– Recensione: The Devil’s Candy

Si intitola “The Devil’s Candy” la seconda prova del registra australiano Sean Byrne, salito alla ribalta nel 2009 con “The Loved Ones”. Se vi state chiedendo il perché della recensione di un film horror su una webzine come Metallus.it, l’arcano è presto svelato: la pellicola – portata in Italia da Midnight Factory a distanza di due anni dalla sua uscita – presenta al suo interno diversi evidenti richiami al mondo della musica Metal. Dei veri e propri classici di band quali Metallica o Slayer accompagnano le vicende di Jesse Hellman (interpretato dall’attore Ethan Embry) e della sua famiglia mentre la colonna sonora è affidata a un’altra nostra vecchia conoscenza, i drone doom metal statunitensi Sunn O))).

Ma procediamo per gradi e partiamo col dare uno sguardo al trailer di “The Devil’s Candy”.


Jesse, dicevamo, è un grande appassionato di musica metal, un pittore professionista e, soprattutto, un marito amorevole – sposato con la bella Astrid (Shiri Appleby) – e padre premuroso, che ha cresciuto sua figlia Zooey (Kiara Glasco) con i riff di James Hetfield, Max Cavalera  e Kerry King. Come da tradizione del genere, la felice famiglia Hellman (omen nomen) si trasferisce a vivere in una villa dall’oscuro e misterioso passato in cui aleggia una presenza demoniaca che si manifesta con un mellifluo sussurro nelle orecchie di Jesse. Dopo anni trascorsi a frustrare la propria indole limitandosi a realizzare lavori su commissione, adesso Jesse può assecondare la sua passione lasciando emergere la sua poetica e potenza della sua anima nera e travagliata. Il cambio di stile è evidente e lascia sbigottito tanto il nostro pittore quanto la stessa Astrid.


La presenza del male, però, si palesa non solo attraverso queste mezze frasi nella testa di Jesse ma anche anche attraverso la figura di Ray (interpretato da Pruitt Taylor Vince), figlio della coppia che precedentemente abitava la casa infestata. In passato Ray è stato ammaliato dalla voce di Lucifero e, nel tentativo di zittirla, era solito suonare la sua Gibson Flying V rossa. Nonostante i buoni propositi, nessuno riesce a resistere al richiamo del male e il corpulento Ray inizia ad assecondare le richieste del suo “padrone”. Ha inizio, a questo punto, una vicenda carica di tensione e paura, sensazioni che accompagnano gli sviluppi drammatici di questa avvincente epopea in chiave metal.


Sebbene venga presentato come un horror, “The Devil’s Candy” non mette in mostra violenza bruta e spesso gratuita ma preferisce affidare al “non detto” il compito di inchiodare lo spettatore allo schermo e tenerlo in un costante stato di apprensione per ciò che di lì a poco avverrà. Le scene – sempre cariche di enorme tensione e rese in musica in maniera splendida dai Sunn O))) – si concentrano tanto sui protagonisti, approfondendone così la psicologia, quanto su situazioni adrenaliche, in un’alternanza di grande impatto emotivo. Vengono sfruttate, dunque, le potenzialità di questo patto faustiano in cui il lento quanto inesorabile spegnersi dell’umanità del protagonista coincide con la sua affermazione professionale. Jesse potrebbe rinunciare a tutto questo, distruggere la tela che, avvenimento dopo avvenimento, diventa sempre più nefasta e divora l’anima di chi la dipinge. Eppure non lo fa, non riesce a sbarazzarsi del male preferendo abbracciarlo e, sovente, perdersi dentro.


E il Metal, vi chiederete voi? Iniziamo col fugare ogni dubbio: fortunatamente ci viene evitato il cliché della musica estrema  strettamente collegata al satanismo. Come già successo per “Deathgasm” (film del 2015 scritto e diretto da Jason Lei Howden), l’Hard & Heavy influenza la caratterizzazione dei protagonisti – Jesse e Zooey – e l’estetica degli stessi. Turbamento, inquietudine, preoccupazioni invadano il quotidiano e trovano la loro valvola di sfogo tra le note di “For Whom The Bell Tolls” o “Angel Of Death”, stupenda colonna sonora che accompagna le fasi salienti della pellicola.


Ma “The Devil’s Candy” colpisce anche per la fisicità con la quale coinvolge lo spettatore. Ogni aspetto tangibile della pellicola – dai corpi alla tela su cui dipinge Jesse – conferisce profondità e tridimensionalità alla pellicola, rendendo il tutto vivo grazie anche alla fotografia di Simon Chapman. La cura maniacale con la quale Byrne lavora ai singoli particolari dei tatuaggi del pittore esalta i vibranti momenti in cui l’artista è intento a creare opere dal forte impatto visivo ed emotivo. In questo la scelta di Ethan Embry risulta vincente: l’energia iconoclasta di un Iggy Pop più nerboruto incontra il fascino magnetico di frontman alla Mikael Stanne (Dark Tranquillity). Questa è la chiave con la quale il film risulta vincente: il montaggio che non punta sulla frenesia tensiva ma che preferisce giocare con le associazioni visive. Scene spesso banali e già viste che rivivono in maniera originale grazie alla sapiente visione di Byrne, come il montaggio alternato con il quale il regista sovrappone l’omicidio di Ray con il gesto artistico di Ray. Sia l’arte che il delitto sono guidati dal divaolo, sia l’arte che il delitto sono legati dal colore rosso.


L’intelligente lavoro di sottrazione e la buona gestione dei personaggi riescono in parte a mitigare l’estrema banalità e linearità della trama. In particolare, “The Devil’s Candy” evidenza un vistoso calo nella parte conclusiva, complice un finale poco convincente su cui si poteva lavorare diversamente. Alcune scelte operate da Byrne, infatti, scadono nel già visto, andando a inficiare un film che trova nella sua natura e nell’interpretazione dei singoli attori il punto di forza.

Pasquale Gennarelli

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"L'arte per amore dell'arte". La passione che brucia dentro il suo cuore ad animare la vita di questo fumetallaro. Come un moderno Ulisse è curioso e temerario, si muove tra le varie forme di comunicazione e non sfugge al confronto. Scrive di Metal, di Fumetto, di Arte, Cinema e Videogame. Ah, è inutile che la cerchiate, la Kryptonite non ha alcun effetto su di lui.

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