Preparatevi a un viaggio sensoriale che coinvolgerà la mente e il corpo, un percorso che vi innalzerà verso il cielo e vi catapulterà subito dopo nelle viscere dell’Inferno. Nibiru è più che un progetto musicale, è un iter ritualistico di distruzione e rinascita, una sorta di meccanismo magico che si manifesta nella sorprendente versatilità della band torinese.
“Padmalotus” segna un ulteriore passo in avanti per un gruppo che ha saputo mettersi in luce nella scena underground italiana per la bontà e la particolarità di una proposta che di certo non vuole facili consensi, nè cerca ascoltatori che non siano pronti a voler godere di un’opera che richiede concentrazione e completa assuefazione al cammino magico/spirituale creato.
Il disco è un ibrido musicale e concettuale, ci sono palesi riferimenti tanto alle antiche religioni indiane e mesopotamiche quanto alla filosofia crowleyana, mentre l’idioma usato nei quattro imponenti capitoli è l’enochiano, ovvero la lingua degli angeli di ispirazione biblica codificata dal matematico John Dee in epoca elisabettiana. Per ogni ulteriore dettaglio sull’opus occulto e conoscitivo che anima il progetto Nibiru, vi rimandiamo all’intervista raccolta dal nostro portale, perchè ora è tempo di parlare di musica.
Scordatevi una forma canzone così come l’avete conosciuta. L’album nasce dall’improvvisazione e dall’estro di un three-piece che non vuole orecchiabilità o melodie pompose, ma travolge comunque con la sua potenza e la sorprendente bellezza delle composizioni. “Padmalotus” è uno sludge lisergico e soffocante, è psichedelia portata agli estremi e fatta esplodere con un’abrasiva noise. Ad un primo momento è difficile abituarsi alla tensione creata dal gruppo, ma il percorso verso la conoscenza richiede abnegazione e apertura mentale.
Come un loto prossimo a fiorire, l’album si svela all’improvviso e ci illumina con una luce accecante, purifica nel suo contorcersi e colpisce rabbiosamente tra distorsioni di chitarre prossime alla cacofonia, un drumming tellurico, spesso lento ma impietoso come una colata lavica e una voce che arriva dalle viscere della terra. I ritmi cambiano, le atmosfere pure, “Padmalotus” è movimento, è un flusso di energia spirituale libera e incontrollata che diventa musica.
I torinesi creano un qualcosa davvero difficile da rendere a parole, ma da vivere in senso assoluto. Se lo ying e lo yang potessero cantare, Nibiru sarebbe la loro voce.