Il secondo album di Amelie Bruun / Myrkur è qualcosa di difficilmente catalogabile. “Mareridt” è il canto di una terra perduta, sparita nella nebbia ed inghiottita dal mare. È la voce di un popolo dimenticato da millenni che risorge dalle ceneri del tempo per cantare la gloria di un tempo corroso dalla morte. “Mareridt” è un disco di grande complessità, un progetto che possiamo definire “black metal” ma che di black metal propriamente detto non c’è davvero niente. Un mix tra atmospheric Doom e Black, spruzzate di ambient ed elettronica a tratti appena accenata.
Con “De Tre Piker” sembra di sentire il canto funebre di Eowyn, mentre saluta Théodred figlio di Théoden ucciso durante la prima battaglia battaglia dei guadi dell’Isen (sì lo so che nel libro Théodred era già passato a miglior vita, ma la musica si sarebbe adattata benissimo per la triste processione rappresentata da Peter Jackson nella pellicola cinematografica nda.).
Ci sono poi schegge di paura come “Ulvinde”, che già dall’incedere ha il compito di terrorizzare l’ascoltatore. E proprio in questo moneto la voce di Amelie diventa canto di sirena, che rapisce e terrorizza, lasciando in sospeso l’animo di un ipotetico viaggiatore chiamato ad infrangersi sulle scogliere danesi. E poi l’esplosione, la rabbia e la disperazione di una donna che divanta musica. Ci si avvicina verso la fine con “Gladiatrix”, che ha come punto di forza una duplice anima: brutale (per quanto possa essere brutale un album del genere, intendiamoci) nell’approccio strumentale e sospeso nelle melodie che si incastrano nelle orecchie di chi ascolta.
Album ambizioso. Di difficile ascolto. Sicuramente destinato a quanti tra voi sapranno trovare la strada lungo una via oscura e dimenticata.