Pantera: 30 anni di “Vulgar Display Of Power”

Non so se vi rendete conto, ma sono passati 30 anni da questo capolavoro. Inutile aggiungere parole a quanto detto finora, inutile eseguire l’ennesima recensione di un album che lo conoscono pure i sordi. Abbiamo deciso quindi di trattare questo disco in maniera differente, dividendolo in 4 capitoli e lasciandoci ispirare dal momento. Buona lettura!

Capitolo 1: Pantera Before Pantera

Se siete finiti su questo sito avete sicuramente passato come minimo ore ad ascoltare i Pantera a partire da “Cowboys From Hell“. Conoscete l’importanza che la band hanno avuto nella storia del metal, perciò siete al corrente del vissuto e degli aneddoti legati ai componenti ma… quanti di voi hanno notizie dei primi album?

Eh sì, perché i Pantera hanno fatto musica anche prima del 1990, il problema è che è qualcosa di completamente diverso da quello che vi aspettereste, ed è per di più quasi dimenticata o meglio nascosta anche dalla band stessa.

Nel 1983, dopo solo due anni dalla fondazione e con già la formazione definitiva, se si esclude Terry Glaze alla voce, i Pantera danno alla luce “Metal Magic” che oltre proporre una delle copertine più brutte della storia, contiene dieci tracce di heavy metal con le forti venature hair, tipiche degli anni ottanta con ispirazioni che passano da Kiss a Judas Priest e Van Halen, neanche l’ombra del sound groove a cui saremo poi abituati.

L’album, malgrado tutti i limiti di produzione e la mancanza di personalità, è piacevole e mostra già evidente il genio di Dimebag, all’epoca solo sedicenne. Tra i pezzi più interessanti troviamo l’opener “Ride My Rocket” e “I’ll Be Alright” che mischiano, oltre alle influenze già citate, i Diamond Head con un risultato orecchiabile, “Biggest Part of Me” molto lineare ma altrettanto coinvolgente e “Widowmaker” debitrice dagli anni ottanta ma con un giro di chitarra spettacolare.

Gli altri pezzi, come detto, non sono brutti, ma nel complesso, l’album non è certo memorabile; teniamo però conto della giovane età di tutta la band quindi qualcosa possiamo perdonare.

Un particolare interessante è che i primi quattro album furono prodotti dal padre dei fratelli Abbot, noto produttore e autore di Country, ma all’esordio in ambito metal.

L’album comunque porta alla band una certa notorietà che li spinge l’anno seguente a dare alle stampe “Projects In The Jungle”, la qualità migliora e il sound diventa più duro avvicinandosi sempre di più ai Judas, con il cantante Terry Glaze che porta il timbro vocale sempre più vicino a quello di Halford; rimane comunque un gusto dell’orrido per le copertine.

Tra i pezzi con più personalità e un piglio più aggressivo c’è “Out For Blood”, uno strano mix tra Judas e Motley Crue che vi farà scuotere la testa e “Projects In the Jungle” in cui si percepiscono alcuni vagiti del Pantera sound che arriverà nel decennio successivo.

Una nota speciale va a per “Blue Light Turning Red”, chiaro omaggio ai Van Halen; per quanto riguarda gli altri pezzi, soprattutto quando il ritmo rallenta, sono troppo debitori a influenze esterne e agli anni in cui sono state scritte.

La notorietà della band aumenta e l’anno successivo esce “I Am the Night”, non ci sono grosse evoluzioni rispetto al precedente, mantenendo gli stessi pregi e difetti. Anche qui alcuni brani si distinguono come “I Am the Night” per la sua capacità di suonare attuale quasi 40 anni dopo, “Down Below” in cui si percepisce un leggero gusto thrash ma di questo parleremo di nuovo più avanti e “Come-On Eyes” che, pur debitrice agli anni 80, suona in modo irresistibile.

Altri pezzi come la conclusiva “Valahalla” sanno proprio di occasioni sprecate, tanta potenzialità ma con un risultato poco accattivante.

Ora arriviamo alla svolta che ha reso i Pantera da gruppo potenzialmente interessante a leggenda. Terry Glaze abbandona il gruppo perché reputa le sonorità troppo pesanti perciò viene sostituito da un pazzo di New Orleans che risponde al nome di Phil Anselmo.

Il cantante oltre alla sua voce, porta in dote il suo genio musicale e influenze thrash che vengono subito assimilate dagli altri membri.

Su come sia avvenuto l’incontro e il successivo ingresso ci sono diverse storie; proviamo a fare una ricostruzione, che a detta di molti è la più plausibile: il diciannovenne Phil e i Pantera giravano negli gli stessi circuiti musicali (per le distanze americane New Orleans e Dallas non sono così lontane), da una parte i texani erano una band in forte ascesa e dall’altra il cantante si stava facendo un nome.

Quindi tra i possibili sostituti venne provinato anche Anselmo, qualche giorno dopo fu richiamato per il primo live della band al completo.

E questa nuova formazione dà alla luce “Power Metal“: l’ultimo passo prima della creazione dei Pantera così come li conosciamo. Grazie alla nuova voce e alle nuove idee, l’album è decisamente più pesante dei precedenti, ma senza abbandonare del tutto l’hair metal.

Un brano sicuramente da citare è “P.S.T.88” che, a detta di molti che non mi sento di contraddire, è la prima vera canzone del Pantera sound. Qui si sentono forti le influenze thrash e i primi vagiti del groove metal. Altrettanto potente, ma decisamente più devota alle sonorità della Bay Area, è “Over and out“.

Per capire l’importanza di Anselmo ascoltate la versione di “Down Below“, vi avevo detto sarebbe tornata registrata in questo album e godetevi la differenza rispetto alla versione precedente.

Allo scoccare del nuovo decennio i Pantera incidono il loro nome nella storia del metal con “Cowboys From Hell” e lo rendono eterno con “Vulgar Display Of Power“, ma sono certo che questi album siano già parte della vostra vita, quindi lascio che sia la musica a raccontarsi da sola. (Valerio Murolo)

Capitolo 2: “Quanto avrei voluto una Dean con i fulmini a 13 anni”

Quando inizi a suonare che di anni ne hai 8/9, i tuoi obiettivi variano con l’inevitabile evolversi dei gusti musicali. Soprattutto se, come nel mio caso, nessuno in famiglia è appassionato di musica abbastanza da trasmetterti una sorta di linea guida. Sai che ti piace la musica, ma non capisci bene come, quando e perché. Quindi, come capita alla stragrande maggioranza delle persone, ad un certo punto pensi “Ok, sto perdendo interesse nello strumento, basta così”.

Ed è lì, esattamente in quel momento, che mi trovo per caso davanti ad una cover band dei Pantera. Ho capito che quello che suonavano era una figata quando mia mamma si è trovata costretta a far rincasare me ed il mio amico prima della fine del set, perché “Mi sta scoppiando la testa”.
Arrivo a casa, mi attacco al pc e faccio la conoscenza indiretta di un certo Dimebag Darrell, che in tempo zero riaccende in me tutta la voglia di suonare che stavo perdendo.

Una quindicina di anni dopo, mi ritrovo su Metallus a parlare di questa storia, da musicista e con una Dean con i fulmini piccolina appesa allo specchietto retrovisore della mia macchina. Nel bene o nel male, i Pantera mi hanno cambiato la vita. O perlomeno, mi hanno mostrato che il mio posto nel mondo era proprio questo, a discapito dei dubbi che avevo a riguardo. E non c’è disco loro che mi abbia segnato più di “Vulgar Display Of Power”. Soggettivamente non il mio preferito (con gli anni “Far Beyond Driven” si è guadagnato la vetta con la sua cattiveria tutt’ora inarrivabile), ma oggettivamente il lavoro dei quattro che ho ascoltato di più. Una rivoluzione, dove “Cowboys From Hell” aveva gettato le basi per il nuovo sound del gruppo, “Vulgar” l’ha sputato sul mondo con una rabbia contagiosa e ragionata. Tra mille pregi, mi ha sempre colpito quanto fluidamente il progetto scorre per tutti i suoi 52 e rotti minuti, senza mai annoiare, zig-zagando tra sfuriate come “Fucking Hostile” e “Rise”, e ballate come “This Love” e “Hollow”. Parte della costante freschezza dell’album è però attribuibile alla produzione eccelsa di Terry Date. Dove so per certo che molti dei miei colleghi parleranno, più che meritatamente, della grandezza di Dime e del suo suono storico, io vorrei far notare quanto una sezione ritmica della pesantezza di “Vulgar” sia al giorno d’oggi praticamente ancora intoccabile. Vinnie, dietro al kit, riesce a dare una prestazione che come scrittura, esecuzione ma soprattutto come suoni, se la gioca con la cannonata che sono le batterie del Black Album, e con davvero poco altro nella storia della musica. Ogni rullata è una scarica di manate, ogni fill sui tom è una botta che tra attacco e coda colpisce direttamente al cuore. Però, da bassista, ho sempre trovato Rex un jolly davvero non da poco. Nonostante l’arroganza del suono verrà messa ancora più in rilievo nelle uscite future a questa, la scelta di lasciargli in mano tutta la ritmica l’ho sempre apprezzata moltissimo. Riuscire a non far rimpiangere una seconda chitarra non è solo compito del chitarrista stesso, ma anche spesso e volentieri del bassista che gli fa da spalla, e questa lezione la porterò per sempre con me.

Che dire di Phil e Dime? Le due facce dei Pantera, la fortuna nonché il punto di rottura della band. Due geni, due testardi, due artisti senza paragoni. A Phil, che piaccia o meno, è attribuibile buona parte del successo dei cantanti core e non, a cui ha fatto da apripista proprio con la sua performance insana in “Vulgar Display Of Power”, mentre Dime… So che non c’è molto di oggettivo che posso aggiungere a quello che tutti già sappiamo. Però posso chiudere dicendoti due cose, dovunque tu sia:
Grazie di tutto.

Quanto cazzo avrei voluto una tua Dean con i fulmini a 13 anni. (Matteo Pastori)

Capitolo 3: “Respect, walk, what did you say?”

Sommo, eccentrico, avanguardistico e strafottente. Questa può essere sia la descrizione di “Vulgar Display of Power” che di ognuno dei componenti dei Pantera.

Quello che vorrei raccontarvi è come questo disco ha impattato nella mia crescita musicale, perché quando uscì nel febbraio 1992 io avevo solo sei mesi di vita, quindi prima di poterlo effettivamente conoscere ne è passato di tempo.

Nel tumulto adolescenziale in cui inizi a scoprire la musica che ti piace, è stato praticamente impossibile non imbattersi in quella figura leggendaria e mitologica che è (perché LO È ancora) Dimebag Darrell. Foto, video, tributi ma soprattutto sonorità celebrate da praticamente ogni band esistente sul pianeta per un personaggio che ha rivoluzionato il metal, la chitarra e l’animo di chi l’ha incontrato dal vivo.

Una cosa che non mi da pace è proprio questo, non essere mai stato almeno una cazzo di volta sotto palco per vederlo suonare. Non è colpa mia, certo, ma (nel prossimo capitolo ne parleremo ampliamente…)

Torniamo a noi e a questo disco che a distanza di 30 anni detta legge e che la detterà ancora per i prossimi 30.

Da musicista è un obbligo morale conoscere a memoria questo album, anche come bassista, è sacrosanto inginocchiarsi dinanzi a canzoni come Walk, This Love, Fucking Hostile e inseriamo pure tutta la tracklist già che ci siamo.

Vulgar Display Of Power” contiene le più classiche canzoni create dalla band, è una sorta di Greatest Hits senza esserlo. Suona così anni ’90 senza risultare vintage, immagino che Terry Date (produttore) e Howie Weinberg (mixing & mastering) stiano ancora gongolando da allora.

Una cosa che capita raramente è che premendo il tasto play sul primo brano è impossibile non finire l’ascolto dell’album per la sua interezza, e nel caso in cui dovesse capitare ti senti quasi dispiaciuto. Perché interrompere un’opera così perfetta è un’offesa che rechi prima di tutto a te stesso, e poi a tutte le persone coinvolte in questo disco.

Quando mi imbattei per la prima volta rimasi folgorato da tutti gli elementi che i Pantera misero in questa miscela letale di groove metal. Colonna sonora adatta per qualsiasi evento: alla mattina in bus per andare a scuola e darsi la carica, per rilassarsi dopo una giornata particolarmente pesante, per un lungo viaggio on the road (ricordo quando la mia ragazza mi lasciò ascoltare qualcosa dei Pantera durante la nostra vacanza lungo le coste della California. Beh lì hanno tutt’altro sapore le note di Darrell).

Questo album è così magnetico che ti fa venire una voglia inverosimile di suonare, di prendere il primo strumento a portata di mano e di replicare i loro riff sontuosi. E proprio Walk, ad esempio, era la canzone da suonare in compagnia, anche durante le prove con la mia prima band.

Senza considerare che la sua copertina penso sia la più iconica del panorama metal. Creata da Brad Guice, stesso artista di Cowboys From Hell, chiamato nuovamente dai Pantera con le idee già chiare su cosa proporre. Brad ha solo messo in pratica le sue conoscenze tecniche di fotografo per immortalare su un manichino ciò che a posteriori è unitamente riconosciuta come LA copertina metal per eccellenza, mettendo su un piatto già ricco il riconoscimento visivo che merita. È anche questo elemento che rende il tutto ancora più suggestivo e coinvolgente. Quel pugno è esattamente l’effetto che trasmette il disco ogni volta che lo si ascolta.

Pensare che oggi compie 30 anni una colonna fondamentale della musica che ascoltiamo tutti noi è qualcosa che fa venire i brividi perché non lo diresti mai. Il tempo passa veloce, incontrollato e spietato ma sembra proprio che per Vulgar Display Of Power invece questo si sia fermato per donare quell’alone di magia che pochi altri album possono vantare.

E la band stessa è il minimo comun denominatore per tutti i metallari in giro per il mondo, perché non conosco una sola persona che non ami profondamente questo album ed i Pantera in generale. Che sia per la loro attitudine, per i loro dischi che sono il pilastro centrale di qualsiasi aspirante chitarrista e anche purtroppo per il modo brusco e ingiusto con cui se ne è andato Dimebag.

Dal ’92 possiamo stilare un elenco infinito di ottimi album, di figure che hanno modellato il nostro genere ma è innegabile che Vulgar Display Of Power lo abbia fatto in modo differente, più del suo predecessore secondo me. E tutti i tributi che ne sono scaturiti negli anni successivi, con band che ascoltavo durante la mia adolescenza, hanno fatto sì che la mia devozione verso questo album diventasse una sorta di rito religioso.

Non rimane altro che augurare un buon compleanno! (Riccardo Quarantini)

Capitolo 4: “You Keep This Love”

Quasi da “intruso“, ecco qualche parola riguardo a una band che ho amato tantissimo (e continuo ad amare), i Pantera per l’appunto; un amore che ho voluto marcare indelebilmente, con due tatuaggi dedicati, il primo sul polpaccio destro (logo CFH), il secondo sulla spalla destra (ritratto di Dime, insieme a Cliff e Chuck), giusto per evidenziare l’affetto. Qua, però, non mi soffermo sulla qualità della proposta, potrei scrivere migliaia di parole, magari sul discutibile risultato dei primi 4 lavori, o magari sulla clamorosa influenza dei successivi 4, ma si rivelerebbero tutte praticamente ovvie. No, stavolta voglio dare un contributo con le mie testimonianze dirette, figlie di un’esperienza (dite che dovrei chiamarla vecchiaia?) che mi ha permesso di vedere la band 3 volte dal vivo. Premessa: molto probabilmente i fan più incalliti non apprezzeranno troppo ciò che leggeranno da ora in poi, ma mi pare giusto essere il più sincero possibile.

Prima del 1991 i Pantera non calarono mai all’interno dei confini italici, quindi non ci sono testimonianze di date da “Metal Magic” (uscito nel 1983) a “Power Metal” (del 1988). Le prime date arrivarono con il tour promozionale di “Cowboys From Hell” nel 1991, precisamente tra febbraio e marzo e rispettivamente a Bolzano, Roma e Brescia. Non partecipai a nessuna di queste, quindi invito i lettori con buona memoria a raccontare qualche aneddoto, magari scrivendo anche le ipotetiche scalette. La mia “prima volta” fu al Monsters Of Rock di Reggio Emilia nel settembre dell’anno successivo, un festival indimenticabile, un po’ perché fu il mio secondo concerto in assoluto (il primo, i Litfiba a Cesena l’anno precedente), un po’ perché il bill era pazzesco: iniziò Pino Scotto, da un paio di anni “orfano” dei Vanadium, ma sinceramente non ho buonissimi ricordi, anche perché spesso in quegli anni veniva sbeffeggiato per non ricordo quali motivi e il sottoscritto, alla veneranda età di 12 anni, preferiva “viversi” il suo primo festival metal, con amici più grandi di lui. Poi arrivarono i Pantera, da noi quasi sconosciuti, perché la rete non era accessibile e le uniche notizie arrivavano tramite i giornalisti e grazie allo strepitoso “Headbangers Ball” di MTV, in quegli anni condotto da Vanessa Warwick (allora moglie di Ricky degli The Almighty), dove venivano trasmessi video hard & heavy altrimenti inaccessibili. I “nostri” suonarono solo 6 pezzi, ma che legnata in faccia diedero a noi presenti! Assolutamente devastanti, partenza al fulmicotone con “Fucking Hostile” e finale pure in crescendo con l’immensa “Cowboys From Hell” (le altre in scaletta furono “Mouth For War“, “Domination“, “Hollow“, “Rise” e “This Love“). Non voglio soffermarmi troppo, ma per i più curiosi il festival proseguì con i Warrant (“figli” del successo di “Cherry Pie” e del bellissimo “Dog Eat Dog“), i sempre immensi Testament, i Megadeth nel loro massimo splendore (formazione incredibile e 3 dischi di fila strepitosi con essa), i Black Sabbath del periodo Ronnie James Dio (in tour per l’allora sottovalutato, ma rivalutato negli anni, “Dehumanizer“) e i leggendari Iron Maiden, in tour con il successo sfolgorante di “Fear Of The Dark“.

Passano gli anni, cambiano o si evolvono gli ascolti, i Pantera tornano altre due volte nello Stivale (febbraio 1993 al Palasesto di Sesto San Giovanni e ottobre 1994 al Forum di Assago, unica data per il tour del fenomenale “Far Beyond Driven“) e arrivo alla seconda data, anche questa volta un festival, il famigerato Gods Of Metal del 1998 all’incandescente (in tutti i sensi) FilaForum di Assago. Questo Gods Of Metal, per chi scrive, è stato il migliore in assoluto, con una lune-up stratosferica (in quegli anni andava molto il power metal, quindi vedere nello stesso palco Blind Guardian, Gamma Ray, Helloween e Stratovarius fu il TOP per chiunque ascoltasse un minimo quel genere), culminato con una fantastica esibizione dei Black Sabbath, riformatisi con Ozzy alla voce (concerto veramente fenomenale, le mie sole parole non possono descrivere appieno l’emozione che hanno provato i presenti a quella serata). Purtroppo la nota “stonata” furono proprio i Pantera, già funestati da un’acustica indecente, ma massacrati dalle condizioni di Phil Anselmo, visibilmente ubriaco, senza nessuna intenzione di “intonazione” e persino in una risibile versione da pagliaccio, con microfono sbattuto più volte in un sanguinolento grugno…veramente pessimo!

Dopo questa dimenticabile esperienza (ripeto, solo per colpa dei Pantera), la band torna per due volte durante il tour di un buon disco, ma che non può essere paragonato ai 4 predecessori, quel “Reinventing The Steel” che decreta la parola fine alla band. Il disco è anche figlio di una profonda crisi interna e purtroppo si sente, anche se comunque di episodi notevoli ce ne sono diversi (soprattutto “Goddamn Electric” e “Revolution Is My Name“). Le date si svolgono nel maggio del 2000, la prima sempre al Forum di Assago, la seconda (alla quale partecipai) al BPA Palas di Pesaro. Purtroppo anche in questo caso l’aggettivo “pessimo” è l’unico accostabile a questo concerto (con i Satyricon di “Rebel Extravaganza” di supporto), perché Anselmo era (se possibile) ancora più ubriaco che al GOM e l’acustica scandalosa del BPA Palas non aiutò di certo Dime, Rex e Vinnie a migliorare le sorti di un live ai limiti dell’imbarazzante.

Peccato, gli unici ricordi positivi che ho delle loro esibizioni sono “vecchie” di 30 anni, il sottoscritto allora tredicenne brufoloso e con una passione meno ingombrante di ora non poteva gustare a dovere una band come questa, che ha amato e sempre amerà nonostante tutto.

(Manuel Andreotti)

Matteo Pastori

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Nerd ventiquattrenne appassionato di tutto ciò che è horror, bassista a tempo perso e cresciuto a pane e Metallica. La musica non ha mai avuto etichette per me, questo fa si che possa ancora sorprendermi di disco in disco.

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