Mr. Big: “Live From The Living Room” – Intervista a Paul Gilbert

Il calore acustico di “Live From The Living Room” dei Mr. Big trova eco nelle parole del figliol prodigo Paul Gilbert. Il chitarrista, tornato nella band per l’eccellente “What If…”, ci racconta qualcosa di come è avvenuta la reunion e di cosa significa, per lui, suonare nei Mr. Big.

“What If” è il vostro primo album dalla reunion della line-up originale e penso sia anche uno dei migliori che abbiate fatto, insieme a “Lean Into It”. Come siete tornati insieme? È stato facile ritrovare la giusta alchimia?

“Sono d’accordo, “What If” è un grande album. Era la prima volta che lavoravamo con Kevin Shirley, che ci ha ispirato ad essere concentrati e a trasferire nelle registrazioni un sacco dell’energia che abbiamo dal vivo. E ci tenevamo davvero a fare un buon comeback album, visto che è passato così tanto tempo dal nostro ultimo. Siamo tornati insieme un membro alla volta! Prima Billy ed io abbiamo suonato assieme in un progetto con Mike Portnoy: un po’ di concerti in cui facevamo un tribute agli Who. Poi Pat che suonava con Richie Kotzen come band di apertura per uno dei miei concerti solisti ad Hollywood. In quell’occasione Billy era venuto a vedere il concerto ed abbiamo finito per jammare tutti assieme. Alla fine abbiamo chiamato Eric, che non vedeva l’ora di ripartire. E così ci siamo trovati nel reunion tour del 2009. L’alchimia è indistruttibile: se noi quattro siamo assieme, avremo sempre il sound dei Mr. Big.

Un paio d’anni fa, poco dopo l’uscita di “Live In Budokan”, ho visto Eric Martin suonare in un piccolo pub. Sembrava che la cosa più importante fosse il semplice fatto di suonare, indipendentemente da dove e per quante persone. Ti capita di rimpiangere l’epoca in cui eravate davvero famosi?

Quando ripenso alla musica che ho fatto….penso soprattutto alla musica in sé. A dire il vero, i miei gusti musicali stanno cambiando così tanto ultimamente che non ascolto più le mie vecchie cose. Penso sempre a ciò su cui sto lavorando adesso. Continuo ad imparare così tante cose sulla chitarra: è un viaggio senza fine.

“Live From The Living Room” ha una dimensione molto intima ed è un grande esempio di abilità tecnica mista a passione. Come riuscite a tenere in equilibrio questi due elementi, anche con riferimento al processo compositivo?

Grazie per il complimento. Posso venir risucchiato abbastanza facilmente dall’aspetto tecnico della chitarra, perciò qualche volta devo ricordarmi di fare ROCK. Ma quando suono dal vivo il problema non si pone, perché il pubblico mi ricorda che devo fare rock e divertirmi. I musicisti dovrebbero suonare dal vivo il più possibile: ti mette nella giusta direzione.

I pezzi su “Live From The Living Room” sono soprattutto estratti da “What If…”. E’ stato difficile riarrangiarli in veste acustica? Penso soprattutto ai pezzi più ritmati, come “Undertow” o “Nobody Left To Blame”, per citarne giusto un paio…

È andato tutto in maniera abbastanza spontanea. Penso che la cosa più difficile era comunicare con il direttore della sezione d’archi: era giapponese, quindi ero costretto ad usare un interprete, che inoltre pensava a tutto in termini di numero di battuta. Mentre io penso ad una canzone in termini di parti, come strofa o ritornello. Quindi se ad esempio dicevo “Devo cambiare una nota nella seconda strofa” lui mi rispondeva “Qual è il suo numero di battuta?” Non ne avevo idea! Non sono abituato a contare i numeri di battuta.

Siete molto bravi a scrivere ballad, ma non vi dà fastidio essere ricordati soprattutto per quelle?

Mi piace tantissimo suonare le ballad con i Mr. Big. È più facile sentire le armonie vocali. Mi piace sempre suonare “To Be With You”: sono sempre stato un fan dei Beatles e del pop anni ’60 e ’70, quindi mi diverto a suonare in quello stile con chitarra acustica ed un sacco di buone melodie.

Cosa ne pensi dell’hard rock contemporaneo? C’è qualche band che ti piace o che consideri vostra erede?

Non ho fatto molto caso alle nuove rock band: il mio udito è così rovinato dal fatto di suonare ad alto volume che non posso ascoltare rock molto spesso, a meno che non sia necessario per lavoro. Mi piacciono molto vecchi buelsmen come Big Bill Broonzy, Magic Sam, Earl Hooker e ovviamente B.B. King. E ultimamente ho ascoltato vecchi dischi jazz degli anni ’50… i musicisti sono fantastici senza dover per forza suonare ad alto volume per tutto il tempo. Ho passato anni a suonare continuamente ad alto volume, ma ho bisogno di una pausa di tanto in tanto, per non perdere completamente l’udito. Tra le novità, la mia musicista preferita è Melody Gardot, fantastica, ma decisamente non rock.

Sembra di assistere ad un revival di musica anni ’80: cosa ne pensi? È una delle ragioni per cui i Mr. Big sono di nuovo assieme?

Per quanto riguarda i Mr. Big, volevamo semplicemente tornare a suonare insieme. Non ho idea di cosa succeda alle altre band: sono troppo impegnato a suonare la chitarra e vivere la mia vita.

C’è qualcosa che ti manca o che rimpiangi di quegli anni?

Direi di no: mi sono divertito

Quali sono i vostri progetti per il futuro? Pensi ci sarà ancora spazio per le vostre carriere soliste ed altri side project?

Ho un sacco di progetti, ma dato che le voci si possono diffondere così rapidamente su internet cerco di tenere tutto segreto finché finisco una cosa e ce l’ho pronta. In sostanza, lavoro sulla musica quotidianamente e mi piace come non mai. Basta che diate un’occhiata al mio sito internet e vedrete che ti farò sapere quando c’è qualcosa di nuovo. Ecco, questo mi fa venire in mente che un annuncio lo posso fare….

Ho organizzato un camp di chitarra e musica che si chiama “The Great Guitar Escape”: durerà una settimana e sarà in luglio a New York. Se ci sarete, sarà bellissimo vedrete! Ci saranno Guthrie Govan, Tony MacAlpine, Kid Andersen, Scotty Johnson, Sam Coulson e un sacco di altri musicisti e insegnanti straordinari pronti a jammare e a mettere a disposizione le loro conoscenze musicali. Se riuscite a venire a New York, non ve ne pentirete. Date un’occhiata al sito www.greatguitarescape.com

Grazie!

giovanni.barbo

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Appassionato di cinema americano indipendente e narrativa americana postmoderna, tra un film dei fratelli Coen e un libro di D.F.Wallace ama perdersi nelle melodie zuccherose di AOR, pomp rock, WestCoast e dintorni. Con qualche gustosa divagazione.

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Paul Gilbert: Live Report della data di Bologna

I concerti dei guitar heroes hanno, tra i tanti vantaggi, quello di avere un pubblico composto, dove non troverai mai nessuno che ti spinge per andare avanti a tutti i costi o cose del genere, perché tutti sono fermamente concentrati sull’assorbire quanto più possibile la parata di meraviglie che si stanno succedendo sul palco. Quando poi l’occasione è tale, come il ritorno in Italia di Paul Gilbert, per cui non si può proprio mancare, questa casistica diventa ancora più evidente. Due ore di esibizione, pochissime parole e qualche colpo di scena si susseguono sul grande palco dell’Estragon: i maniaci delle sei corde hanno di che essere appagati.

L’occasione per cui Paul Gilbert si ripresenta da solista è la presentazione del nuovo album “Silence Followed By A Deafening Roar”, ma conoscendo la discografia dell’artista ci si rende conto che il repertorio della serata spazia molto più ad ampio raggio. Infatti, oltre a “Silence Followed By A Deafening Roar”, “Eudaimonia Overture”, “Suite Modale”, a “Bronx 1971” e a “Norwegian Cowbell”, si spazia attraverso i lavori precedenti come “Burning Organ”, datato 2002, da cui viene eseguita la title-track, e “Space Ship One”, da cui viene eseguita “Jackhammer”. Un accompagnamento semplice ma efficace, in cui figura la moglie di Gilbert alle tastiere, lascia spazio anche a un assolo di batteria, prima dell’ultima parte del concerto, veramente memorabile. Dopo un’esibizione quasi interamente strumentale, è il momento di un tuffo nel passato quando vengono eseguite “Technical Difficulties”, tratta dall’album omonimo dei Racer X e sicuramente momento più alto della carriera di Paul Gilbert sotto questo nome, e “Green Tinted – Sixty Mind”, celeberrimo brano dei Mr.Big dove per l’occasione è lo stesso Gilbert a cimentarsi dietro il microfono. Segue poi una prima cover di Jimi Hendrix, ovvero “Red House”, e un altro brano molto importante del repertorio del chitarrista di Carbondale, ovvero “Scarified”. Il coup de theatre arriva quando Paul Gilbert annuncia l’arrivo di un ospite speciale, e sul palco si presenta un altro “mostro sacro” delle sei corde, ovvero Greg Howe. Il sorridente musicista era stato protagonista di una clinic il giorno precedente presso la Music Academy di Bologna, ed evidentemente è rimasto un giorno in più per regalare una piacevolissima sorpresa al pubblico. Insieme i due musicisti duettano eseguendo “Hey Joe”, sempre di Jimi Hendrix, mentre Gilbert spiega che è semplice e divertente fare delle jam sui brani di Hendrix, dandone subito una dimostrazione pratica. Non ci si poteva aspettare una conclusione migliore per una serata del genere.

anna.minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

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