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Ringarë – Recensione: Thrall of Winter’s Majesty

I Ringarë ritornano con Thrall of Winter’s Majesty, un album di quattro brani che sono accomunati più dalle sensazioni che sanno di freddo, solitudine e desolazione che da una vera a propria direzione musicale.

Scritte originariamente all’inizio del 2004, queste prime registrazioni sono state portate alla luce e finalizzare nel 2019 per concludere la visione e gli intenti originali con una formazione completa, questo giustifica una sorta di anomalia evolutiva rispetto al precedente Under Pale Moon; infatti nella presentazione si dice dell’album che “non è una rappresentazione del futuro dei RINGARË, ma è […] riflesso di tempi ormai lontani”.

Il disco fa convivere due anime ben distinte alternandole.

I due pezzi Black, “Witness to Winter’s Lament” e “Thrall of Winter’s Majesty”, sono canzoni di ottima fattura: la musica è fluida e coinvolgente, e richiama i primi Dimmu Borgir e soprattutto i Summoning.

I sintetizzatori sono una parte focale dei pezzi ma sono talmente ben integrati da poter essere sopportati anche dagli integralisti del genere. Se l’album fosse stato tutto basato su questo stile staremmo parlando di capolavoro.

Purtroppo le canzoni Black Metal sono solo metà della storia; “O’er Winters Shroud” e “A Paean for Endless Snow” sono pezzi ambient strumentali altrettanto lunghi, che non riescono a mantenere il confronto con le tracce “pesanti”. Fossero stati più brevi e meno centrali al progetto, sarebbero stati apprezzabili come intermezzi ma in questo modo purtroppo sono troppo invasivi e lunghi.

Quindi, se da un parte possiamo parlare di due piccoli gioielli di Black Metal il giudizio generale dell’album non può essere completamente positivo, in più essendo pezzi decisamente datati andrebbero valutati con l’ orecchio di più di quindici anni fa.

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