Per i ragazzi che negli anni ’80 ascoltavano heavy metal, il Monsters of Rock era un festival leggendario, una sorta di chimera della quale, per usufruirne, i pochi fortunati che ne avevano la possibilità dovevano andare all’estero, in Inghilterra o in Germania. Qualche sentore che anche in Italia si potesse smuovere qualcosa c’era stato nel 1987, con le date milanesi e reggiane di Dio, Helloween, (band che avevano suonato nei Monsters europei) con gli italiani Black Swan, Skanners e Gow. Concerti denominati per l’appunto Monsters of Rock , anche se a tutti gli effetti si trattava di una sorta di prequel del mitico festival. La prima edizione effettiva quindi è stata quella che, il 10 settembre del 1988 si era svolta negli spazi della festa dell’Unità di Modena. E, concedecelo, sarebbe simpatico sapere se uno come Gene Simmons è consapevole di aver suonato nell’area di una festa dell’allora Partito Comunista Italiano…
L’entusiasmo per l’arrivo nel nostro Paese del primo vero grande festival era palpabile, tanto più per una scaletta indubbiamente succosa, che prevedeva, in ordine di apparizione, Royal Air Force, Yngwie Malmsteen, Helloween, Anthrax, Kiss e gli headliner Iron Maiden. Ovviamente al tempo internet non c’era, e tutte le notizie riguardanti questi eventi si traevano dalle riviste specializzate di allora (principalmente HM e Metal Shock) e le fanzine cartacee, oltre che tramite i programmi dedicati trasmessi da qualche radio privata. Il passaparola in questi casi aveva un ruolo fondamentale. Non ricordo se grazie a quest’ultimo o a quale altro tramite, molti di noi presenti eravamo venuti a conoscenza del fatto che all’ultimo momento Malmsteen non era più della partita e al suo posto suonavano gli sconosciuti (nell’Italia di quegli anni) australiani Kings Of The Sun.
Fatto sta che l’area del festival, fin dal mattino del fatidico giorno, si era riempita di pubblico provemiente da un po’ tutto lo stivale, di certo consapevole di partecipare a un evento che in qualche modo si potrebbe considerare storico.
In un’area concerti senza brutture mangiasoldi quali golden pit, token, punti ristoro e parcheggi a prezzi esosi, dove chi primo arrivava si conquistava la transenna, iniziava così la prima delle 4 edizioni storiche del Monsters of Rock, posto il fatto che il denominativo era stato usato anche per i festival del 1988 a Torino e 2004 a Como.
L’apertura era affidata ai Milanesi Royal Air Force,con grandi acclamazioni da parte del pubblico. Un risultato notevole per una band italiana dell’epoca, che a posteriori, per varie vicissitudini, non le aveva però consentito il salto definitivo verso il professionismo.
I secondi a salire sul palco erano i Kings Of The Sun, band che apriva per i Kiss in Europa. Il problema era che dovevano sostituire l’attesissimo Malmsteen, non li conosceva praticamente nessuno, e tanti del pubblico non sapevano della sostituzione. Il risultato era stato una raffica di insulti e lancio di oggetti da parte di troppi dei presenti, delusi e arrabbiati per questo cambio. Ed è stato un peccato, perchè gli australiani avevano fatto un buon concerto a base di un hard r’n’r ruspante e sincero. Un’occasione sprecata per conoscere una band poco nota dalle nostre parti e una brutto comportamento che purtroppo si ripeterà in altre occasioni per band “sgradite” a parte del pubblico.
Ben altra accoglienza ai tedeschi Helloween, allora veramente sulla cresta dell’onda, in formazione storica e forti del grandissimo riscontro dei due “Keeper Of The Seven Keys”, col secondo album della serie appena pubblicato. La data dell’anno prima, densa di problemi tecnici per aver usato una strumentazione altrui per, se ben ricordo, problemi alla frontiera (o forse incidente del camion che la trasportava) era stata ampiamente riscattata da quella di questo Monsters, e aveva dato l’opportunità ai numerosi presenti di vedere una band al massimo del suo fulgore nel momento giusto.
Gli Anthrax, che rappresentavano la band più “estrema” del lotto (è significativo notare come questo concetto si sia spostato in là negli anni…) dal canto loro erano anch’essi nel loro momento clou, con una scaletta incentrata su brani allora recenti, che sarebbero poi diventati super classici e un bis con “God Save The Queen” dei Sex Pistols. Grande riscontro di pubblico e pogo furioso anche per loro.
I Kiss erano la band forse più attesa del festival, per certi aspetti anche di più degli headliner, vista la loro lunga assenza dai palchi italiani. Senza trucco e col compianto Eric Carr alla batteria, avevano fatto realmente un grande concerto, acclamatissimo, ricco di vecchi classici e qualche nuovo successo, conquistando il cuore di un pubblico che, per molta parte, si era avvicinato al rock e al metal grazie al loro singolo del ’79 “I Was Made For Loving You”(immaginabile l’esplosione dei presenti quando è stata eseguita). Compreso il sottoscritto, che conserva ancora il 45 giri comprato nell’anno di uscita. Probabilmente il concerto più emotivamente coinvolgente di tutto il festival.
Gli Iron Maiden erano già all’epoca arrivati ai vertici delle preferenze del pubblico, ed era significativo il fatto che, alla precedente data dei Kiss in Italia (era il 1980), facevano da gruppo spalla, e appena 8 anni dopo la band di testa erano loro, suonando dopo i newyorchesi. Il tour era quello di “Seventh Son”, il palco era addobato con tutte le scenografie realtive a quel disco, e la band aveva suonato da autentica dominatrice della giornata. Una carrellata di classici ancor oggi suonati live come “Can I Play With Madness” o “Wasted Years” (oltre a obbligati come “The Trooper”, “Iron Maiden”, “The Number of the Beast” ecc.) affiancati a quelle che oggi sarebbero delle chicche, come “22 Acacia Avenue”. Grande scaletta senza quegli appesantimenti che a volte sarebbero venuti fuori in periodi successivi. Anche per loro un ovvio tripudio di pubblico per un concerto che, già allora, li aveva confermati come quella straordinaria macchina da concerti oliata alla perfezione, anche se per molti (compreso il sottoscritto) i Kiss erano stati il vertice della giornata.
Per quegli allora ragazzi un’esperienza a tutti gli effetti storica, di quelle che lasciano il segno e che si può legittimamente considerare una sorta di rito di iniziazione e momento formativo. Non so se al tempo ne eravamo pienamente consapevoli, ma con gli occhi di adesso è stata così.