We Came As Romans – Recensione: Darkbloom

I We Came As Romans, dopo cinque lunghissimi anni, sono fuori con “Darkbloom” per Sharptone Records. Tempo di attesa più che giustificato, chiaramente, dalla scomparsa di Kyle Pavone nel 2018, storica voce pulita della formazione del Michigan. L’impatto fu devastante, sentito nel cuore di migliaia di fan, ma soprattutto degli altri membri della band. “Darkbloom”, a modo suo, rappresenta un po’ un’elegia. 


Ed è proprio con la ferocissima title-track che si apre il disco. La canzone ha il sottotono di ‘rinascere dai tempi bui’, ed è il modo perfetto per aprire il progetto. Non solo per il contenuto lirico, ma anche per la scarica di adrenalina mista a nostalgia che invoca nell’ascoltatore. La produzione è cristallina, se non un filo troppo distorta e compressa, e l’esecuzione disarmante. È chiaro sin da subito come il gruppo non abbia perso lo smalto, fiondandosi subito su un altro peso massimo: “Plagued”. Segue “Black Hole”, che vede come guest Caleb Shomo di scuola Beartooth. Feat molto meno canonico quello con Zero 9:36 che rappa sul bridge di “Daggers”, uno dei miei pezzi preferiti dell’album. È qui che la band rallenta un po’ con “Golden” e “One More Day”. Il primo è un’ode al passato a livello sonoro, un viaggio indietro nello screamo dei primi anni 2010, mentre la seconda è una vera e propria powerballad strappalacrime. Entrambi i pezzi condividono liriche sul ricordo di Kyle, più o meno esplicite. Ed entrambe fanno molto male da ascoltare. “Doublespeak” riporta il focus sulla cattiveria, con un sample che ha qualcosa di davvero familiare, ad inizio traccia. Segue un’altra ballata distorta che riporta alla mente pezzi come “Hope” e simili: “The Anchor”. “Holding The Embers” e “Promise You” chiudono la fila su un disco incredibilmente nostalgico ma tristemente attuale. Entrambi i pezzi sono melodrammatici come da aspettative, sia a livello di genere che a livello di eventi passati dagli artisti.


Tutto sommato, “Darkbloom” non inventa nulla di nuovo, ma non pretende neanche di farlo. I WCAR sono una delle poche band che è riuscita a portare il sound post-hardcore dei tempi di myspace nella nuova era senza snaturarlo neanche un filo. Lavoro non scontato e di cui c’era dannatamente bisogno. Il disco va contro la tendenza di evolvere il proprio sound a tutti i costi che ha macchiato, spesso in senso positivo, la scena metalcore negli ultimi anni. Per questo, è un ascolto stra consigliato agli amanti del genere. Dave Stephens, ormai voce anche pulita del gruppo, ha donato una performance canore eccellente ad un progetto in cui non spiccano guitar work o magie alla batteria, ma vince il mix di tutte le sue parti. Anche se David Puckett, dietro alle pelli, ha fatto il suo lavoro alla grande. Ho avuto la fortuna di vedere la band live un paio di volte quando Kyle era ancora in vita e, conoscendo l’entusiasmo del ragazzo, questo sarebbe sicuramente un disco appezzatissimo anche da parte sua.
PS. beccateli dal vivo se riuscite, live rendono davvero molto!

Etichetta: Sharptone Records

Anno: 2022

Tracklist: 01. Darkbloom 02. Plagued 03. Black Hole 04. Daggers 05. Golden 06. One More Day 07. Doublespeak 08. The Anchor 09. Holding The Embers 10. Promise You
Sito Web: https://iamdarkbloom.com

Matteo Pastori

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Nerd ventiquattrenne appassionato di tutto ciò che è horror, bassista a tempo perso e cresciuto a pane e Metallica. La musica non ha mai avuto etichette per me, questo fa si che possa ancora sorprendermi di disco in disco.

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