come detto due tranche composte da “Electric Man” (bellissima dal vivo) / “Good Luck” / “Secret” / “Good Things” e da “Torture” / “Rich and the Poor” (con coro intonato a gran voce dal pubblico) / “Where I’ve Been” (da brividi). In mezzo troviamo “Manifest Destiny Pt.1”, tra i brani migliori scritti dalla band, emozionante e torbida. “Get What’s Coming” chiude il set ufficiale. C’è tempo per 4 brani con l’immancabile “Jordan” e la conclusiva “Keep On Swinging”. Le luci si accendono e la band ci saluta.
Abbiamo assistito a un concerto di altissima qualità, grazie anche a volumi e suoni finalmente adeguati. L’unica considerazione che ci viene da fare è se la band non si stia “costruendo” troppo, perdendo la spontaneità e la genuinità mantenuta fino a “Head Down”. Certamente la voglia di raccogliere un pubblico più ampio è comprensibile. Il tempo decreterà la sorte della band che, al momento, vive tra due mondi, con un prima e un poi che dal vivo si sono avvertiti nettamente in modo distinto.
Anyway… I keep my head down but I keep on swingin’!
Testo di Tommaso Dainese
Foto di Mairo Cinquetti