Orphaned Land: Live Report della data di Borgo Priolo

Era una notte buia e tempestosa! Beh, non esageriamo: pioviggina e il freddo è quello tipico di stagione però quando all’interno del locale la temperatura è la stessa per il malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento e il pubblico esiguo, i presupposti per una serata storta ci sono tutti. Invece, come spesso accade al Dagda (ai cui gestori suggeriamo comunque un metodo di riscaldamento più consono allo spazioso locale) lo show ha avuto un risvolto positivo, merito della professionalità delle band coinvolte e del calore dei pochi presenti in sala.

Arriviamo in loco, troviamo già sul palco in piena esibizione i Crisalida, gruppo di cui sinceramente ignoravamo l’esistenza (e pensare che i nostri hanno già realizzato ben quattro album); i cileni stanno promuovendo il recente “Terra Ancestral” e il loro prog metal con voce femminile sembra davvero convincente in particolare nell’esibizione del batterista Rodrigo Sánchez… da scoprire.

Quando il palco inizia a riempirsi di musicisti con costumi pacchiani non può che essere il turno degli Imperial Age che nonostante provengano dalla Madre Russia sembrano soffrire la gelida temperatura sul palco, in particolare la cantante Alexandra Sidorova; provano, e in parte ci riescono, a scaldare la platea con il loro symphonic metal dalle voci liriche (una maschile e due femminili) che non sono esenti da difetti non tanto formali quanto di originalità. Anche i russi stanno promuovendo un nuovo lavoro, “Warrior Race” ma in questo caso, a titolo personale, non rimane il desiderio di ascoltare le versioni studio di una musica che mi è sembrata senz’anima ed eccessivamente omologata agli stilemi del genere.

Tutt’altra sensazione hanno invece suscitato quei terroristi sonori che rispondono al nome di Voodoo Kungfu, guidati dall’enigmatico Nan Li, un massiccio figuro che ad inizio show appare celato da un mostruoso costume di scena per poi rivelarsi un guerriero completamente ricoperto di tatuaggi ed abile a riprodurre vocalizzi disumani (dall’estremamente grave all’inaspettatatamente acuto) su una base noise, industrial e folk decisamente estrema. Tra i pezzi presentati riconosciamo solo una versione stravolta di “Raining Blood” degli Slayer ma comunque l’impressione è che i quattro musicisti americani che accompagnano il “pazzo” cinese rendano coesa una proposta ostica però che funziona e lascia i presenti decisamente impressionati.

L’aura di professionalità e dimestichezza con le assi di un palco che accompagnano gli Orphaned Land dall’iniziale “All Is One” è percepibile sulla pelle nonostante suoni non perfetti che riguarderanno soprattutto le due chitarre. In tour per il venticinquesimo anniversario della loro fondazione gli israeliani non si fanno frenare dall’esiguo ma entusiasta pubblico che si trovano di fronte e sciorinano una scaletta davvero centrata, che percorre un po’ tutta la loro discografia e dove segnaliamo come punti di forza dello show “The Simple Man”, “Brother”, “Birth Of The Three”, “Sapari” e la conclusiva “Norra El Norra”. Probabilmente si sente ancora leggermente la mancanza di un musicista trainante come Yossi Sassi però i giovani Chen Balbus e Idan Amsalem fanno il loro dovere, sospinti da Matan Shmuely alla batteria e guidati dal leader máximo Kobi Farhi, non un cantante iper tecnico ma dal grande feeling e soprattutto interprete impareggiabile delle intense liriche (tra inglese ed ebraico) dell’impegnata band progressive/folk mediorientale (e non solo visto il sentito tributo a Leonard Cohen tramite “If It Be Your Will”).

Alberto Capettini

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Fan di rock pesante non esattamente di primo pelo, segue la scena sotto mentite spoglie (in realtà è un supereroe del sales department) dal lontano 1987; la quotidianità familiare e l’enogastronomia lo distraggono dalla sua dedizione quasi maniacale alla materia metal (dall’AOR al death). È uno dei “vecchi zii” della redazione ma l’entusiasmo rimane assolutamente immutato.

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