Negli ultimi tempi, molte band di recente formazione sembrano aver messo da parte l’inventiva tout court a favore della rilettura. Ben venga però, quando questa è eseguita nel modo giusto, le composizioni sono coinvolgenti e vi è anche un tocco di personalità. E’ il caso degli svedesi Monolord, classe 2013 e arrivati con “Rust” alla terza prova sulla lunga distanza.
Il doom/stoner della band nordeuropea trova i suoi numi tutelari in acts come Kyuss, Electric Wizard, Black Sabbath, YOB e Sleep, qui indubbiamente riletti, ma attraverso canzoni che senza troppi giri di parole sono dannatamente efficaci.
Fin dall’opener “Where Death Meets The Sea”, i Monolord mettono sul piatto un doom/stoner d’antan sporco e riverberato, dal mood malinconico ma groovy e intrigante. Il vocalist/chitarrista Thomas V Jäger provvede a sottolineare detto mood con la sua voce trascinata e lamentosa, saggiamente “elettrificata” dai campionatori, perpetuando un riff ricorsivo, ipnotico ma al tempo stesso orecchiabile. Quanto basta a rendere le successive (e sabbathiane) “Dear Lucifer” e “Rust”, con tanto di aperture di organo, degli ottimi esempi di genere, in cui sale sugli scudi l’uso solista della chitarra e la sezione ritmica monolitica di Esben Willems (batteria) e Mika Häkki (basso).
“Wormland” è il brano atipico del lotto, una strumentale romantica con tanto di parti di violino che si giustappongono alla chitarra (che ci offre ancora un riff portante davvero gradevole), ma è nelle conclusive “Forgotten Lands” e “At Niceae” che i Monolord manifestano tutta la loro devozione al doom d’antan. Il minutaggio lungo dei brani (rispettivamente 13 e oltre 15) consente alla band una maggiore varietà che si traduce in riff sferzanti macabri come vuole il genere ma altrettanto coinvolgenti all’ascolto, innesti di synth psichedelici e parti acustiche che fungono da congedo.
Un ensemble interessante che affronta sonorità datate con ottimo gusto e idee chiare. Per chi segue il genere, un ascolto è certamente consigliato.