Dopo aver debuttato sotto i migliori auspici ormai più di dieci anni fa, i Revocation hanno finito per fossilizzarsi sulle proprie posizioni, guadagnandosi album dopo album la fama di band dalla tecnica elevata, ma dalla personalità latitante, che stenta sempre a compiere il grande balzo. Fama confermata dal loro settimo disco in carriera “The Outer Ones”, in cui troviamo un gruppo sicuramente in grande spolvero esecutivo, ma ancora più stanco del solito per quanto riguarda la creatività e che fatica ormai a uscire dai confini del puro manierismo.
I pezzi presentati, grazie alla già citata perizia dell’ensemble, avrebbero anche un bel tiro, ma a causa della poca varietà che li contraddistingue risultano presto monotoni. Non bastano insomma un singolo/opener schiacciasassi come “Of Unworldly Origin”, i buoni spunti della massiccia “That Which Consumes All Things” o la poderosa title track a consegnarci un platter dal valore garantito: la tensione cala presto per colpa dei numerosi momenti di stanca e l’architettura globale dell’opera ci consegna un album al quale, al massimo, possiamo attribuire una risicata sufficienza.
Come già abbiamo avuto occasione di scrivere in passato, nessuno mette in dubbio la preparazione e le potenzialità dei Revocation, ma dopo dodici anni sulle scene e una quantità di release in doppia cifra tra full-length, EP e singoli è lecito aspettarsi qualcosa di più da loro. Con “The Outer Ones” la qualità compositiva della band di Boston ha ormai raggiunto il livello di guardia: se non ci sarà presto una svolta, il gruppo pare purtroppo destinato a trascorrere una vita nelle retrovie.