E’ il 1996 quando arriva il secondo album dei Nevermore, guidati da Warrel Dane e Jeff Loomis (rispettivamente voce e chitarra), accompagnati a loro volta da Pat O’Brien (chitarra), Jim Sheppard (basso) e Van Williams (batteria) e che prende il titolo “The Politics Of Ecstasy” dal libro omonimo di Tim Leary, psicologo a favore delle esperienze derivate dalle sostanze psichedeliche.
Un lavoro che segna già la maturità della band e che si apre con la mazzata strumentale che fa da incipit a “The Seven Tongues Of God”, che mostra subito il buon Warrel in stato di grazia con le sue capacità istrioniche ad esibirsi su un thrash tecnico fra sezione ritmica imperiosa e chitarre tecnicamente da paura (anche il suono creato da Neil Kernon contribuisce a creare un effetto devastante, di sicuro) che volano su assoli fantastici e ritmiche serrate; l’inizio dissonante di “This Sacrament” apre a una strofa compatta e devastante come un assalto, prima di una sezione in cui gli strumenti prendono il sopravvento e le melodie di chitarra creano un continuum di stampo classico ma efficace fino in fondo. Note serrate e una cantilena aprono “Next In Line”, brano ossessivo e decisamente oscuro, che si apre solo verso il quarto finale cambiando atmosfera e virando verso un tempo più aperto e in cui anche le linee vocali si fanno più sciolte e libere; “Passenger” si apre con il suono di un battito cardiaco e tappeti synth sulle quali si inserisce una chitarra accompagnata da un tempo lento, quasi come il peso della riflessione di un uomo (tema della canzone) sulla propria vita, un caleidoscopio di melodie e di passaggi tutt’altro che banali e che anzi dimostrano le capacità dei Nevermore di costruire brani che rimangono subito in mente ma di certo non facili da far uscire in maniera così naturali dalla penna degli autori.
I testi che accompagnano “The Politics Of Ecstasy” in toto vanno di sicuro approfonditi e meritano ben di più di un’occhiata superficiale, riprova ne è la title track, dall’impatto devastante e costruita principalmente su sghembi passaggi che sottolineano le rabbiose invettive che provengono da dietro il microfono per i quasi otto minuti dove si riescono ad infilare sublimi passaggi tecnici come l’assolo di basso, preludio a una corsa strumentale da perdere i sensi ed a una parte ancor diversa che mantiene vigile ogni senso in un delirio di odio e disgusto; “Lost” è tonica, una track carica fin dall’inizio in cui ci si chiede “Io Chi Sono?”, sferragliare di treni sonori che cambiano direzione e tempo, andando a puntare verso direzioni diverse ma complementari, suggestioni dettate da campioni vocali inseriti su una ritmica aggressiva che riapre la strada al cantante.
“The Tiananmen Men” è un evidente omaggio ai fatti svoltisi in Cina ai quali si riferisce al titolo, quasi un inno incendiario alla memoria di coloro che si sono ribellati contro il potere, con una ritmica tellurica e una sezione di sei corde che sa dove colpire per ferire, anche quando si staglia con melodie che si compenetrano fra di loro e anticipano un break di batteria che spezza la foga in cui le chitarre trascinano fino ad un ulteriore “spezza-ritmo” e un basso effettato in cui le sei corde si fanno incisive mentre il parlato in secondo piano fornisce ulteriore magia; acustica ed elettrica si intrecciano nella strumentale “Precognition”, misteriosa e gradevole, brano che anticipa “42147” ed il suo inizio a bomba che fa già presagire un pezzo aggressivo e melodico allo stesso tempo, con un’apertura in cui le chitarre si fanno eteree su ritmiche aperte salvo poi intervenire in modalità solista con riff eleganti che conducono a una parentesi progressive thrash fra tempi dispari, ulteriori assoli e svisate che non possono che strappare consensi. La chiusura di questo “The Politics Of Ecstasy” è affidata a “The Learning”, dall’inizio toccante grazie al connubio chitarre/voce (applausi) che accompagnano un testo meraviglioso: i nove minuti e quaranta del brano si dipanano per diventare una corsa fra atmosfere diverse, velocità diverse ma il tutto accomunato da un minimo comun denominatore malinconico ed in grado di toccare nell’intimo qualsiasi persona che si avvicinerà a questo brano.
Un album non facile, che ha bisogno di ripetuti ascolti per essere assimilato totalmente a causa della cupezza che lo contraddistingue ma che man mano si instilla sotto la pelle e diventa fondamentale per la sopravvivenza: un disco magico, come il canto di una sirena che chiama ogni volta che vi si passa di fianco. Fondamentale per il metal moderno, sotto ogni punto di vista.
Etichetta: Century Media Records Anno: 1996 Tracklist: 01. The Seven Tongues of God 02. This Sacrament 03. Next in Line 04. Passenger 05. The Politics of Ecstasy 06. Lost 07. The Tiananmen Man 08. Precognition 09. 42147 10. The Learning |