Queen: tutta la discografia degli anni ’70 commentata

La lunga gestazione, le polemiche, l’uscita e un successo di pubblico probabilmente ogni oltre previsione: questo e molto altro è “Bohemian Rhapsody“, film che è valso a Rami Malek anche l’Oscar come miglior attore protagonista. I Queen sono tornati di moda, quindi, o forse lo sono sempre stati: una band che come poche altre ha saputo viaggiare su coordinate stilistiche diverse di album in album, quasi sempre in maniera convincente. La notorietà e il carisma di Freddie Mercury, nel film come nella realtà, hanno spesso offuscato sia le altre individualità e il loro peso specifico all’interno della band sia il valore prettamente musicale di canzoni e album-capolavoro, vere e proprie pietre miliari che ancora oggi resistono come punti di riferimento per generi e sottogeneri, oltre che più ovviamente nell’immaginario collettivo. Chi non li ama, comunque di si sicuro li conosce e magari li apprezza segretamente per quel lato kitsch che ne ha sempre contraddistinto la carriera. Qualcuno magari potrà pure chiedersi cosa c’entrino i Queen su Metallus: questo speciale nasce soprattutto per loro, per dare occasione di scoprire o riscoprire la discografia della band negli anni Settanta, quella cioè in cui le sonorità maggiormente pescavano da hard rock e dintorni. Perché il collegamento con The Darkness o Def Leppard è lampante, mentre l’ammirazione di Dream Theater, Metallica o Guns’N’Roses magari è un po’ meno noto ma pur sempre indicativo di quanto abbiano significato e continuino a significare i Queen (Giovanni Barbo).

QUEEN

“Keep Yourself Alive” apre l’album di debutto dei Queen e la loro carriera. Si tratta anche del primo singolo, e mette subito in luce le doti di una band unica nel saper creare armonie vocali immediate, supportate dalle sonorità anch’esse uniche provenienti dalla chitarra di Brian May, una Red Special costruita assieme a suo padre. Nonostante ciò non ebbe il successo commerciale sperato, così come non lo ebbe neppure un album in cui ci sono comunque diversi episodi degni di nota, dalla teatrale “Liar” alle dolci e suadenti “Doing Alright” e “The Night Comes Down”, ai cambiamenti di tempi ed atmosfere di “My Fairy King” fino all’accenno di quella“Seven Seas Of Rhye” che troverà pieno compimento nel lavoro successivo. “Queen” è un album in cui già si nota la curiosità della band, ma in cui i Queen sono qua e là ancora un po’ acerbi e meno focalizzati che in seguito, liberi di sperimentare ma ancora pesantemente influenzati dal progressive rock e quindi ancora all’inizio della personalizzazione della loro proposta musicale, qui però già più che abbozzata (Giovanni Barbo).

QUEEN II

Dopo un debut album ancora privo di quella che sarà la cifra stilistica della band, i Queen tornano sul mercato con “Queen II”, album che presenta – sebbene ancora in fase embrionale – tutte le peculiarità che hanno reso unico il gruppo britannico. Per la loro prova sulla lunga distanza, Freddie MercuryBrian MayJohn Deacon e Roger Taylor decidono di giocare con contrasti cromatici che vanno a influenzare tanto i testi quanto la musica: la ricercatezza nell’imbastire la tracklist – divisa in “White Side” e “Black Side” – fa sì che umori tra loro opposti si intreccino in una prova che meriterebbe ben altra considerazione nella discografia dei Queen. Il rock di “Father to Son” viene smossa dalla frenesia di “Ogre Battle”, così come la delicatezza di “White Queen” oscurata dall’epica “The March of the Black Queen”. Quest’ultimo brano – come tutti quelli firmati da Mercury – sono contraddistinti da quella pomposità operistica e teatralità che, esaltate dalla fantastica voce del cantante, rappresenteranno quel quid in grado di elevare le produzioni del gruppo. Prima del grande successo, “Queen II” ci presenta una band in rampa di lancio, consapevole delle proprie potenzialità e pronta a irrompere sulla scena con il suo coinvolgente spettacolo. (Pasquale Gennarelli)

SHEER HEART ATTACK

Lavoro fondamentale nell’ottica dell’evoluzione e della piena maturazione dello stile del quartetto londinese, “Sheer Heart Attack”, terzo album dei Queen, è il primo successo commerciale della formazione britannica (due dischi d’oro e quattro di platino). Pubblicato a soli 7 mesi di distanza dal precedente Queen II, il full length riesce a trasformare in energia creativa il periodo difficile che precede e accompagna la realizzazione dello stesso (l’epatite virale e un’ulcera allo stomaco non diagnosticata che affliggono Brian May e il cancellamento degli show previsti negli States), dando vita a un lavoro di grande fattura. La componente progressive, maggiormente presente nei prime due album, appare meno evidente e la release si muove tra hard rock, pop rock, art rock, glam rock e psichedelia, in un caleidoscopio sonoro precursore di quello stile che raggiungerà la massima espressione in “Night At The Opera” e “A Day At The Races”. È difficile trovare un filler o un pezzo sottotono (forse la non eccezionale “Dear Friends”), così come è difficile citare solo qualche brano rappresentativo a discapito di altri. L’opener “Brighton Rock”, è un sontuoso brano hard rock, caratterizzato da un’istrionica performance di Freddie Mercury e un’ottima parte strumentale, di grande impatto, in cui emerge l’estro di May. “Brighton Rock” diventerà uno dei tanti capisaldi dei live show dei Queen. “Killer Queen”, firmata da Mercury, primo singolo estratto dal disco, non solo è una grande hit di successo, ma convoglia il carisma vocale, la personalità irriverente e salace di Freddie. In questo pezzo la musicalità del frontman si fonde alla perfezione con i cori, gli arrangiamenti e il pregevole assolo di May, diventando uno dei primi emblemi della vincente formula “Queen”.Il medley successivo si muove tra hard rock blues ruvido (“Tenement Funster“), melodie oscure e arabeggianti (“Flick of the Wrist“) e una ballad al pianoforte che danza con inserti strumentali sinfonici evocativi e magniloquenti (“Lily of the Valley“). “Now I’m Here”, secondo singolo del disco, è stato scritto da May durante il suo ricovero in ospedale; si tratta di un altro brano rock d’impatto, perfetto per i live show. Eppure, con “Stone Cold Crazy”, la band riesce a spingersi oltre. Il pezzo, inizialmente composto da Freddie nel 1970, quando militava ancora nei Wreckage, viene ripreso in occasione della registrazione del presente album e riarrangiato da tutti i componenti del gruppo: il risultato è una traccia energica, tirata, di grande potenza, dalla ritmica e dal riff che anticipano lo speed/thrash. Il brano, considerato thrash metal prima ancora che nascesse il genere, è stato spesso suonato dal vivo dai Queen durante i primi anni di carriera ed è stato coverizzato dai Metallica, che l’hanno inserito come lato B del singolo Enter Sandman e in seguito nella raccolta Garage Inc. Hetfield e soci hanno inoltre suonato il brano dal vivo durante il Freddie Mercury Tribute nel 1992. L’art rock domina “In the Lap of the Gods”, brano dai toni melodrammatici e dark, a cui i giri pianistici, i falsetti di Taylor e i vocalizzati di Freddie conferiscono un’atmosfera straniante. “Bring Back That Leroy Brown” è un altro gioiellino dei Queen; atmosfere da cabaret emergono in un pezzo gustosissimo che mixa boogie-woogie, rock’n’roll, swing, blues e country. “In the Lap of the Gods…Revisited” modifica radicalmente il pezzo omonimo, trasformandolo in un inno da stadio trascinante, che verrà proposto dal vivo durante tutta la decade ’70 come pezzo di chiusura. “Sheer Heart Attack”, pur nei suoi 40 minuti scarsi, è un album fluido, variegato, sfaccettato, che non ci si stanca mai di ascoltare. Un lavoro che mette in mostra l’enorme potenziale creativo/compositivo dei Queen. (Carmelo Sturniolo)

A NIGHT AT THE OPERA

Raccontare “A Night At The Opera” dopo la sbornia cinematografica di “Bohemian Rhapsody” non è certo cosa semplice. Un film che ha raccontato una storia, la genesi (a volte un pochino romanzata) di una delle opere fondamentali nella discografia della band. Non è mio/nostro interesse discutere della coerenza storica o veridicità della narrazione, perché qui ed ora il mio/nostro compito è quello di raccontare i Queen attraverso la loro musica. “A Night At The Opera” è un disco trionfante, azzardato, rischioso e fortunatissimo. Ma al tempo stesso è un lavoro che ha messo in evidenza le tante anime dei Queen. La violenta “Death On Two Legs (Dedicated To…) dal testo tagliente che costò un sacco di soldi a Mercury & Co. , la delirante e brevissima “Lazing On A Sunday Afternoon” che richiama le atmosfere anni ’30 o la spaventosa “The Prophet’s Song” che minaccia l’ascoltatore (ed i terrestri) al grido “And death alla round will be your dorwy / Listen to the Madman!”. Ma il disco va citato anche per gli esperimenti di “Seaside Rendezvous” con un fraseggio in stile tip tap registrato battendo dei ditali sopra un asse per lavare i panni, la stori sci-fi di “’39”, dove Einstein emerge prepotente così come la preparazione scientifica dell’Uomo con la Red Special (Brian May, Astronomo, Anyone? Nda.) diventa storia dolorosa tra morte e “necessità di evoluzione” personale. “A Night At The Opera” è stato il disco del “do or die” dei Queen, del salto verso il trionfo, dove i tanti azzardi pagarono piegando il pubblico ai loro piedi. 6 studi di registrazione differenti, costoso (per i tempi) oltre ogni limite e decisivo per le sorti dei nostri. Per i più distratti questo è anche (si fa per dire… nda.) il disco di “Love Of My Life” ed una certa “Bohemian Rhapsody”. Epocale. (Saverio Spadavecchia)

A DAY AT THE RACES

In meno di un anno dal precedente (Dicembre 1975  “A Night…” , Novembre 1976 “A Day At…”), i Queen passano al quinto disco senza perdere lucidità compositiva. Spostano ancora più avanti il limite dell’eccesso, l’equilibrio raggiunto con “A Night At The Opera” diventa certezza tra i solchi di questa giornata alle corse. Nelle 10 canzoni contenute nel vinile c’è molto di più rispetto alle “obbligatorie” “Tie Your Mother Down” e “Somebody To Love”, perché ancora una volta la passione per l’astronomia di May permea i testi di “Long Away” (“For Every Star in Heaven” / “There’s a Sad Soul Here Today”) riscalda l’ascoltatore. C’è poi l’intensa e disperata “You Take My Breath Away”, canzone dell’amor perduto, scritta da un Mercury in stato di grazia che sfiora i tasti del pianoforte fino alle lacrime. Dolore che accarezza la pelle, che implora di non piangere ma stritola il cuore e che rende impotenti. “I will find you / Anywhere you go / Right until the ends of the Earth / I’ll get no sleep, till I find you to / To Tell you when I’ve found you – I love you” . Capolavoro del disco “The Millionaire Waltz”, che sembra una autobiografia in musica di Mercury. Kitsch, colorata, eccessiva e dai mille umori cangianti. Una canzone che racconta anche dell’amore di Freddie per “L’Angelo Azzurro” di Marlene Dietrich tra sfuriate rock ed un mood valzer che scuote la canzone dalla prima all’ultima nota. In un momento dove il punk stava per trasformarsi da “next big thinga sdoganato terremoto creativo, dove tutto era nichilismo e scontro con il sistema, avere la faccia tosta di scrivere e pubblicare una canzone del genere rappresentava una sfida al cielo. Vinta. Nel disco c’è anche una stupenda curiosità: tra i versi cantanti di “Teo Torriate (Let Us Cling Together) anche uno in giapponese, ispirato a May dal tour nella terra dei ciliegi pochi mesi prima, e che avvolge l’ascoltatore tra armonizzazioni e sorpresa. Per gli scellerati che lo considerano “minore”, pentitevi e riprendete tra le vostre mani il vinile di un capolavoro.  (Saverio Spadavecchia)

NEWS OF THE WORLD

Era difficile, davvero difficile ripetersi dopo due capolavori come “A Night At The Opera” e “A Day At The Races”. Eppure, quando parte il ritmo di “We Will Rock You” si entra in un’altra delle pagine di storia della musica scritte dalla band. “News Of The World” comincia con quelli che sono due tra i pezzi più noti dei Queen, che hanno travalicato i confini della musica per caratterizzare altri ambiti della vita: “We Are The Champions” è diventato un inno sporivio, entrambi sono pezzi che fanno parte dell’immaginario collettivo ed hanno trainato il successo commerciale dell’album. Ma sarebbe riduttivo parlare di “News Of The World” limitandosi a queste due hit. Siamo di fronte ad un lavoro solo all’apparenza meno variegato e più spiccatamente pop dei due che lo hanno preceduto: si tratta, infatti, di un’altra opera semplicemente sensazionale che mette in mostra la straordinaria ecletticità dei Queen. Innumerevoli i momenti importanti, dalla melodrammatica “Spread Your Wings” scritta da John Deacon alle cangianti atmosfere di “It’s Late”. Squisite le divagazioni sul tema della sincopata “Who Needs You” con le sue contaminazioni latine, della delicata “All Dead, All Dead” interpretata da Brian May e dell’aggressiva “Fight From The Inside” in cui emerge l’anima rock di Roger Taylor. Splendido il calore jazz della chiusura affidata a piano e voce di Freddy Mercury in “My Melancholy Blues” (Giovanni Barbo).

JAZZ

“Jazz” fu l’ultimo album della prima decade dei Queen ed ennesimo crogiuolo di stili per il quartetto londinese; un album che contiene pezzi ormai appartenenti alla cultura musicale globale ma che non è quasi mai citato a fianco degli album monstre della discografia degli inglesi (leggermente osteggiato dalla critica dell’epoca ma comunque gran successo commerciale) e soprattutto un lavoro che aveva il non facile compito di bissare il successo planetario di “News Of The World”.

Dall’arabeggiante “Mustapha” che non lesina inserti di chitarra ancora dichiaratamente hard rock a cori ormai trademark di Brian May e Co. alle arcinote “Fat Bottomed Girls” e “Bicycle Race” che sembrano dei pezzi dei Beatles scritti 10 anni dopo. “Jealousy” è la tipica ballad composta daMercury a enfatizzare la sua maestria in questo campo (May ebbe modo di dire in un’intervista che Freddie era conscio di non avere grande tecnica pianistica ma ne lodava il feeling); a tal proposito anche “Let Me Entertain You” è uno dei più famosi showcase della bravura del camaleontico cantante. Da citare infine “Fun It” con Roger Taylor alla voce che è una sorta di prova generale per quello che saranno “Radio Gaga” “Another One Bites The Dust” mentre “Don’t Stop Me Now” è il capolavoro dell’album nonché una delle composizioni migliori dell’intero songbook deiQueen(Alberto Capettini)

LIVE KILLERS

E’ una produzione straordinariamente heavy per l’epoca quella che caratterizza “Live Killers”, doppio album dal vivo della Regina e non a caso magnifico epitaffio dei suoi anni duri. Fotografia di un lungo tour che impegnò la band per quasi tutto il 1979 (no, nessuna tappa italiana), questo doppio live diventa indelebile nel cuore dei fans come una sorta di greatest hits dal vivo, che ripercorre gli episodi più noti degli anni’70. L’impressione è quella di essere lontani dalle perfezioni dello studio, si respira un’atmosfera reale e una band che suona e intrattiene il pubblico divertendolo e soprattutto divertendosi, nonostante il successo ormai planetario. Freddie è un istrione senza pari e qui si sente tutta la potenza della sua estensione. Si parte in quarta con una versione heavy metal di “We Will Rock You” e poi “Let Me Entertain You”, con cui i Queen si presentano ufficialmente ai fans. I successi ci sono quasi tutti, con l’aggiunta di qualche “rare” che rende il disco ancora più appetitoso, vedasi “’39” che Brian May affida all’ugola di Freddie Mercury o la psichedelia hard di “Get Down Make Love”. Non mancano naturalmente “pezzoni” spacca classifiche come “Killer Queen” e “Bohemian Rhapsody”, sapientemente posta a metà del secondo disco a guisa di falso finale. Le note di “We Are The Champions”, seguite da “God Save The Queen”, danno l’addio a ciò che è stato e il benvenuto a ciò che sarà, chiudendo gli anni ’70 nel modo migliore per gli inglesi (Andrea Sacchi).

giovanni.barbo

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Appassionato di cinema americano indipendente e narrativa americana postmoderna, tra un film dei fratelli Coen e un libro di D.F.Wallace ama perdersi nelle melodie zuccherose di AOR, pomp rock, WestCoast e dintorni. Con qualche gustosa divagazione.

alberto.capettini

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Fan di rock pesante non esattamente di primo pelo, segue la scena sotto mentite spoglie (in realtà è un supereroe del sales department) dal lontano 1987; la quotidianità familiare e l’enogastronomia lo distraggono dalla sua dedizione quasi maniacale alla materia metal (dall’AOR al death). È uno dei “vecchi zii” della redazione ma l’entusiasmo rimane assolutamente immutato.

Pasquale Gennarelli

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"L'arte per amore dell'arte". La passione che brucia dentro il suo cuore ad animare la vita di questo fumetallaro. Come un moderno Ulisse è curioso e temerario, si muove tra le varie forme di comunicazione e non sfugge al confronto. Scrive di Metal, di Fumetto, di Arte, Cinema e Videogame. Ah, è inutile che la cerchiate, la Kryptonite non ha alcun effetto su di lui.

Saverio Spadavecchia

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Capellone pentito (dicono tutti così) e giornalista in perenne bilico tra bilanci dissestati, musicisti megalomani e ruck da pulire con una certa urgenza. Nei ritagli di tempo “untore” black-metal @ Radio Sverso. Fanatico del 3-4-3 e vincitore di 27 Champions League con la Maceratese, Dovahkiin certificato e temibile pirata insieme a Guybrush Threepwood. Lode e gloria all’Ipnorospo.

andrea.sacchi

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Poser di professione, è in realtà un darkettone che nel tempo libero ascolta black metal, doom e gothic, i generi che recensisce su Metallus. Non essendo molto trve, adora ballare la new wave e andare al mare. Ha un debole per la piadina crudo e squacquerone, è rimasto fermo ai 16-bit e preferisce di gran lunga il vinile al digitale.

2 Comments Unisciti alla conversazione →


  1. Giovanni Dal Mas

    Premessa: i pareri che seguono sono quanto di più personale esista al mondo. Sono solo i miei gusti.
    E inizio dicendo che sono d’accordo con questo approfondimento almeno fino a “A Night at the Opera”.

    Suona male se dico che A Day at the Races è un album discretamente inutile? Cioè: è ricalcato con carta carbone sul predecessore (e va bene, in effetti l’idea originale di Brian May era di far uscire un doppio disco comprensivo di entrambi i lavori), ma col difetto che ogni tanto perdono il senso della misura e cadono su alcune pomposità un po’ fini a se stesse. E intendo dire che “The Millionaire Waltz” secondo me è una discreta caduta di stile, con perdita del senso della misura. Ma intendo pure dire che White Man (pezzo da stadio fine a se stesso) e Teo Toriatte (pezzo zuccheroso da sparare in faccia ai fans e da cantare tutti assieme sventolando gli accendini) non aggiungono quasi nulla alla loro carriera.
    Ovviamente ciò non sminuisce di una virgola il fascino di altri brani presenti nel disco (Somebody to Love , Good Old-Fashioned Lover Boy e You Take My Breath Away), ma nel complesso lo trovo un lavoro sopravvalutato.
    News of the World a sua volta mi è sempre sembrato un discutibile disco auto-celebrativo le cui sonorità, se paragonate a quanto circolava al tempo, risultano essere quasi obsolete (per capirci: il 1977 è l’anno in cui venivano pubblicati dischi come “Talking Heads: 77”, “-Marquee Moon”e “The Clash”).
    Jazz è un disco fatto con tutti i crismi del caso, attento a rispettare il formato canzone “alla Queen”. E funziona. Funziona benissimo fino a che non ti accorgi che l’effetto sorpresa è andato già da qualche disco e che non stanno creando nulla di nuovo ma solo speculando sulla loro stessa immagine.

    Così, per esprimere un parere.

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  2. Giovanni

    Bell’articolo, anche se non mi trovo d’accordo su tutto. Ne scrissi uno anche io, diversi anni fa. http://www.giventorock.com/2013/02/la-discografia-semiseria-queen_11.html

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