Recensione: Lamma Sabactani

Con più di quindici anni di onorata carriera alle spalle i Necroart sono tra i veterani della scena metal underground italiana, ma a differenza di molti altri non si sono mai accontentati di vivacchiare provando ad imitare pedissequamente le band più conosciute, cercando al contrario di costruirsi una propria visione della materia musicale.

Lamma Sabactani” arriva a compimento attraverso un processo di maturazione che rende giustizia alle buone intuizioni del gruppo e permette di ascoltare il giusto mix tra il riffing compatto e aggressivo che in qualche modo appare mutuato dalla scena classica (stiamo parlando di anni ottanta/primi novanta) e quel lavoro di rifinitura melodica avanguardista e dark che ha caratterizzato le ultime uscite della band.

Se prendete ad esempio un brano come “Magma Flows” avrete un’idea piuttosto precisa di come la descrizione appena fatta si concretizzi: il brano nasce e sviluppo attraverso un crescendo ipnotico che origina dall’essenza stessa della musica oscura (black sabbath + psichedelia), ma è proprio in quello spazio che si crea nella distanza stilistica tra questa influenza primaria e il metal estremo che la band costruisce l’unicità della propria interpretazione. Da applausi.

Altro brano più che azzeccato è “Agnus Dei”: incipit carico di atmosfera e di mistero, riffing diretto e dall’incedere possente, e un coro semplice ed efficace come l’uovo di colombo.

Il bello di questo disco è però che la band non si fossilizza su uno schema ben riuscito cercando di riprodurlo all’infinito, ma che ogni song prova di occupare un luogo dell’immaginazione e di suscitare emozioni diverse. Prendete ad esempio brani come “Redemption” e”Joining The Maelstrom”, in cui emerge con forza la fascinazione per il lato più gotico e rock oriented, tanto da far nascere punti di contatto con band storiche come Sisters Of Mercy e certi Death SS.

A far piacere è soprattutto come il gruppo non si fermi alla ripetzione di certi schemi imparati da vecchi ascolti, ma li elabori comunque alla luce di un’esperienza artistica personale, come ad esempio nella affascinante ed avvolgente “Stabat Mater” o nella più cruda ed orrorifica “Of Ghouls, Maggots And Werewolves”.

Quello che purtroppo non torna, e che ci obbliga a stare al di sotto di quanto vorremmo nella valutazione complessiva, è il lavoro svolto in fase di missaggio e masterizzazione. Manca il giusto equilibrio tra gli elementi, con un suono di batteria spesso troppo sommesso (per non dire assente), e con una resa d’insieme che rimane troppo carente di spinta e pienezza d’ambiente (il che danneggia anche l’atmosfera dei brani più dark e tranquilli). Il risultato è quello deprecabile di far perdere potenzialità espressiva a brani davvero ottimi. Vi invitiamo quindi ad andare ad ascoltare la band dal vivo, situazione in cui potrete apprezzare le qualità reali di una formazione che in un paese normale avrebbe sicuramente ottenuto ben maggiore considerazione.

Riccardo Manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

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