Porcupine Tree – Recensione: In Absentia

“In Absentia” segnò una svolta decisiva nel mondo compositivo di Steven Wilson e dei suoi Porcupine Tree ai quali diede vita inizialmente come progetto solista dedito a psychedelic e space rock per poi farli evolvere in band vera e propria in concomitanza con la pubblicazione di “Signify” del 1996.

L’ingresso del batterista extraordinaire e ricercato session man Gavin Harrison (oggi nei King Crimson) diede una spinta propulsiva in più al progressive psichedelico sempre più “hard” dei nostri anche se una gran fetta di fan della prima ora continuavano a rimpiangere Chris Maitland; inoltre il lavoro di produttore di Wilson e soprattutto il legame artistico che legò l’inglese all’esplosione su vasta scala degli Opeth in occasione di “Blackwater Park” generò una specie di osmosi per la quale il genietto di Hemel Hempstead assorbì e ripropose nella propria musica il lato heavy degli svedesi mentre quest’ultimi diluirono il loro death metal con aperture melodico/acustiche sempre più presenti.

Detto ciò non si spiegherebbe altrimenti l’attacco di “Blackest Eyes”, un pezzo riuscitissimo che alterna momenti soft ad un riff energico ed un maestoso impianto ritmico; “Trains” è diventato un classico della band spesso presente in chiusura di concerto ed è basata su una semplice sequenza di accordi ed una linea vocale che buona parte dei progressive rocker vorrebbero concepire. Lo stesso dicasi di “The Sound Of Muzak”, semplicemente uno dei pezzi più belli dell’intero repertorio Porcupine Tree (e forse anche della decade scorsa), uno dei ritornelli più ficcanti del songbook di Wilson aiutato dalle backing vocals di Aviv Geffen e John Wesley.

Dopo una “Gravity Eyelids” con reminiscenze della prima fase degli inglesi scivoliamo nella strumentale “Wedding Nails” che presenta un’alternanza di riffing metal è una parte centrale più aperta con una gran prova di Harrison al drumkit; l’ambient di “.3” prima dell’apertura acustica è un qualcosa che Wilson riprenderà nella sua florida e attuale carriera solista anche se la riuscita del pezzo è dovuta alla classe di Richard Barbieri che ha sempre messo il cuore davanti alla tecnica nelle sue partiture di synth.

“The Creator Has A Mastertape” ha una base drum n’ bass a cui la band va dietro in maniera molto naturale; portentoso il riff aperto alla Killing Joke post chorus mentre è esattamente agli antipodi “Heartattack In A Lay-by”, un lento struggente alla Anathema, forse ancor più pregno d’inestricabile malinconia.

L’orchestrazione di “Collapse The Light Into Earth” è magica ed è antesignana di un pezzo splendido che troveremo su “Fear Of A Blank Planet” intitolato “Sentimental” e, se escludiamo il bonus disc dell’edizione europea del 2003 che conteneva due pezzi in più (“Drown With Me” e “Chloroform”), va a chiudere un album pressoché inattaccabile, forse l’apice di una produzione che si è comunque mantenuta su livelli altissimi per molti anni e che ha contribuito alla riscoperta della tradizione del progressive rock e alla diffusione del progressive metal, senza sposarne in toto fattezze e credo.

porcupine_tree - in_absentia

Etichetta: Lava Records

Anno: 2002

Tracklist: 01. Blackest Eyes 02. Trains 03. Lips Of Ashes 04. The Sound Of Muzak 05. Gravity Eyelids 06. Wedding Nails 07. Prodigal 08. .3 09. The Creator Has A Mastertape 10. Heartattack In A Lay-by 11. Strip The Soul 12. Collapse The Light Into Earth
Sito Web: https://www.facebook.com/PorcupineTreeOfficial

alberto.capettini

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Fan di rock pesante non esattamente di primo pelo, segue la scena sotto mentite spoglie (in realtà è un supereroe del sales department) dal lontano 1987; la quotidianità familiare e l’enogastronomia lo distraggono dalla sua dedizione quasi maniacale alla materia metal (dall’AOR al death). È uno dei “vecchi zii” della redazione ma l’entusiasmo rimane assolutamente immutato.

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