Nonostante avessi poco tempo a mia disposizione (evidente la fretta del chitarrista)Michael si è dimostrato gentile ed estremamente disponibile. Non esita a darci maggiori informazioni sul suo nuovo lavoro discografico, “Arachnophobiac”, che non si discosta troppo dalle sue precedenti produzioni in quanto a stile e feeling puramente hard rock/blues.
Prima domanda di rito, Micheal: “Arachnophobiac” suona fondamentalmente come un disco di puro hard rock con influenze blues e heavy metal. Tu come lo inquadreresti? Ci puoi dire come è nato questo disco, qualche notizia sui membri del gruppo. Personalmente conosco solo Chris Logan che ha militato nei “The Scientist”.. “Ho incontrato per la prima volta i componenti della band nel 1997. Il nostro è stato un incontro fortunato; ancora oggi, infatti, quando registro un nuovo album, richiamo gli stessi musicisti. Credo siano i migliori musicisti con cui io possa lavorare per questo tipo di musica. Per quanto riguarda la stesura dei brani, tutto parte dalla registrazione su cassetta delle prove e delle jam fatte con gli altri componenti del gruppo. In seguito, a casa, faccio una selezione del materiale migliore e su quel prodotto lavoriamo per creare un nuovo album. Ognuno di noi si occupa della parti di propria competenza, chi le linee vocali, chi le melodie, chi le armonie, e dopo facciamo un lavoro di missaggio in studio, rifinendo le canzoni cui abbiamo già dato un scheletro solido.”
Sappiamo tutti della tua grande esperienza e del fatto che sei stato tra i membri fondatori di una band storica come gli Scorpions. Cosa ti ricordi di quel periodo? Che esperienze ti porti dietro? “Il primo lavoro serio nella musica che io abbia fatto è stato con gli Scorpions, quando avevo appena 16 anni. Potrai immaginarti di che genere d’esperienza si sia trattata: da un giorno all’altro mi sono ritrovato a registrare un album che sicuramente ha lasciato un segno nella storia della musica, ed è stato tutto incredibilmente bello ed eccitante. Sicuramente un’altra esperienza grandiosa è stata quella di andare in tour con gli Scorpions. Quello è stato un periodo della mia vita che m’ha profondamente segnato sia come musicista sia come uomo.”
Da molti anni oramai hai intrapreso il progetto “Michael Schenker Group”. Che differenze riconosci tra quando suonavi in una “band” vera e propria e adesso che tutto ruota intorno a te? Ti senti più libero come artista? “Sono molto cresciuto, non solo per gli anni che avanzano, ma anche come musicista. Attraversare diverse esperienze musicali accresce moltissimo le tue capacità compositive, sviluppa il tuo approccio con la chitarra. Quando nel 1993/’94 ho smesso definitivamente di suonare con gli Scorpions, ho avuto la possibilità di esplorare un universo musicale completamente diverso, in cui riversare tutta la mia personale creatività in fatto di songwriting. Ho potuto quindi fondere la mia passata esperienza con le nuove idee che avevo in testa, ed al giorno d’oggi cerco di tenermi coinvolto in quanti più progetti è possibile.”
Come ti definiresti in qualità di chitarrista? Riesci ad inquadrarti in un genere o preferisci rimanerne fuori? Nel momento in cui prendi la chitarra in mano, senti di star suonando un genere particolare, come il blues, l’hard rock, oppure senti di star trasmettendo solo ed unicamente emozioni? “Onestamente credo che ogni musicista dovrebbe ambire ad avere un proprio stile personale nel suonare la chitarra. Certamente ci sono degli artisti che mi hanno fortemente ispirato, come Jimmy Page, Johnny Winter (l’albino del blues), Rory Gallagher (chitarrista rock/blues irlandese, fondatore dei Taste). Dopo i quarant’anni ho cercato di sviluppare uno stile più personale, ho tentato di guardare dentro di me e di tirar fuori la mia espressione musicale più intima possibile. Credo che lo stile di un musicista sia il riflesso del suo carattere, della sua personalità, del suo gusto. Certamente mi puoi definire un chitarrista melodico, uno cui piace la tecnica ma che cerca sempre di far prevalere il feeling nel proprio suono.”
Michael ci fa gentilmente capire che l’intervista “deve” terminare ed io, educamente, non posso che ringraziarlo e fargli i complimenti per l’album, che nonostante sia carente in originalità, possiede sempre quella carica e quel feeling che solo un chitarrista esperto come Schenker può dare.