Dopo 6 anni Page Hamilton e soci tornano a scrivere un capitolo nella storia degli Helmet con il nuovo disco “Dead To The World”. Ed è un disco importante per via della mutazione definitiva del sound della band di New York. Una band che sembra aver quasi lasciato da parte il suono battagliero, per uno più posato e – per così dire – meditato.
Ci sono canzoni che sembrano raccontare un Page Hamilton diverso, come per esempio l’opener “Life Or Death” oppure la bizzarra “Green Shirt”. Quest’ultima una vera e propria filastrocca che si rincorre circolare fino a perdersi dentro sé stessa. Gli Helmet rimangono però sempre la stessa band che anni fa riuscì a mescolare heavy metal, rock e rumore forgiando “qualcosa” di accattivante anche se oggi hanno scelto una strada diversa e meno “rumorosa”. Nei testi di Hamilton si legge la disillusione, la rabbia e la disperazione di un’America che oggi non ritrova più il bandolo della matassa. “I Love My Guru” è una gran canzone, percussiva e con Hamilton affilato nel testo e nell’interpretazione.
Qualche scoria dei “vecchi” Helmet nel riff di “Bad News” e nella oppressiva “Red Scare”, che con il suo groove si candida a miglior canzone del disco. Notevole anche la title track che parte con un giro di basso e che si poggia su un ritornello davvero potente. “Die Alone” è invece una scheggia impazzita, che si poggia su di un riff circolare di Hamilton, che va dritta al collo dell’ascoltatore.
Oggi, a fine 2016, gli Helmet rimangono però una band totalmente indipendente, fiera della propria musica e della strada percorsa. Non sono e non saranno mai più gli Helmet di – almeno – un decennio fa. Qualcosa è sicuramente cambiato nell’attitudine dei nostri. Sicuramente non la voglia di scrivere belle canzoni.