Ordahlia Nera – Recensione: Mask Of Broken Glass

Se c’è una cosa che i milanesi Ordahlia Nera ci tengono a far sapere, prima di tutto, è che il loro disco di debutto è distribuito da Universal Music: una circostanza che deve renderli molto orgogliosi, se questo è il primo dato che viene riportato ogni volta che si cercano informazioni sul gothic metal di “Mask Of Broken Glass”. Ed effettivamente, ne converremo, trovare due loro singoli tra le proposte di Elodie, Vasco Rossi e Tananai un certo effetto lo fa. Che si tratti o meno dell’inizio di uno sdoganamento del metal (italiano) presso le major nostrane, sta di fatto che la band fronteggiata da Vanna Basso può contare su musicisti di esperienza ed ha potuto avvalersi, in sede di registrazione dell’album, della produzione di Pietro Foresti, molto attivo in suolo americano e marito della Valeria Rossi di “Tre Parole”. “Mask Of Broken Glass”, che nelle intenzioni della formazione lombarda si ispira a quanto realizzato dai Rage con la Lingua Mortis Orchestra, si apre dunque con una “Thorns” dai toni inizialmente lenti e cadenzati, salvo acquistare un filo di traino nella sua seconda parte. Non si tratta di un’introduzione di particolare impatto: la melodia può essere trascurata senza sensi di colpa, l’orchestrazione non contribuisce in modo rilevante alla personalità del brano e, a dirla tutta, nemmeno la produzione generale può dirsi davvero sontuosa (“Alone” sembra un demo). Siamo insomma dalle parti dimesse di un funzionale andante, che vista l’aura di professionalità che permea la presentazione del disco ci si sarebbe aspettati molto, molto di più.

La successiva “Elizabeth Ann Short” tratta il caso dell’efferato omicidio della “Dalia Nera” ma gli apprezzamenti vanno più all’intenzione narrativa che al risultato finale: a parte un’interpretazione di Vanna alla quale manca ancora qualcosa in termini di personalità e pronuncia, anche in questo caso si assiste al tentativo di coprire con le onnipresenti orchestrazioni un brano dalla melodia piuttosto debole e sostenuto da ritmiche altrettanto scontate, che nel finale sembrano essere state bruscamente tagliate come nel tentativo di non infierire ulteriormente. Traccia dopo traccia, “Mask Of Broken Glass” continua ad evidenziare i limiti di un songwriting non molto ispirato, con canzoni che si trascinano (“Follow This Path”) alla ricerca di un guizzo che purtroppo, e nonostante tentativi di variazione piuttosto goffi (“Deadly Nightmare”, che altrove viene però presentata come “Bloody Nightmare”), non arriva mai. Un limite più evidente, come spesso avviene, negli episodi più lenti e musicalmente vulnerabili: “My Angel Comes” dovrebbe essere una specie di ballad nella quale però non si realizza mai una fusione completa tra cantato (banale, come lo è ogni canzone che comprende le parole burning desire) ed una orchestrazione nella quale salverei solo gli interventi di quello che, ad occhio e croce, mi sembrerebbe un oboe alla Tanita Tikaram. Niente da dire e tutto da tacere, infine, sulla cover di “The Look” dei Roxette posta alla fine della scaletta: come si sia riusciti a massacrare anche una canzone che piace in qualsiasi versione venga riproposta è un mistero (buffo) che, a questo punto, non ha nemmeno più senso provare a risolvere. Mentre la povera Marie Fredriksson si starà rivoltando nella tomba.

E’ davvero difficile descrivere i brividi che questo primo disco degli Ordahlia Nera ti regala dopo cinquanta minuti così impalpabili e leggeri dal punto di vista della personalità, del flow, della visione. Cinquanta minuti vuoti nel corso dei quali nulla, nemmeno gli assoli, riesce ad alimentare la possibilità di un ripensamento, di un cambiamento di prospettiva, di un’evoluzione in itinere che possa preludere – come ci piace evidenziare quando una band manifesta almeno l’intenzione – a qualcosa di più grande in futuro. Che senso ha prodigarsi in presentazioni fintamente professionali da “2387 caratteri – spazi inclusi” – grazie per la conta – quando poi ci tocca ascoltare i ritornelli fiacchi di “The Way Of Doom” o una “Don’t Look Back” che in cinque minuti non riesce a proporre un solo momento convincente? Ed il fatto che per sostenere l’operazione si sia scomodata una major, quando nel nostro Paese siamo da tempo capaci di produrre ben altro, è una circostanza che non saprei se definire sconfortante, frustrante o semplicemente frutto di un atteggiamento tra il miope, l’incompetente ed il superficiale.

Pur comprendendo, e rispettando, l’orgoglio che ogni band al debutto ha il diritto di provare, non è possibile non sottolineare le mancanze di un prodotto così acerbo che a chiamare in causa i Rage (ma anche “Within Temptation, Lacuna Coil, Battle Beast”) gli si fa solo un ulteriore e crudele torto. Allo stato attuale “Mask Of Broken Glass” è un disco che non porta a compimento nessuno dei compiti per i quali sembrerebbe essere stato realizzato: insufficiente ad alimentare l’interesse per una nuova realtà italiana, insufficiente a regalare qualche minuto di divertimento ed insufficiente a convincerci – ma non che ce ne fosse bisogno – che uscire per una major possa rappresentare una qualche garanzia di qualità.

Etichetta: Universal Music

Anno: 2023

Tracklist: 01. Thorns 02. Elizabeth Ann Short 03. Follow this path 04. Bloody nightmare 05. Halo 06. Don't look back 07. My angel comes 08. The way of doom 09. I hear you call 10. The look
Sito Web: facebook.com/ordahlianera

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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