Siamo purtroppo convinti che poche persone, che si accingeranno alla lettura di questa recensione, conoscano i PreHistoric Animals, entità svedese partita come duo (il fondatore Stefan Altzar a voce, chitarra e tastiere ed il batterista Samuel Granath) con la realizzazione dell’interessante “Consider It A Work Of Art” e ora band più strutturata che ci propone addirittura un concept album a titolo “The Magical Mystery Machine (Chapter One)”. L’elemento di spicco inserito nella nuova incarnazione del gruppo è quel Daniel Magdic che avevamo tanto apprezzato come chitarrista e autore su “Entropia” dei Pain Of Salvation e che qui aiuta Altzar dando un apporto di peso alla buona riuscita dell’album.
La protagonista della storia è Cora, una ragazza alla quale viene consegnata una scatola misteriosa dentro la quale potrà salvare quanto di buono è presente nel mondo morente, per poterlo ricreare altrove in futuro. Il biglietto da visita musicale invece è il singolo “Floodgate” (già in rete da qualche mese) ed ottimo teaser per l’album: un prog rock dal taglio alternative è quello che ci presentano i PreHistoric Animals, con un ritornello quasi da hard rock americano mentre la struttura del pezzo è più ricercata… un po’ alla maniera dei danesi VOLA. Certamente un biglietto da visita di ottima fattura.
La title track ha una costruzione più canonicamente prog rock/metal, ma la delicata voce del leader e il crescendo del refrain trasformano la canzone bella perfetta fotografia dei PreHistoric Animals 2020; la progressione finale ci conduce all’attacco groovy di “No Mortal Girl Has Ever Seen The Light Inside” altro pezzo senza appigli per critiche negative. In “What A Luckt Day!” un andamento irregolare viene esaltato dalla prova vocale forse più convincente dell’album, con le tastiere protagoniste di un pezzo space rock dalla batteria pulsante e tecnica di Granath a legare la trama in modo impenetrabile; Magdic alla seconda chitarra ha portato sicuramente più nerbo alle composizioni degli svedesi nonché una carica emotiva nelle parti soliste che forse deficitava nel debut.
Una certa ispirazione di scuola Queen si percepisce lungo tutto l’album compresa l’interessante e cangiante “Into Battle (Like My Father)” tra pop rock e muscolarità metal per un album autoprodotto che al momento ci risulta reperibile solo tramite la band ma che ci auguriamo possa fruttare ai PreHistoric Animals un buon contratto con qualche label specializzata perchè ne avrebbero pieno merito vista la qualità sopra la media dimostrata nell’arco di solo due album.