“AmeriKKKant non è un disco anti-Trump. Questo è un disco interrogatorio sul perché l’abbiamo eletto” ha dichiarato Al Jourgensen in una recente intervista a proposito del nuovo album dei suoi Ministry. Basta infatti scorrere i titoli delle tracce che compongono l’ultimo platter dei pionieri dell’industrial per capire che ci troviamo davanti a un lavoro fortemente politico e profondamente impegnato, come non se ne vedono tanti nel nostro genere.
Un disco carico di rabbia e indignazione, in cui il mastermind del gruppo ci racconta come vede i suoi Stati Uniti al giorno d’oggi: un paese in cui il rispetto per la Costituzione svanisce, cresce al contrario l’accettazione che l’opinione di qualcuno rimpiazzi i fatti e si assiste a un generale declino del senso morale, etico e di responsabilità degli uomini politici. Il tutto, sempre secondo Jourgensen, in un clima di disinformazione, propaganda e diffamazione generato dai media, uno scenario in cui si assiste al disfacimento di quella che un tempo era una democrazia che funzionava.
Per rendere musicalmente questo concept così spietato e disperato i Ministry optano allora per sonorità crude, cupe, violente e a tratti disturbanti, rese non soltanto con gli strumenti più tipici del metal. Nell’album infatti l’elettronica e lo scratch si affiancano spesso prepotentemente alle chitarre (non a caso due importanti artisti hip hop, DJ Swamp e Arabian Prince, partecipano in veste di special guest), dando vita a composizioni molto particolari. Non si spaventino comunque i puristi del rock duro, dal momento che quando c’è da pestare per benino il combo americano sa sempre la direzione giusta da prendere
Le prime due tracce post intro, le lunghe ed estenuanti “Twilight Zone” e “Victims Of A Clown”, sono intrise dello spirito alternativo, dissacrante ed estemporaneo del platter. Si è invece ai limiti dell’hardcore più scatenato e irriverente con le veloci e dirette “We’re Tired Of It” e “Antifa”. Siamo sempre e comunque davanti a pezzi belli tosti, spesso psichedelici e che non fanno certo dormire sonni tranquilli, come le abrasive “Wargasm” e “Game Over” o la mastodontica quasi title track “AmeriKKKa”.
L’ultimo lavoro dei Ministry è insomma un disco che non può certo lasciare indifferente l’ascoltatore: il suo scopo è quello di dargli una scossa per risvegliarlo dal torpore e spingerlo a riflettere e ad agire. “AmeriKKKant” non è poi solo il ritratto di un determinato momento che sta vivendo un unico paese, ma è forse un’opera che descrive un’intera epoca, almeno per il mondo occidentale. Al Jourgensen e soci diventano allora cantori di questo desolante quadro con un acume e una passione non comuni, dimostrando di essere davvero grandi artisti del nostro tempo.